Al socialismo italiano occorre ora un Gruppo di emergenza

di PAOLO BAGNOLI

Sull'articolo di Enrico Boselli (cf. ADL, 23.4.08 – “Il Partito Socialista continuerà a vivere”) interviene Paolo Bagnoli, ex senatore del PSI (XIII legislatura), ordinario di Storia delle Dottrine Politiche presso l'Università di Siena e direttore dell'Istituto Storico della Resistenza in Toscana.

Dopo lo tsunami del voto che ha travolto e cancellato la Costituente socialista, Enrico Boselli ha preannunciato le proprie dimissioni. Il Partito Socialista terrà il proprio congresso il 7 giugno. La condotta di Boselli è nobili e va rispettata. Ma con grande lealtà dobbiamo pur dire che non ci sembra sufficiente ad affrontare una crisi dovuta non a un incidente di percorso, ma frutto delle gravi insufficienze di una Costituente che ha pensato bastasse ricomporre alcuni spezzoni fino ad oggi dispersi per avere quel mercato di sopravvivenza che al Ps è stato negato dall’elettorato italiano prima che dai potenziali alleati tanto alla sua destra quanto alla sua sinistra.

Il congresso naturalmente ci vuole. Ma esso richiede tempo e accurata preparazione; su tutto, la questione del socialismo in Italia deve assumere quella caratteristica di “pensiero compiuto” che la Costituente non è stata in grado di rappresentare non essendosene nemmeno posta il problema.

Chi ricopre ruoli di dirigenza dovrebbe sapere che le intenzioni sulle quali la politica si definisce non riescono ad avere le gambe senza idee forti le quali, a loro volta, richiedono forti motivazioni sociali e culturali.

La critica della politica “politicata” in relazione alla vicenda del Ps va certo fatta, ma essa non frutta, se non una magra risentita consolazione, quando in gioco non sono tanto le alleanze o le forme di relazione con altre forze, ma la capacità stessa del socialismo di riconquistare nel nostro Paese un posto stabile non solo nella politica dell’oggi, ma nella storia di domani. Ciò non vuol dire concentrarsi esclusivamente o quasi sui percorsi per tornare un giorno in Parlamento, bisogna ben di più concentrarsi su proprio essere nel Paese, nelle sue lotte, dentro ai suoi problemi. Quali soluzioni si propongono? Quali interessi culturali, sociali e civili si difendono e si vogliono rappresentare? Quale è la visione del mondo e della società italiana che si propone ai cittadini?

Si tratta non tanto di reinsediare una storia (in campagna elettorale si è chiesto soprattutto di votare una storia): bisogna convincere che il voto socialista è una scelta per il presente e per il futuro.

A fronte di tutto ciò la scorciatoia da ceto politico non ha senso e rischia di aggravare la situazione rispetto all’appuntamento amministrativo dell’anno prossimo. Richiamare l’anomalia italiana rispetto all’Europa, ove vi sono forti formazioni socialiste, sfiora il patetico, pur se è verità. In Italia non si vota né Zapatero né Rasmussen né Schulz né Hollande né Brown. Si vota in italiano, appunto!

La riflessione dei socialisti, quindi, deve partire dalla realtà. Questa ci dice che la Costituente non c’è più; ci dice che essa non può essere pensata a se stante dal momento che il voto ha cancellato anche la sinistra nel suo complesso. Tale dato di fatto non può essere ignorato. Esso rimodula il tutto poiché i socialisti devono anche dire qual è il loro possibile apporto specifico nella ricostruzione della sinistra.

Realisticamente, continuano a non esserci le condizioni per una formazione unica – una grande socialdemocrazia di sinistra – cui sarebbe necessario, invece, pensare, dopo il naufragio della Sinistra Arcobaleno.

Verso quest’area occorre posizionarsi. Anzi occorre farlo ancor prima di prendere le misure rispetto al Pd se non vogliamo che chi è socialista e vuol rimanere saldamente a sinistra, non decida di transitare verso la propria sinistra.

I problemi che si pongono sono tanti: tutti difficili e complessi. La “qualità” della nostra sconfitta ci impone di affrontarli in modo serio e ponderato anche per evitare che la cancellazione della Costituente – che ha preso meno voti di quelli raccolti dallo Sdi – non segni la fine della speranza.

Il congresso, quindi, va fatto. Ma occorre più tempo rispetto alla scadenza avanzata da Boselli. Ed esso non può essere un affare di un gruppo dirigente che ha portato a casa meno dell’uno per cento.

Infine, segnaliamo l’esigenza di profilare la natura ideologica del socialismo che vogliamo rappresentare. Per favore, non ci si venga a dire che le ideologie sono finite ed altre balle del genere. Non esiste nessuna politica, in qualunque modo essa si posizioni, che possa prescindere da un “ragionamento sulla rappresentazione” delle cose con le quali essa vuol misurarsi.

Questa esigenza non può essere liquidata ricorrendo semplicemente al termine “riformismo” che indica un metodo e quindi non significa nessun contenuto. La nostra necessità di rappresentarci le cose, ripensata oggi, nel mondo del XXI secolo, è socialista in quanto e per quanto sappia affrontare la natura di questo capitalismo barbarico della globalizzazione. Se non se ne possono contrastare i motivi, certo non se ne possono però nemmeno subire gli effetti pesantissimi di squilibrio sociale, di paura e di carica antisolidaristica.

Non esistono ricette di un “socialismo universalistico”, ma i documenti dell’ultimo congresso del PSE delineano una visione interpretava generale, una significativa presa di coscienza della realtà.

Se poi di riformismo si vuol parlare, allora va precisato che noi socialisti dobbiamo dire con chiarezza come intendiamo il ruolo dello Stato. Norberto Bobbio ricordava spesso che chi è socialista non può prescindere dal ruolo dello Stato per attuare politiche di intervento riequilibratore. E allora il tempo degli spasimi rosapugneschi verso l’agenda Giavazzi è non solo finito, ma ha senso nemmeno alla stregua di un ricordo.

Proprio in questi giorni i socialisti francesi – che avranno pure perso con Segolene Royal l’Eliseo, ma hanno successivamente dimostrato come una candidatura sbagliata non abbia indebolito il partito, dati i risultati delle elezioni legislative e, poi, di quelle amministrative. Perché si sono messi a scrivere una nuova dichiarazione di principi del PS? Pensiamo perché sentono la necessità di aggiornare la natura ideologica del partito e, in quanto tale passaggio diviene imprescindibile, anche per dare vita ad azioni politiche che, com'è nella logica della democrazia, vedranno aprirsi un confronto interno tra chi si posiziona a sinistra, chi al centro e chi alla destra. Ma il senso storico-politico del PSF è motivato e salvaguardato.

Noi pensiamo di dribblare qualcosa del genere?

Perciò, alle dimissioni di Boselli dovrebbe ora seguire la presa d’atto dell’inutilità del cosiddetto “Comitato promotore” il quale, come ultimo atto, dovrebbe cedere le stanze ad un “Gruppo di emergenza” formato da chi si ritiene abbia idee, esprima rappresentanza sociale, testimoni di quella che è la presenza socialista sul territorio per impostare il format del congresso da qui a dopo l’estate, con l’obbiettivo di arrivare a celebrare l’evento, caso mai, entro l’anno.

Occorre che se ne sia davvero coscienti: il voto ha cancellato la Costituente con tutto quanto vi si era accomodato. Il primo compito politico non è quello di contare le tessere, ma di ricreare le ragioni di una comunità politico-ideale attraverso un’introspezione che vada nel profondo e abbia come obbiettivo la costruzione di un PS legato a tre momenti essenziali di lavoro ed impegno: la questione socialista, quella della sinistra e quella della democrazia italiana.

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