di Carlo Mochi Sismondi
Quando abbiamo deciso di dedicare alla forza e alla debolezza del mito dell’ingegno e della creatività italiana il convegno di aperturadi FORUM PA ’08 avevamo già il sospetto che ci fosse qualche problema nel portare a frutto un elemento che caratterizza l’italianità così come la pizza e il sole.
Tra ieri e oggi, sui due quotidiani principali, escono due ricerche che confermano l’aspetto problematico di uno stereotipo che rischia di farci più male che bene.
La prima ricerca (Corriere della Sera di lunedì 28 aprile), realizzata da IPSOS per conto di FORUM PA, si interroga sul rapporto dei giovani rispetto alla creatività. L’indagine è approfondita ed interessante e offre moltissimi spunti di riflessione. La presenterà Nando Pagnoncelli nella mattina inaugurale di FORUM PA e costituirà la base di partenza per le relazioni dei nostri quattro pensatori: il Premio Nobel per l'economia Edward Prescott, il fondatore del Pensiero Laterale Edward De Bono, sostenitore di un “nuovo modo di pensare”, il guru del management Isaac Getz, considerato uno tra i primi esperti di executive education del mondo ed il Segretario Generale del CENSIS Giuseppe De Rita. Tutti e quattro saranno chiamati a confrontarsi sul rapporto tra creatività ed innovazione.
A proposito, è un evento d’eccezione, se volete trovare posto iscrivetevi subito.
Tra i risultati, che non voglio anticipare in toto, mi basta citare la prima tabella. Chiamati a definire la creatività i nostri intervistati (giovani tra i 18 e i 35 anni) rispondono per oltre il 64% che è un dono/un’espressione della libera fantasia/un’espressione di sé stessi. Meno del 10% collega spontaneamente la parola creatività a termini quali soluzioni, produzione, creazione. Insomma a noi ci ha rovinato l’idealismo di gentiliana memoria e siamo ancora all’atto dello Spirito!
Veniamo alla seconda ricerca (La Repubblica di oggi 29/4), di matrice americana della scuola di Richard Florida, ma svolta in Italia dalla sua allieva Irene Tinagli, che verifica la reale consistenza del mito del genio italico. Ne usciamo a pezzi: né il merito né lo studio garantiscono un lavoro ben remunerato e creativo. Siamo alle solite: una società immobile, congelata e cooptata e oltretutto delle famose tre T di Florida (Talento, Tecnologia, Tolleranza) non ci salviamo neanche nella terza, oppressi come siamo dalla paura del diverso e dai nostri campanilismi.
Che dire? Non me la sento di metter su un’improvvisata analisi sociologica dei perché e aspetto, con curiosità, di sentire il parere dei nostri guru, ma una qualche responsabilità ci sarà pure. Magari di una classe politica che non ha scommesso mai veramente sulla scuola e sull’università, magari di una pubblica amministrazione che non ha accolto giovani e nuove professionalità, magari di un adagiarsi su un mito che ci si sta rivoltando contro. Difficile emergere in questa economia globalizzata e aperta senza una visione “di Paese”, senza progetti definiti, senza un’organizzazione: resta la fantasia…. Ma con quella non andiamo molto avanti! Quarant’anni fa, nel ’68, la volevamo “al potere”, ma si è visto come è andata a finire!