I distretti tecnologici e l’innovazione nella PA per lo sviluppo territoriale

di Michela Stentella

È il titolo del convegno, organizzato da ADiTe (Associazione Distretti Tecnologici) all'interno del FORUM PA 2008. L’evento, in programma giovedì 15 maggio, offrirà un’occasione di confronto sul modello del “Distretto Tecnologico” quale sistema di innovazione territoriale, con particolare attenzione al rapporto con il contesto locale e con la pubblica amministrazione. Un’anticipazione nell’intervista a Rodolfo Zich, presidente di ADiTe e del Distretto Torino Wireless.

Qual è la differenza tra Distretto tecnologico e Distretto industriale?
La stagione dei distretti industriali precede temporalmente quella dei distretti tecnologici. I primi sono sostanzialmente indirizzati ad un contesto preciso, caratterizzato da un certo numero di piccole e medie aziende, in genere manifatturiere, che lavorano un prodotto ben definito. Normalmente queste aziende sono portatrici di un know how tecnologico, ma anche di mercato, molto consolidato e non hanno dimensioni tali da poter sostenere progetti di innovazione o potersi permettere professionalità trasversali di alto livello, ad esempio in materia marketing e finanza: la risposta a questo problema è proprio la creazione del distretto industriale attorno a un player sostenuto da risorse pubbliche, che, in sostanza, fa ricerca precompetitiva nell’interesse delle imprese del distretto e favorisce il radicamento di quelle professionalità a cui le singole imprese possono poi accedere, anche con la modalità del time-sharing.

Invece il distretto tecnologico?
Il distretto tecnologico è molto diverso, anche se i due modelli hanno elementi di sovrapposizione per quanto riguarda la mission, nel senso che entrambi vogliono favorire il sistema delle imprese e la crescita del loro posizionamento nel mercato globale. Tuttavia, il distretto tecnologico opera con l’obiettivo di promuovere un processo di crescita territoriale knowledge based in un determinato settore tecnologico, che ovviamente è più ampio rispetto al contesto specifico in cui lavora un distretto industriale. Inoltre, i processi di crescita knowledge based richiedono l’integrazione di molte competenze e di diverse tipologie di attori per rispondere alle molteplici strategie da mettere in atto: creazione e diffusione di nuova conoscenza, formazione delle competenze, creazione di nuove imprese e sostegno di quelle esistenti, definizione di linee di business, interazione con gli altri stakeholder interessati allo sviluppo (come i decisori degli enti locali o il mondo della finanza).

Qual è invece la peculiarità del modello del Distretto tecnologico rispetto ad altri modelli innovativi, come i Parchi scientifici e tecnologici?
Oggi questi modelli sono ancora molto diversi, anche se potremmo ipotizzare una convergenza in futuro. I Parchi tecnologici nascono con la vocazione di creare un’area di insediamento in cui favorire, appunto, l’insediamento di imprese e centri di ricerca. Sviluppano, quindi, una politica di attrazione degli operatori caratterizzata in primo luogo dall’elemento della fisicità. In un distretto tecnologico, invece, anche se la fisicità ha un ruolo importante, non è però il primo problema e può essere, ad esempio, una fisicità distribuita sul territorio.

Quali caratteristiche deve avere un territorio per essere adatto alla nascita e alla crescita continua di un Distretto tecnologico?
Innanzitutto sul territorio devono essere radicate le competenze nel settore di interesse del distretto, poi vi deve essere una tradizione di alleanza tra le diverse tipologie di player che intervengono in questo processo (i decisori degli enti territoriali, l’impresa, il mondo dell’università e della ricerca). Deve esserci, inoltre, la presenza di imprese innovative, che costituiscono sia un terreno di valorizzazione dell’innovazione creata all’esterno, sia una sorgente di innovazione, attraverso la produzione di tecnologie di punta. Vi deve essere, infine, una fluidità nelle risorse finanziarie, fondamentale in operazioni di questa natura, basate sulla co-presenza di diverse tipologie di finanziamento, a componente pubblica ma anche privata.

La presenza di un Distretto tecnologico può favorire l’innovazione anche all’interno di aree e settori a specializzazione più tradizionale presenti su quel territorio?
Certamente. Prenda il nostro esempio: l’ambito tecnologico di riferimento di Torino Wireless è l’ICT, ma soprattutto nelle sue valenze applicative. Quindi parliamo di ICT nel settore dell’automobile, della sanità, della mobilità e così via. Il gioco consiste proprio nella mobilitazione di tutte le risorse importanti, che operano in terreni dove l’innovazione può essere valorizzata. Poi, uscendo dai confini strettamente locali, lo scenario a cui dobbiamo fare riferimento è quello di un networking tra i diversi distretti presenti in Italia, che di fatto si sta già costruendo e che deve rafforzarsi attraverso la condivisione di grandi progetti.

Come può il Distretto tecnologico contribuire a migliorare i processi di innovazione all’interno della PA?
Innanzitutto il distretto tecnologico, proprio per la sua funzione di mobilitazione delle risorse e di attivazione di processi di crescita basati sulla conoscenza, porta alla PA un contributo in termini di crescita della qualità del processo di sviluppo. Questo vale anche su singoli temi tecnici: quindi parliamo di innovazione in materia di trasporti, di risparmio energetico, di sanità, di sicurezza. È evidente, perciò, che il DNA dei Distretti è fortemente connotato dal voler dare un contributo alla modernizzazione della PA e dei sistemi dei servizi pubblici.

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