di M. Sironi
Per scongiurare fallimenti a catena tra le grandi banche statunitensi, le Federal Riserve e’ intervenuta massicciamente. Ma se il peggio e’ (forse) passato i colossi della finanza devono dire grazie anche ai “Fondi Sovrani” di paesi come la Libia, l’Algeria, Abu Dhabi e naturalmente la Cina.
Secondo l’ultimo ‘’Retail Market’’ di Eurisko/Prometeia – l’indagine sui risparmi delle famiglie distribuita in marzo – la meta’ degli intervistati aveva sentito parlare della crisi scatenata dai mutui subprime, ed uno su quattro pensava che anche le banche italiane ne avrebbero subito le conseguenze. La crisi, prima ancora che di liquidita’, appare come una grossa crisi di fiducia nei confronti del sistema bancario, e si e’ estesa a macchia d’olio fino ad arrivare ai nostri padri di famiglia : se nell’agosto dello scorso anno – data di inizio del credit crunch – i timori erano circoscritti ad una possibile grave mancanza di liquidita’ , oggi c’e’ chi teme una recessione paragonabile a quella del ’29. Nel frattempo cosa ha fatto la Federal Reserve? Il 18 marzo, con una mossa a sorpresa, ha abbassato il tasso di interesse dello 0,75%, e cosi’ in otto mesi il taglio e’ stato complessivamente di tre punti : un’enormita’ in tempi normali. Ma soprattutto la Fed ha finanziato il salvataggio della Bearn Stearns ( quinta banca d’affari statunitense) da parte di JP Morgan. Ed anche questa e’ una cosa del tutto insolita . Qualche settimana fa, periodo di rendicontazioni di bilancio, pareva che non solo la Bearn Stearns, ma anche Citigroup, Lehman Brothers e Goldman Sachs stessero per presentare dati trimestrali piuttosto acciaccati. Il rischio mortale era che l’effetto domino abbattesse l’uno dopo l’altra le grandi banche Usa, tutte piu’ o meno esposte sul mercato dei derivati, cioe’ prodotti finanziari garantiti da crediti di dubbia qualita’.
Cosi’ non e’ stato: l’effetto domino e’ stato scongiurato anche grazie all’apporto finanziario di alcuni grandi investitori, molto grandi, molto liquidi e un po’ chiacchierati. , cioe’ i Fondi Sovrani. Qualche nome: ADIA (Abu Dhabi Investment Authority) che gestisce 875 miliardi di dollari, GIC (Government of Singapore Investment) con 330 miliardi di dollari gestiti, KIA (Kuwai Investment Authority) con 250 miliardi di dollari, CIC (China Investment Corporation), con 200 miliardi di dollari. Ma la lista e’ lunga, e include fondi di paesi come Libia, Algeria, Qatar, Russia, Brunei. Si calcola che le risorse gestite da questi cosiddetti Fondi Sovrani (cioe’ appartenenti ai governi di paesi non troppo democratici, e non troppo trasparenti) ammontino in totale a 3.000 miliardi di dollari, e 70 di questi a meta’ marzo sono andati a ristorare la liquidita’ di alcune grandi banche statunitensi ed europee. Non e’ il caso di stupirsi, dal momento che nella compagine azionaria delle principali banche mondiali i Fondi Sovrani sono ben rappresentati. ADIA e’ azionista al 5% di Citigroup, di cui e’ azionista al 3,7% anche GIC, che a sua volta ha il 12% di UBS. Di Citigroup e’ azionista anche KIA (4%) , che e’ presente anche nel capitale di Merrill Lynch con il 17%, mentre
CIC ha il 10% di Morgan Stanley. Ma la lista e’ molto lunga: ad esempio la Borsa Italiana, che il 16 febbraio scorso ha celebrato pomposamente il suo bicentenario, e’ controllata dalla stessa holding londinese che controlla la London Stock Exchange, e che ha per azionisti la Borsa di Dubai e il Fondo del Qatar.
Sta di fatto che i Fondi Sovrani sono ormai attori importanti nello scacchiere internazionale, e di conseguenza sono fornitori netti di capitale agli Stati Uniti, di cui finanziano il deficit pubblico e il disavanzo estero. Inoltre in un momento difficile come l’attuale stanno funzionando come fattore stabilizzante del sistema, la cui liquidita’ ha corso brutti rischi per una crisi di fiducia colossale: cosa si nasconde veramente dietro queste prime perdite, si chiedevano tutti? Ma la vera domanda da porsi e’ un’altra: cosa succederebbe se questi Fondi Sovrani decidessero che le grandi banche estere non sono piu’ un buon investimento? O che non e’ piu’ il caso di funzionare da puntello ad una moneta in crisi perenne come il dollaro?