Rivalutazione della collettività  sociale

I modelli di vita elaborati in città hanno goduto di un crescente prestigio rispetto a quelli custoditi dalle tradizioni rurali, individuando, come caratteristica peculiare del fenomeno urbanizzazione un certo stile di vita diffusosi tramite la comunicazione di massa. Nel corso della storia il nucleo urbano è sempre stato identificato dai gruppi sociali, come sinonimo di libertà, di emancipazione, identificando la spazialità organizzativa ad essa connessa, come strumento di formazione e di socializzazione, fulcro propulsore delle innovazioni e conoscenze umane “Innovazione, spirito critico, partecipazione consapevole, esercizio di libertà e non conformismo: tutto ciò hanno dato le città, specie d’Occidente, nel passato. Tale peculiare funzione culturale innovativa della città ha, come condizione essenziale, un’ambivalenza, che è polarizzazione di valori e di tendenze, di integrazione e di conflitto, di socializzazione e di privato associarsi in piccoli gruppi, senza mai soluzioni o dilacerazioni definitive”. L’abitante del nucleo urbano interagisce, relazionandosi con le diverse realtà costituite da gruppi di individui, sulla base di interessi comuni, indipendentemente da fattori localizzativi. Nella comunità tradizionale, invece, il sistema delle interazioni personali, parentali, amicali, lavorative, si sviluppano nell’ambito di aree geografiche ristrette, al cui interno le unità socio-spaziali, (il vicinato costituito, per esempio, dai conviventi nello stesso cortile) erano idonee a preservare i sentimenti di solidarietà locale. All’interno del contesto sociale urbano industriale, la più importante sfera di relazioni informali per i residenti non è più costituita dal vicinato. Questa situazione di incomunicabilità è inoltre caratterizzata dalla presenza massiccia di gruppi etnici diversi tra loro, con conseguenti problemi di rapporti con la città costituita da relazioni e strutture definite nell’ambito del gruppo sociale urbano. “ Le scienze sociali contemporanee (…) hanno affrontato da vari punti di vista ciò che avviene quando entro un’area culturale compare lo ‘straniero’. Si è indagato sulle posizioni sociali che finisce con l’assumere, sui processi di integrazione, sulla emarginazione, sulla tangenzialità che, in certe situazioni gli è propria, sull’atteggiamento nei confronti degli stili di vita e degli orientamenti fondamentali delle comunità ospitanti.”.
La mobilità sociale, il sistema delle comunicazioni, lo sviluppo dei trasporti sono tutti fattori che incentivano la popolazione ad una sistematica organizzazione delle attività caratterizzate da una maggior specializzazione e dispersione nello spazio. L'evoluzione del contesto urbano, identificabile in una costellazione di centri differenziati di attività, ha enormemente dilatato i confini dell'area quotidiana, tipici della comunità rurale. La struttura della comunità si è trasformata, alternando la natura esistenziale al suo interno, provocando un cambiamento nelle relazioni interpersonali e la radicale modifica dei modelli di vita. Gli anni '80, aprono l'era della società post-industriale, un'epoca di transizione in cui il problema centrale del soggetto consiste nel ritrovamento di unità, cioè di identità. A livello territoriale si pone l'esigenza di ricomporre un tessuto lacerato, perchè diventi supportivo ed arricchente per l'esistenza degli individui. “Contro i miti del primato dell’economico e dell’individualismo, contro i tentativi di omologazione internazionale, si vanno oggi riscoprendo i valori dell’identità personale, culturale, sociale e quindi i valori della comunità. Il bisogno di radicamento è sotteso all’attuale insorgenza del fenomeno dell’associazionismo, del volontariato, dell’etnicità, delle liste civiche. Nell’associazionismo e nel volontariato si riconoscono attività pratiche, materiali, capaci di ristabilire legami sociali e simbolici, di rigenerare un senso di comunità, per ricolmare le fratture tra i comportamenti di produzione, di consumo, di residenza, ricomponendo in questo modo il senso unitario del vivere”.
In questo tentativo di ricomposizione diventano compresenti il passato ed il futuro in tutti i settori sociali dall’assetto politico a quello urbanistico, in un’ottica di recupero dell’ambiente storico; “La politica residenziale ed il ruolo che si è lasciato assumere, da parte del potere pubblico, all’attività edilizia privata, sono cause principali di tale degrado e di tale distruzione, nonchè dei gravi fenomeni di sovra e di sotto-utilizzazione del nostro patrimonio edilizio (…). Dovrebbe risultare evidente che si è ben lungi dall’avere intrapreso una politica per il recupero. (…)La stessa strumentazione normativa è del tutto inadeguata e mistificante rispetto ai problemi del recupero: fino a quando essa non sarà in grado di investire globalmente e in modo specifico il patrimonio edilizio esistente, con strumenti che ne regolino e ne gestiscano pubblicamente l’uso, una politica del recupero non potrà esistere. Se questo è l’emblema del traguardo, è evidente che il recupero potrebbe tuttavia rivelarsi operazione inagibile, per mancanza di altre condizioni oggi sottovalutate: da una politica di ‘educazione culturale’, ad una politica atta ad incidere sulla produzione di materiali e di mano d’opera adeguata”. Il luogo privilegiato di questa ricerca non si identifica più con lo Stato o con il soggetto, ma con il microcosmo della comunità territoriale. Il motivo principale della scelta della comunità territoriale come spazio privilegiato per la ricerca di una nuova unità, consiste nel ripensamento post-riflusso dell'uomo in quanto essere sociale collocato in uno spazio sociale. “La qualità dell’ambiente, la sua diversità è riproducibile solamente attraverso legami sociali e, in particolare, attraverso coesioni territoriali di interessi economici, di tradizione e di cultura e non attraverso l’attribuzione funzionale di ruoli a parti del territorio. (…) Non esistono ‘ricette’ per la politica territoriale: vale piuttosto un invito generale verso un consapevole riconoscimento dei crescenti fenomeni di inter-relazione, che tuttavia sappia mantenere una capacità critica verso quei processi che, in modo spesso implicito, tendono ad addomesticare e ad omologare le differenze”. Il nodo problematico dell’inserimento dell’individuo nel contesto esosistemico si presenta come una possibile esplicazione di una alternativa più generale nei processi insediativi tra omologazione dei paesaggi umanizzati e valorizzazione delle differenze e delle specificità locali. “Una politica insediativa” deve saper offrire “un punto di incontro tra riflessione disciplinare geografico-urbanistica e costruzioni di senso dei soggetti locali non solo attraverso un continuo ascolto dei processi autoorganizzativi, delle pratiche spaziali degli abitanti e delle modalità di percezione dello spazio dei soggetti locali, ma anche stabilendo un’intersezione tra indicazioni tecniche e progettualità della popolazione insediata. Tutto ciò nella convinzione che la qualità urbana o ambientale di un luogo non risiede nella semplice definizione formale dello spazio fisico e neppure nella sola ricchezza dei legami sociali, ma in un reincontro tra soggetti e luoghi, in una ricostruzione all’interno del gruppo umano insediato di qualcosa di anteriormente condiviso, alla resistenza e al rinnovo di codici tipologici, di regole locali, di linguaggi costruttivi collettivamente elaborati e rispettati”. “Un legame indissolubile sussiste tra geografia e politica, nel duplice senso che nessuna corretta analisi ed interpretazione del territorio può prescindere dalla considerazione dei fattori politici che lo hanno influenzato e lo influenzano; così come nessuna azione politica può ignorare la concreta situazione territoriale in cui essa si colloca, a sua volta conseguente una molteplicità di fattori fisici ed umani. Da un’analisi della letteratura geografico politica più recente e da alcune ricerche monografiche viene la conferma che il paesaggio geografico dei territori umanizzati tende ad essere non tanto sfondo predeterminato ed irrifiutabile per la vita degli uomini, quanto il mutevole risultato delle loro scelte individuali e collettive.”
“Dopo un decennio (anni 70) in cui è prevalsa la concezione secondo cui il collettivo attribuiva senso al soggetto e dopo il periodo (anni 80) in cui si è delineata l'idea secondo la quale il soggetto può trovare significato solo fuori dal collettivo, negli anni '90 potrebbe riaffiorare l'ipotesi riconciliativa di queste due dimensioni umane. Il soggetto non è in contraddizione con il contesto sociale perchè il senso implicito a entrambe le dimensioni, individuale e collettiva, consiste in una interdipendenza costante delle stesse. Ma in questa concezione diffusa al livello di una nuova mentalità operativa, l'aspetto sociale non è più inteso come contesto astratto, identificabile con lo stato, o in accezione ideologica, assimilabile al partito, ma come insieme di relazioni che influenzano il singolo, definendosi mediante il concetto di comunità.
Un altro motivo della rivalutazione della comunità territoriale consiste nell'ipotesi secondo cui, il contesto collettivo, in quanto ambito della vita quotidiana, possa contribuire ad arricchirla e a renderla migliore, almeno in termini potenziali. Nella società contemporanea si affaccia la nuova ipotesi per cui la qualità della vita non può essere affidata in esclusiva allo stato nè essere delegata al singolo, ma si ritiene che un miglioramento dell'esistenza umana parta dal presupposto del rinnovamento della comunità territoriale, in termini di valori di umanità, solidarietà e progettualità. La comunità territoriale in quanto spazio per la nuova sintesi della fase post-moderna, si configura come centro focalizzatore dell'attenzione del lavoro sociale di animazione, in quanto si caratterizza come ambito agibile, permettendo contatti diretti tra le persone, i gruppi e le organizzazioni che operano in essa, dei cui problemi può farsi carico essendo una realtà collettiva. “Costruzioni, ampliamento, restauro e ricostruzione delle città, toccano molti e complicati problemi sociali, sui quali, oggi, solo la disciplina competente, cioè, la sociologia, può legittimamente dare un giudizio. La collaborazione su concrete questioni di urbanistica incontra però delle difficoltà che non di rado vengono sottovalutate. Queste non risiedono solo nella lentezza di molte amministrazioni cittadine, le quali si oppongono al lavoro collegiale che esorbiti i limiti di specifiche competenze…”. “La proposta di iniziative di salvaguardia ambientale inevitabilmente riferite a specifici territori, ma rapportate alla dinamica complessiva degli spazi circostanti è, oltre che una tendenza, una necessità della civiltà urbana industriale e post-industriale. Necessità e tendenza che postulano rapporti compatibili con la totalità delle risorse naturali e che impongono l’accesso ad una nuova etica territoriale fondata su una integrazione ed un rapporto consapevole dell’uomo con l’ambiente”. La comunità è uno spazio caratterizzato da una identità storica e sociale, nella difesa di spazi e luoghi appartenenti al passato, sufficente per alimentare un sentimento di appartenenza e di identificazione locale e territoriale, fornendo ai soggetti la possibilità di difendersi dai rischi di alienazione e spersonalizzazione derivanti dall'organizzazione burocratica statale e produttiva, ricomponendo l'unità dei continuum dell'individuo, non potendo essere segmentata in ruoli limitati (per esempio il bambino, il genitore, lo studente, il lavoratore ecc…). “L’adulto è storia di formazione e, questa storia, giorno per giorno, si è alimentata di vissuti ludici e continua ad alimentarvisi in forme le più disparate, e tale da consentire al ricercatore idiografo di tracciare identikit interessanti della dimensione ludica nell’età di mezzo. E’ quanto, con la ricerca esplorativa, si è inteso fare; per aggiungere, all’ipotesi da noi perseguita sui continuum vitali, qualche constatazione empirica. Una prospettiva di ricerca, questa, con la quale si intende sottolineare l’intrinseca plasticità, nelle diverse fasi della vita, di alcune costanti esperienziali nel corso delle quali, pur di fronte a mutazioni e cambiamenti, esse si ripropongono in forma di palinsesto. Sul quale, al di là delle innumerevoli cancellature e riscritture, sono sempre rintracciabili gli elementi essenziali con i quali il soggetto può stilare la propria, personale, sceneggiatura”. A partire dagli anni ‘70, nel nostro Paese, è iniziato un grosso processo di trasformazione, in senso democratico, del vecchio stato centralistico. L’articolo numero cinque della Costituzione italiana afferma che “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali: attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo, adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. I concetti di decentramento e di partecipazione citati nella costituzione, hanno permesso un graduale avvicinamento alla comunità locale, sia regionale che comunale. Questa rivoluzione di decentramento inizia con l’istituzione delle Regioni nel 1970. “Nel 1976 con la legge n 278, Norme sul decentramento e sulla partecipazione dei cittadini nell’amministrazione del Comune, viene generalizzato sul territorio nazionale il principio di ‘decentramento comunale’ allo scopo di promuovere la partecipazione popolare alla gestione amministrativa della comunità locale; nascono così i consigli circoscrizionali con potere di rappresentanza delle esigenze della popolazione del quartiere con funzioni sia consultive, sia deliberative”.
Le unità sociali del territorio (associazioni, sedi di partito ecc…) rappresentano luoghi potenziali per lo sviluppo di momenti aggregativi che possano attribuire significato all’anonima esistenza urbana, dal momento che l’area metropolitana non sembra più presentare, come caratteri tipici, il senso di appartenenza e di libertà.
Nel 1978 viene emanato il D.P.R. n 616 con cui è stabilita un’importante coordinazione tra le Regioni che devono prevedere forme di associazione tra i comuni e la programmazione nazionale. In uno dei punti più importanti del decreto, è menzionata la rivalutazione del servizio sociale, intendendo con tale espressione la possibilità di ampliamento del complesso di attività svolte dalla comunità, tendenti ad assicurare al cittadino, non solo il proprio benessere fisico, mediante l’organizzazione di servizi di assistenza sanitaria, ma anche la propria elevazione morale ed intellettuale. “Il modello istituzionale dei rapporti tra cittadini ed istituzioni che ci si presenta, dopo l’entrata in vigore di tali leggi, è assai diverso da quello tradizionale in essere negli anni scorsi. La logica del nostro legislatore non è quella di incanalare le spinte provenienti dalle istanze sociali entro schemi istituzionali prefissati come in passato, ma il disegno è opposto, cioè di ‘valorizzare le libere forme associative’, di assecondare i fenomeni di associazionismo e di volontariato non adeguatamente rappresentati nell’attuale sistema politico”. In conclusione esiste un apparato legislativo che prevede norme di tutela e sovvenzionamento in favore dell’associazionismo culturale, ma molto spesso l’applicazione di tali decreti è offuscata da una soffocante burocrazia che ne impedisce l’espletamento in senso strettamente operativo.

Il territorio come contenuto del programma di formazione

“La nozione di territorio, tradotta in termini operativi, assume dei significati. Innanzitutto il territorio come luogo dell’azione: si deve delimitare un’unità territoriale economicamente, socialmente e culturalmente circoscritta, che presenta problemi concreti e specifici e che tenta di definire le linee di uno sviluppo possibile. Va da sè che l’azione di formazione si deve riferire a queste situazioni e contribuire alla loro evoluzione. In secondo luogo il territorio come luogo di partecipazione, soprattutto all’impianto delle attività di formazione. Si parte dal presupposto che nessuno meglio di chi vive in una determinata zona conosce i problemi che vi si pongono e i bisogni della popolazione, anche quelli formativi e culturali. Si è convinti inoltre che l’azione non possa riuscire se tutto l’ambiente non vi è coinvolto. In terzo luogo il territorio come contenuto del programma di formazione.Gli adulti si impegnano in un’attività di formazione solo se hanno la speranza di trovarvi una risposta ai loro problemi, nella loro situazione. Ciò richiede che si parta dai problemi di vita e di lavoro e che l’attività di formazione assuma l’aspetto di un approfondimento di tali problemi attraverso tutte le conoscenze necessarie. Ma poichè i problemi di vita e di lavoro sono quelli che nascono e si pongono nei luoghi in cui si vive, è il territorio che, come ambito della vita produttiva e residenziale, diventa l’oggetto, il contenuto della formazione. E, quindi, sono i problemi del lavoro, della casa, dei trasporti, dei servizi, della sanità, del tempo libero, della scuola, del consumo culturale, dell’emarginazione che vengono in evidenza. D’altra parte soltanto se si fa del territorio il contenuto della formazione si possono ‘incontrare’ quei nuovi soggetti che, nella situazione di oggi, diventano sociologicamente e politicamente sempre più rilevanti: i giovani, le donne, i lavoratori precari, i sottooccupati, gli immigrati. La nozione da utilizzare è quella di formazione secondo momento rispetto ad un primo che è il territorio, la vita quotidiana”.

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