Un approccio interculturale
Premessa
Nel fenomeno immigrazione scaturiscono molteplici fattori cognitivi quali pregiudizi relativi all’ambito della mentalità, dell’intelligenza, delle modalità affettive, alle difese di tipo territoriale, quali le minacce per l’ecosistema, per i nostri privilegi acquisiti come gruppo umano. Lo straniero è fonte di paura per la perdita dei nostri valori e rappresenta uno dei più grandi inviti all’autoeducazione, tramite la pedagogia interculturale, che non esige solo integrazione assimilativa, ma il rispetto del principio di vita nelle diversità e nell’interazione che significa e comporta un riempirsi, rimescolandosi. I principi della pedagogia interculturale sono basati sull’incontro di tre soggettività: noi, loro e i loro figli. L’educatore autoctono è chiamato ad integrare l’arricchimento dei propri saperi e fonderli con l’alterità. L’obiettivo prioritario consiste nel costruire nella scuola e nella società le premesse psicologiche per l’affermazione di tendenze interculturali. Occorre il riconoscimento del diritto alla differenza nel dare risposte efficaci alle esigenze di integrazione. Per attivare l’interazione con lo straniero va manifestato interesse nei suoi confronti, per la sua storia e per i suoi punti di vista, assumendo atteggiamenti di ascolto.
La scuola come modello di integrazione nelle professioni di aiuto
Il docente davanti all’immigrato può agire secondo tre modalità:
– osservazione di episodi della vita relazionale (modalità esplorativa)
– creazione di situazioni più favorevoli perché gli immigrati si sentano accettati (modalità facilitativa)
– consapevolezza che l’immigrato è portatore di saperi offrendo spunto per riflessioni (modalità interculturale)
Le politiche sociali rivolte alla formazione degli immigrati prevedono la prevenzione dei conflitti e degli antagonismi sul territorio, costruendo modelli locali di integrazione. La pedagogia dell’interazione suscita appunto l’interrelazione e l’interscambio con il riconoscimento dei diritti del diverso tramite l’educazione alla democrazia culturale.
Diversi sono i compiti del docente:
– conoscenza del mondo di provenienza dell’immigrato
– spiegazione ai genitori che la scuola ha il dovere civile e sociale di occuparsi delle diversità.
– promozione di attività di formazione che facilitino i successi scolastici dello svantaggiato.
I metodi e i valori dell’intercultura si fondano sulla permeabilità nei confronti dei punti di vista delle forme di pensiero altrui e sulla sintonizzazione con le origini di pensiero formatosi in altri diversi contesti. L’interazione strategica prevede il fare in modo che il confronto tra mentalità differenti dia luogo a un innalzamento non solo della conoscenza reciproca, ma anche del consociarsi per individuare forme superiori di comprensione del mondo, tramite uno stile cognitivo che accetti l’incontro tra le culture come una complessa abitudine dell’intelligenza.
Il campo d’azione della pedagogia interculturale è costituito dalla scuola, dal lavoro, dalle relazioni sociali, dalla vita civile. La legge Martelli del 20 febbraio 1990 stabilisce che l’immigrato diventa cittadino a tutti gli effetti perché gli si chiede di rinunciare alla temporaneità, gli si propone di rinunciare ad essere solo lavoratore immigrato. Si diventa neocittadini quando si è soggetti al diritto e quando il luogo diventa una risorsa per progettare un percorso di vita.
La pedagogia interculturale
La scuola deve trattare la diversità etnica come invisibile per concedere e assegnare uguale opportunità. La pedagogia interculturale
– favorisce l’incontro tra diverse etnie e permette la conoscenza dei valori di altre identità etnolinguistiche
– risulta attenta alla riuscita scolastica di chi è a rischio e alla promozione del processo più complesso di integrazione culturale. Il risultato consiste in un’ibridazione perché non si compierà per un immigrato l’assimilazione totale, ma l’integrazione risulta effettuata quando il soggetto ha la consapevolezza che la propria biculturalità non lo penalizza, ma lo difende e lo accresce.
– facilita la conoscenza reciproca e la disponibilità al confronto e al cambiamento e fa in modo che le culture differenti convivano senza ignorarsi
– deve tener conto di un assetto metodologico e didattico che elimini in ambito educativo l’idea che l’immigrato sia associato al concetto di povertà: vanno sviluppate argomentazioni che richiamino l’attenzione al prestigio di altre culture, tramite la valorizzazione della lingua dei paesi d’origine attraverso prodotti letterari e poetici, nella consapevolezza che l’esistenza di diversità è un fattore positivo.
Le parole chiave della pedagogia interculturale sono l’accoglienza, la stabilizzazione e la formazione.
L’accoglienza è anche cultura autoctona disponibile a confrontarsi con l’alterità: non tanto dovere civile di solidarietà, quanto attenzione ai bisogni e ai diritti, voce delle minoranze etniche. L’accoglienza è modalità di “pronto soccorso” e rende meno gravoso il primo impatto con il paese ospitante; è stile professionale; è strategia non solo dei singoli, ma dell’intera comunità.
La stabilizzazione consiste nella ricostruzione del tessuto bi-psicologico, bi-linguistico, bi-etico, in quanto convivenza tra due culture, quella d’origine e quella d’accoglienza, senza la rimozione del passato, ma tramite la conciliazione di due opposti.
La formazione è sintesi tra accoglienza e stabilizzazione, per cui l’immigrato cerca sicurezza nei contenuti di formazione. L’incontro fra culture diverse si rivela un’iniziativa relazionale e comunicativa, per cui gli adulti immigrati e i loro figli richiedono l’adozione di specifiche politiche formative.
Con gli adulti immigrati occorre intervenire in maniera compensatoria e relazionale, tramite azioni di alfabetizzazione e di formazione linguistica, ossia attività didattiche che implicano la ridefinizione della metodologia dell’insegnamento.
Per i minori, il Ministero della Pubblica Istruzione ha istituito una commissione nazionale incentrata sull’inserimento degli stranieri nella scuola dell’obbligo. Con il Disegno di Legge 1980 vengono precisati gli elementi di una politica formativa e scolastica in favore degli immigrati, come il rendere più flessibile l’ordinamento scolastico, attivare la semplificazione delle procedure per le iscrizioni, avviare nel curricolo l’insegnamento della lingua e della cultura d’origine, incentivare e favorire l’apertura alle società multiculturali.
I bambini e la Scuola
Il bambino migrante deve conciliare in sé una serie di conflitti che lo spostamento nella spazio geografico introduce nell’ambito corporeo e culturale, linguistico e familiare, un coacervo di traumi causati dal sentimento di perdita e dal sentimento di separazione.
Nello spazio geografico, il bambino immigrato vive esperienze di sradicamento e di perdita di legami con figure parentali di riferimento, in un adattamento forzato agli oggetti diversi, alle persone altre, agli ambienti non conosciuti e privi di familiarità. Questa condizione di provvisorietà spaziale e temporale comporta il vissuto di un presente quale continua attesa che esita in un sentimento di disagio e vergogna per le proprie origini.
Nello spazio corporeo la migrazione ha sedimentato problematiche di identità fisica, come la vergogna per il colore della pelle e le caratteristiche dei capelli.
Nello spazio linguistico sussiste il problema per il sistema della comunicazione verbale e non verbale. Il bilinguismo può assumere varie caratteristiche:
– può presentarsi come fattore d’élite, promozionale, arricchente, soprattutto in condizioni privilegiate, in famiglie socialmente favorite.
– può manifestarsi come popolare, con difficoltà di tipo linguistico, espressivo, sociolinguistico, socioaffettivo e cognitivo.
– può essere aggiuntivo, manifestandosi nel sistema linguistico del bambino che ha sviluppato una buona competenza nella prima lingua e assume valorizzazione dalla seconda lingua, palesando vantaggi dal punto di vista cognitivo
– quando è sottrattivi, il primo idioma non è socialmente valorizzato, con una padronanza ridotta di entrambe le lingue che diventa un semilinguismo deprivante.
Al momento dell’inserimento nelle strutture educative italofone l’interazione tra bambini stranieri e gli adulti italiani è inesistente, eccetto l’esposizione passiva al linguaggio della televisione. Dopo i due anni i bambini stranieri che parlano italiano a scuola, ne riportano le espressioni in famiglia, perché l’italiano occupa lo spazio comunicativo quotidiano. Nel bambino migrante i dispositivi di accoglimento tendono a colmare la carenza linguistica, causa principale dell’insuccesso scolastico. La classe preparatoria, che ha una durata limitata nel tempo evolutivo da sei mesi a sei anni, è situata fuori dal percorso ordinario. Il sostegno linguistico consiste nell’insegnamento della seconda lingua a minori di diverse nazionalità, integrato nel tempo scolastico normale. Le classi bilingue sono rivolte a gruppi con uguale appartenenza nazionale e culturale, dove l’insegnamento è impartito nella lingua del paese d’origine, contemporaneamente all’insegnamento nella lingua del paese di residenza che diventa in modo progressivo la lingua veicolare dell’insegnamento.
Adulti e processi formativi
L’immigrato adulto sente il bisogno di comunicare e di apprendere l’insegnamento istituzionalizzato italiano, ma gran parte dei lavoratori stranieri non padroneggia la seconda lingua e acquisisce un italiano di sopravvivenza segnato dall’urgenza comunicativa. La vita si organizza attorno a dei poli sociali linguistici che prevedono l’incontro con i connazionali, gli amici (lingua degli affetti) e il polo del lavoro con obblighi burocratici (lingua dei doveri). Il sistema di comunicazione risulta debole perché compreso da un limitato numero di interlocutori, perché permette di esprimersi riguardo a un numero limitato di argomenti, perché non presenta tecniche verbali per esprimere progetti di valutazione, causando difficoltà di ricerca e mantenimento del lavoro, con infortuni sul lavoro e dipendenza da connazionali che conoscono meglio l’italiano. Secondo i concetti della relazione sociale tra i gruppi, il grado di adattamento linguistico aumenta con la volontà dei gruppi di adattarsi ai valori sociali e alle norme del paese straniero. Sussistono diverse fasi nel contatto tra gruppi etnici differenti: gli immigrati accettano il ruolo di subordinazione sociale ed economica, imparando la lingua del paese straniero per la sopravvivenza, senza la convinzione che un maggior apprendimento possa portare a una modificazione di stato. Altre volte la mobilità sociale è il tentativo di acquisire un’identità sociale più positiva, sforzandosi di entrare nel gruppo dominante, nella crescita di consapevolezza che la seconda lingua, vista come mezzo per esprimere rivendicazioni e richieste, annulla le relazioni competitive tra gruppi, con la lingua materna simbolo pregnante di identità collettiva.
Riassunto
La scuola contemporanea diventa sempre più un luogo di incontro di bambini e ragazzi che provengono da origini, storie di vita e di esperienze, culture, realtà sociali e paesi diversi, differenti e dissimili dalla realtà tradizionale dei Paesi d’accoglienza.
Sempre più la scuola si confronta con esigenze di conoscenza di altri mondi e di altre infanzie di tipo “diverso”, di matrice “altra” caratterizzati da differenze implicite ed esplicite, quindi più o meno evidenti e, a volte, più o meno facili da tollerare, accettare, condividere, mettere in comunicazione e i bambini italiani si trovano a crescere con coetanei che arrivano da altri Paesi, da altre Nazioni, da realtà territoriali “altre”, ossia dissimili o che nascono in Italia, ma hanno tradizioni, religioni, lingua, usi e costumi differenti.
Indicazioni bibliografiche
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Docente di Lettere e Giornalista
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sede di lavoro ICS Limbiate