Bertinotti, il governo e l’opposizione

Nel lungo forum fra Bertinotti e la redazione di Liberazione del 23 marzo
www.liberazione.it/a_giornale_index.php?DataPubb=23/03/2008

nell’ultimo paragrafo, che invito a leggere/rileggere, si affronta la questione del governo.
Bertinotti dice, a ragione, che era necessario tentare di dare una risposta alla domanda di cambiamento emersa nel quinquennio 2001 2006. Ma poi sostiene che è stato commesso l’errore di cercare di essere garantiti nel dettagliato programma invece che in un confronto sulle grandi opzioni strategiche. E’ una tesi interessante, che per la prima volta è espressa così chiaramente.
Io, però, non la condivido. Almeno per due motivi.
Il primo è che, banalmente, se avessimo cercato di fare un confronto strategico sui temi di fondo dell’economia ecc. l’alleanza sarebbe saltata immediatamente. Non credo che qualcuno coltivasse l’illusione che il Prodi e l’Ulivo liberisti si fossero convertiti ad una critica della globalizzazione e del liberismo. Il programma dettagliato, le famose 280 pagine, era l’unico modo per superare, facendo leva sull’opposizione che pure l’Ulivo aveva manifestato in cinque anni ad ogni provvedimento importante di Berlusconi, le resistenze ideologiche neoliberiste a misure chiaramente capaci di invertire la tendenza degli ultimi venti anni, e non solo degli ultimi cinque. Per dirla in altri termini se avessimo fatto un confronto strategico sulla precarietà non si sarebbe mai scritto in un programma più asciutto “siamo contrari alla legge 30”, ma avremmo avuto formulazioni vaghe e ambigue.
Il secondo è che avremmo negato, come poi è stato purtroppo praticato nei fatti, alla mobilitazione e al conflitto il ruolo centrale di motore politico del cambiamento possibile. E sarebbe stato profondamente incoerente con quanto scritto e votato al congresso di Venezia. Se avevamo detto che il governo era un tentativo, una possibilità, lo avevamo fatto per consapevolezza della natura liberista dei nostri futuri alleati di governo, e per l’idea che la nostra forza sarebbe stata sostanzialmente la sintonia con i conflitti e le lotte e non la capacità di convincere Prodi in un confronto strategico.
Ma su questo importante punto, il rapporto movimenti governo, torneremo più avanti. Intanto sarebbe opportuno chiedersi: è stato giusto pensare ad una legittimazione nostra, e della sinistra alternativa in generale, puntando sulla conquista di un’alta carica istituzionale invece di una ben più consistente presenza nel governo? Insomma, è stato più utile avere la Presidenza della Camera invece che due o tre ministri e tra questi quello del lavoro?
Se c’era, e c’era eccome, la consapevolezza che avremmo giocato la partita sulle questioni economico-sociali, perché inibirsi una posizione utile allo scopo, sacrificandola per ottenere la Presidenza della Camera?
Sia chiaro, lo dico a scanso di equivoci, l’idea che la sinistra comunista negli anni 2000 conquistasse un’alta carica istituzionale, non é banalmente riducibile a questione di poltrone o, peggio ancora, a personalismi. Ma la gerarchia applicata per fare la scelta definitiva non andrebbe indagata autocriticamente?
Veniamo, ora, a una questione fondamentale. Come e quando ha cominciato a logorarsi il rapporto del governo con il paese? Bertinotti dice:
“E però determinante
è stata la diversa permeabilità
del governo tra i poteri costituiti e
forti da un lato e le domande della società
dall’altro. E noi, che eravamo vicini
alle seconde, siamo stati schiacciati
dal progressivo allineamento del governo
alle istanze dei primi. E infatti, abbiamo
cominciato presto a suonare l’allarme,
anche con un carattere a volte
un po’ fantasioso. Il punto di crisi dove
si registra non casualmente? Giugno-luglio,
quando la trattativa tra le parti sociali
e il governo sulle questioni pensioni
e mercato del lavoro diventa la cartina
al tornasole per cui si capisce che il
governo, al di là del fatto che cade da
destra, ha visto il suo logoramento e la
sua crisi di consenso nel momento in
cui si è precluso la possibilità di indicare
una via di uscita, per esempio, dalla
crisi salariale contrastando la precarietà”.
Secondo me questa descrizione, a parte il “carattere fantasioso” che non so cosa voglia dire, non fa una grinza. Infatti, a luglio, decidemmo nel Comitato Politico Nazionale, che avremmo avviato una fase di lotta e che nell’autunno avremmo chiamato centinaia di migliaia di persone a decidere sulla nostra permanenza o meno al governo.
Come mai non se ne è fatto nulla? Come mai proprio a giugno arriva il “fate presto fate presto” ad unire quattro partiti tre dei quali erano totalmente ostili alla sola idea che col governo si potesse rompere? Come mai si accetta, nei fatti, che il governo tratti con le parti sociali sulla base di una posizione non discussa né condivisa al suo interno? Come mai si convoca una grande manifestazione, alla quale Verdi e Sinistra Democratica non aderiscono, e la si presenta come la prova che il popolo vuole l’unità e non come la base della propria forza per dire a Prodi: “o applichi il programma o te ne vai a casa!”?
Ho posto queste domande più volte, ma non ho mai ottenuto nessuna risposta convincente.
Eppure non eravamo nel 98, avevamo dalla nostra la richiesta di coerenza programmatica e un forte movimento sindacale e politico contro la precarietà. Certo saremmo andati incontro a numerose difficoltà, è innegabile. Ma in politica ci sono momenti topici nei quali fare una cosa invece che un’altra non è un dettaglio e non è rinviabile. Ci sono scelte che cambiano tutto. Scegliere di non rompere il quadro politico mentre, come dice lo stesso Bertinotti, si consumava la crisi del rapporto tra la società e il governo, ci ha fatto trovare dalla parte sbagliata della barricata. E, come se non bastasse, nella crisi della politica più in generale, ci siamo ritrovati tra quelli che dicono una cosa e ne fanno un’altra. Cosa che mentre per altri è normale per noi si rivela sempre esiziale.
Come siamo arrivati a questo punto?
Bertinotti dice:
“La discussione sul perché non ce l’abbiamo
fatta è una discussione che, anche
qui senza imbarazzo, possiamo cercare
di fare. Certamente il rapporto tra
noi e i movimenti, noi e la società è il
terreno prioritario che deve essere indagato
a questo proposito. Non penso ci
sia un deficit solo da un lato; penso che
ci sia una connessione da reindagare e
dobbiamo farlo, perché adesso attraverseremo
l’opposizone; non possiamo dismettere,
perché andremo all’opposizone,
il terreno della ricerca sul rapporto
tra la riforma della società e il governo.
Non perché consideriamo il governo il
vertice della politica, ma perché è una
questione che non possiamo derubricare.
Dobbiamo stare a sinistra e riscostruire
la sinistra; ma non possiamo far
sì che la sinistra diventi semplicemente
la possibilità della denuncia e della protesta.
Questo è un pericolo che è scritto
nel necessario e sacrosanto passaggio all’opposizione.
Ma questo pericolo va
contrastato. Non è di sinistra chi urla di
più o chi denuncia con più aggressività
l’avversario.”
Qui Bertinotti elude totalmente il tema, se la cava dicendo che bisogna reindagare e poi passa alla raccomandazione che non bisogna essere testimoniali perchè è il principale pericolo insito nella collocazione di opposizione. Mah!
Capisco bene che in un forum non si scrivono saggi complessi, ma mi sembra pochino.
Non so Bertinotti, che parla ambiguamente di “deficit non solo da un lato”, ma molti dirigenti che si dichiarano d’accordo con lui, disquisiscono da mesi della crisi dei movimenti, della loro inefficacia, parzialità ed impoliticità. Secondo me è una pura fuga dalla realtà. Noi saremmo stati sconfitti al governo perché venuta meno la spinta dei movimenti? Vorrei ricordare che le lotte No-Tav, No-Dal Molin, i metalmeccanici, i no all’accordo nel referendum-imbroglio dei sindacati, le manifestazioni contro la precarietà del 2006 e del 2007 ecc ecc, testimoniano il contrario. Ovviamente nella sinistra politica, sindacale e sociale, c’è stata e c’è una posizione secondo la quale il tentativo del governo era sbagliato in partenza. Non c’è da scandalizzarsi. Lo considero normale. Ma chiedo? Non aderire alla manifestazione contro Bush e dare l’impressione che con il governo non si sarebbe mai rotto ha aiutato a battere, nelle lotte e nei movimenti, una posizione classicamente estremista? La nostra internità al movimento doveva o no essere scelta come prevalente rispetto alle dinamiche del quadro politico, secondo quanto stabilito da anni di pratica e da ben due congressi?
La verità è che, nei fatti, e non solo nei fatti visto che diversi esponenti di Rifondazione hanno più volte detto che con il governo non avremmo mai rotto, si è scelto di tornare al rapporto classico di un partito che pretende di rappresentare, nella sfera più alta della politica, la società e il movimento.
Ora Bertinotti dice che ci sarà una fase di opposizione. Non così dicono altri della Sinistra Arcobaleno, ma non fa niente, non è questo il dato importante.
Il problema è e rimane il tema del governo. Perché si può fare l’opposizione in molti modi.
Sinceramente mi sembra che la Sinistra Arcobaleno non abbia affatto sciolto questo nodo.
Come ha già scritto più volte, tre dei quattro partiti e un pezzo sempre più consistente di Rifondazione, pensano e dicono che l’alternativa sia fra una sinistra di governo e una sinistra residuale e testimoniale. Del resto piangono continuamente addossando a Veltroni la crisi di governo e la scelta di andare da solo alle elezioni. Non dico che queste posizioni siano imbattibili, anzi penso che siano vecchie e sterili. Ma sarebbe meglio dire che il pericolo principale per la sinistra, sempre, è essere cambiata dal potere. E’ diventare un pezzo inutile del potere. Invece che mettere al centro il presunto pericolo di diventare testimoniali o addirittura di sparire. Sarebbe meglio rilanciare il progetto politico che abbiamo elaborato ai tempi di Genova, che non è incompatibile con nessuna unità a sinistra, sempre che ci sia un partito organizzato ed autonomo che lo pratichi.
Ma sul partito e sul suo non scioglimento o superamento ci sarà una terza puntata di queste mie modeste riflessioni.

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