Due anni di governo hanno cambiato tutto e gli elettori hanno dato un giudizio definitivo su una linea di unità della sinistra che si è rivelata fallimentare e completamente separata dal paese reale.
Presentare il dibattito interno a Rifondazione come una resa dei conti o, peggio ancora, come un golpe per eleggere un segretario invece che un altro è una caricatura vergognosa. Che lo presenti così il Corriere della Sera (che però fa già il tifo per Vendola) o la Repubblica è del tutto normale. Che lo faccia una parte di Rifondazione è irresponsabile e disarmante. Ed è questo che inquina il dibattito, erige steccati e provoca divisioni che rischiano di distruggere tutto e di disperdere un patrimonio collettivo.
Questo è il momento di parlar chiaro. Dovrebbe esserlo sempre, ma questo lo è ancor di più.
Sui motivi che ci hanno portato a questa sconfitta terribile ho già scritto.
Voglio, ora, dire cosa è successo negli ultimi giorni di campagna elettorale e dopo, perchè è fondamentale per capire cosa è successo, dopo, nel Comitato Politico Nazionale del partito.
Il gruppo dirigente del PRC negli ultimi mesi si è retto su un preciso accordo: parlare di “soggetto unitario e plurale della sinistra” e non entrare nel merito di “partito unico” o “soggetto unico”, di “federazione” o altro, per evitare di dividersi, perché la divisione c’è sempre stata, anche se male occultata. Io mi sono chiamato fuori da questo accordo perché lo consideravo un minimo comun denominatore totalmente inadeguato ed anche perché ero e sono convinto che il problema fosse il governo, il come ci eravamo stati e come ci aveva cambiati, e non la suggestione di un’unità a sinistra impossibile perché senza fondamenta. Ma questo non conta, è un’altra storia. Addirittura Giordano aveva proposto di applicare una moratoria, in campagna elettorale, su questo tema.
Guardate un po’ qui: “Quella comunista in futuro sara’ soltanto ‘una tendenza culturale’ all’interno della Sinistra arcobaleno. Lo ribadisce il presidente della Camera Fausto Bertinotti spiegando di immaginare ‘un soggetto unico, democratico e partecipato, fondato come un’organizzazione politica unitaria con le sue regole, una sua democrazia, un suo gruppo dirigente”. E ancora: “Mentana prova quindi a chiedere se la Sinistra arcobaleno diventerà un vero e proprio partito. Bertinotti spiega: “E’ un processo irreversibile. Se fosse solo un cartello elettorale sarebbe un’esperienza abortita”.
Si tratta di dichiarazioni fatte in televisione ampiamente riprese il giorno seguente da tutti gli organi di stampa. Nel contempo si prepara un appello, di insigni personalità, che il giorno dopo delle elezioni avrebbe chiesto ai partiti di rimettersi alle decisioni di una “costituente” da convocare immediatamente. In altre parole si punta a costituire subito un contenitore unico e a lasciare ai partiti la scelta di dichiararsi superati in questa nuova sinistra o quella di mettersi contro la volontà del “popolo”. E’ così, che sempre negli stessi giorni, il PdCI prepara l’appello per l’unità dei comunisti, che ha visto la luce dopo le elezioni. E’ negli stessi giorni che la parola “irreversibile” riecheggia continuamente nelle dichiarazioni, nei comizi e negli interventi televisivi di Bertinotti come di altri numerosi candidati. Perfino il giorno dei risultati elettorali Bertinotti dichiara: “Sconfitta la Sinistra Arcobaleno, deve rinascere la Sinistra Arcobaleno”. Il percorso passa per “una Costituente partecipata e democratica”.
Scusate la puntigliosità, ma è bene mettere i puntini sulle i, visto che ora si nega che si sia proposto il superamento di Rifondazione Comunista.
Giordano ne ha fatto un punto d’onore. Anche se c’è questa notizia del 14 aprile: “Dopo questo voto la Sinistra Arcobaleno dove andra’? Verso il partito unico o sara’ solo un cartello elettorale? A questa domanda del Tg3 Franco Giordano, segretario del Prc, ha negato l’ipotesi del cartello elettorale. ‘Certamente – ha detto – cartello elettorale no. Il futuro e’ quello del soggetto politico unico”. Che Giordano sia stato più prudente di Bertinotti, Migliore, Vendola e Gianni nelle dichiarazioni è vero. Ma il combinato disposto delle dichiarazioni di tutti dicono una cosa sola e chiara.
Insomma, di fronte a tutto ciò era evidente che l’unità fragile del gruppo dirigente si sarebbe dissolta come neve al sole.
Se Giordano si fosse dimesso subito, non avesse parlato di rimessa in discussione del gruppo dirigente al congresso, non avesse proposto il Comitato Politico Nazionale quindici giorni dopo il voto, ma sarebbe meglio dire una settimana dopo l’assemblea indetta da Ginsborg a Firenze, forse si sarebbe partiti con il piede giusto per fare una discussione più serena, nonostante la catastrofe elettorale.
Ma non è stato così.
Le richieste di dimissioni vere, di garanzie che non si facessero, fuori dal partito, altri atti irreversibili, sono state presentate da Giordano e da altri come un “golpe”, come la ricerca di capri espiatori, e il CPN come la notte dei lunghi coltelli, con grande gioia dei mass media, i cui rappresentanti per malizia o ignoranza non sanno che parlare di leader, di scontri personali e di manovre di palazzo.
Al CPN Giordano ha fatto ciò che i numeri lo avrebbero costretto comunque a fare: a presentare le dimissioni della Segreteria e a passare la mano ad un organismo di gestione unitaria del partito. Ed è stato lui a volere che quell’organismo venisse eletto sulla base dei voti presi da documenti politici contrapposti.
Sulla politica Giordano come gli altri, tranne Alfonso Gianni che ha coerentemente riproposto il superamento di Rifondazione, firmatari del documento che ha poi raccolto 70 voti, hanno tentato di dare ad intendere che si era voluta una resa dei conti ingiustificata visto che nessuno voleva sciogliere il partito, che la proposta del documento dei 98 voti (che io ho contribuito a scrivere) proponeva un ritorno alla rifondazione del 91 e che era un cartello confuso che avrebbe cancellato la migliore storia di Rifondazione.
In particolare Vendola, Giordano ed altri hanno molto insistito su questo presunto ritorno al passato. Evidentemente si vorrebbe che al congresso si discutesse dividendoci fra innovatori e conservatori. E, peggio ancora, fra eredi del PCI o di DP o di chissà che altro. O fra tifosi di Vendola o di Ferrero.
Li capisco. Le responsabilità della linea che ci ha fatto rimanere al governo a tutti i costi, di aver puntato tutto sul progetto fallimentare della Sinistra Arcobaleno passerebbero in secondo piano.
Ma, per quel che potrò, farò di tutto per impedire che si svolga un congresso in questo modo.
Anche perché penso che gli errori di questi ultimi due anni hanno veramente compromesso la partecipazione di Rifondazione al movimento contro la globalizzazione e alle lotte nel nostro paese. Perché penso che la nonviolenza (sulla quale ho scritto a suo tempo come è testimoniato dal blog) è stata ridotta ad una litania moderata. Perché penso che non si possa dire di “criticare il potere” per poi puntare tutto sulla presenza nel governo.
Se serve, io non ho nessun imbarazzo a dire che voglio ripartire dalla Rifondazione che seppe rompere con Prodi nel 98 e che stette alla pari, e rispettata, di comitati ed associazioni nel movimento a Praga come a Genova e in ogni social forum di tutti quegli anni.
Proprio in ragione di quelle scelte di movimento, che modestamente ho contribuito davvero a determinare, mi sono opposto ad un’idea politicista dell’unità della sinistra o dei comunisti.
Proprio per coerenza con le innovazioni che ho condiviso non credo che l’assemblea di Firenze, che rispetto e guardo con interesse, sia il punto da cui ripartire. Un’assemblea dove Ginsborg, che ne è il promotore, ha detto: “La sinistra puo’ rinascere ripartendo e recuperando quel patrimonio ideale politico e umano che ha contraddistinto Riccardo Lombardi e Vittorio Foa”. E dove Tortorella, intervistato, ha aggiunto: “E’ vero ricominciamo da tre – dice Tortorella – e ricominciamo dall’idea socialista su cui si fece il congresso fondativo del partito socialista del 1892″.
Insomma superare la scissione di Livorno del 1921?
“Esattamente”, conclude Tortorella per il quale la linea tracciata e’ il “socialismo del 21° secolo di Fausto Bertinotti”.
Sarebbe questa, ahimè, l’ulteriore innovazione!
Un’assemblea dove la partecipazione è ridotta all’applausometro per i presunti futuri leader.
Ricostruiamola sì la sinistra, valorizzando le esperienze e le culture di lotta e di movimento invece che le adunate di ex che gridano unità e che negli anni 90, come Luciana Castellina o il Manifesto sempre pronti a dare lezioni, hanno promosso scissioni per votare (insieme a Vendola) il governo Dini.
E per farlo bene rimettiamo in sesto il nostro partito, e discutiamo di cosa è successo in questi due anni invece che di leader.