di Andrea Ermano
Da Bava Beccaris a Mussolini, da papa Ratti al filosofo Gentile, da Togliatti a Berlinguer, non sono mancati nel nostro Paese uomini pronti a giurare che il socialismo era una “cane morto”.
A via Solferino nelle stanze delle “Lettere al Corriere” la direzione del maggior quotidiano italiano colloca i propri veterani più autorevoli. La rubrica fu grande sotto l'ultimo Montanelli, che l'assunse dopo la defenestrazione subita da Berlusconi al Giornale. Oggi delle “Lettere” si occupa Sergio Romano, che ebbe una brillante carriera diplomatica, iniziata alla NATO e culminata a Mosca in veste di ambasciatore italiano ai tempi dell'URSS.
Nella sua ultima “stanza”, apparsa il 4 luglio 2001, Indro Montanelli scrisse all'ex direttore dell'Avanti!, Giuseppe Tamburrano, a proposito dei socialisti: “Credo che come forza politica siete abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito lo ritroverà”.
Ieri una lettera al Corriere, a firma Mario Bazzani, constatava come da quella “stanza di Montanelli” siano passati quasi sette anni. E la situazione dei socialisti resta ancor sempre “mal messa”. Non senza colpe da parte dei media, accusa Bazzani: “se il Corriere, come tanti altri di informazione, ritengono che la manifestazione a Genova di avvio della campagna elettorale del Partito Socialista non meriti nemmeno una riga di commento”, diverrà pressoché impossibile per Boselli riuscire a portare una delegazione socialista in Parlamento il 15 aprile.
Pietro Larizza, ex segretario generale della Uil e senatore uscente dell'Ulivo, ritiene che il PS confermerà la propria presenza sia alla Camera sia al Senato. Impensabile? E' davvero impensabile che Boselli, Angius, Spini e Craxi superino il quattro per cento alla Camera? E' impensabile che Larizza centri la soglia dell'otto per cento in uno dei collegi senatoriali in cui egli si è ripresentato nelle liste del PS? Lo sapremo tra ventinove giorni.
Per quel che ci concerne, abbiamo fatto nostra la tesi del prof. Paolo Bagnoli, presidente dell'Istituto Storico della Resistenza in Toscana: “La rinascita del socialismo non è risolta se il Ps supera il 4 per cento – e ce lo auguriamo – né spenta se dovesse rimanere fuori dal Parlamento” (ADL del 29.2.08).
La soluzione del problema riguarda i modi in cui dovrà proseguire un secolo e più di azione socialista sul piano, ben prima che elettorale, politico-organizzativo: non riguarda il “se”, ma il “come”. A men che qualcuno non ritenga davvero il nostro Paese l'unico in Europa nel quale possa mancare un presenza socialista forte e organizzata. In politica i vuoti vengono riempiti… Questo insegna la storia.
Non così per Sergio Romano, secondo cui “quando scriveranno la storia del Partito Socialista italiano, fra qualche decennio, gli studiosi saranno costretti a constatare che la sua sorte, dopo la fine della guerra fredda, è stata completamente diversa da quella dei partiti socialisti europei”. Disponendo di talmente tanta sicurezza di giudizio sugli eventi futuri da conoscere oggi quel che gli studiosi scriveranno tra decenni, Romano dimostra agevolmente l'inutilità della vecchia casa socialista in Italia, e questo due ragioni: 1) “perché non potrebbe fare, se andasse al potere, nulla di sostanzialmente diverso da quello che farebbe il Partito democratico” e 2) “perché l’Italia non ha bisogno di piccoli partiti che non riescono a governare, ma possono impedire agli altri di farlo”.
Quanto al secondo punto, Romano teme che il PS nasconda “le ambizioni di piccole nomenklature, decise a conservare il loro piccolo territorio e tutti i suoi inutili orpelli identitari”. Boselli ha il suo benservito, lui che tra gli alleati di centro-sinistra si era indubbiamente distinto per ragionevolezza e lealtà: reo di non comprendere che cent'anni e passa di socialismo italiano costituiscono “un inutile orpello identitario”. Ed ecco perché: “Se la nostra maggiore esigenza è quella di vivere in una Italia governabile e governata”, puntualizza Romano senza tanti complimenti, allora “è meglio votare per un grande partito che abbia qualche ragionevole possibilità di vincere o di fare una opposizione efficace”. Voto utile: o Veltroni o Berlusconi.
E però Veltroni, ma anche Berlusconi, hanno cavato di tasca programmi talmente simili da indurre Giannelli a pubblicare sulla prima pagina del Corriere di ieri una vignetta tragicomica, nella quale il capo del PD guarda perplesso la propria immagine riflessa e… vede apparire il capo del PDL.
Resta perciò un interrogativo. Se i programmi di PD e PDL appaiono platealmente simili a tutti, che senso ha l'asserto: “Beninteso questo non significa che manchi in Italia un programma politico simile a quello delle maggiori socialdemocrazie europee”? Qui Romano dovrebbe chiarire il suo pensiero. Perché il senso comune indurrebbe a ritenere che o il programma di Veltroni è simile a quello di Berlusconi oppure è simile a quello delle maggiori socialdemocrazie europee. Delle due l'una. O si pensa che le posizioni del PSE siano simili a quelle del Berlusca? Per carità, nel nostro Paese, così sano e così laico, ogni opinione è sacra, ma insomma, come dire, ci vuol coraggio.
Ricordava Giuseppe Faravelli nel 1946 durante la campagna elettorale per la Costituente “Il Partito Socialista è il partito della democrazia e della pace. In Italia come altrove è il pilastro della democrazia e della pace. Esso è ben consapevole di questa sua funzione politica, nella quale nessun altro partito può surrogarlo, ed è ben deciso a mantenere il suo posto di grande partito nazionale e ad assolvere con fermezza il suo compito. La sua storia è lì a provare che esso è sempre stato interprete fedele di aspirazioni insopprimibili. Quattro volte parve stroncato dai nemici suoi, dai nemici della classe lavoratrice – nel 1894, nel 1898, nel 1915, nel 1925: è sempre è risorto più forte di prima. Esso ha affrontato, inflessibile, crisi, guerre, catastrofi”.
Da Bava Beccaris a Mussolini, da papa Ratti al filosofo Gentile, da Togliatti a Berlinguer, non sono mai mancati nel nostro Paese uomini, per altro potentissimi, pronti a giurare che il socialismo era morto e ri-morto. Ma si sbagliavano. Dall'unità d'Italia a oggi non c'è stato secolo in cui il socialismo non sia ri-morto. E' avvenuto così nell'Ottocento. E accaduto nuovamente nel Novecento. Quanto alle vicende di questo XXI secolo, è già ri-morto almeno due o tre volte. E chissà quante ri-morti seguiranno ancora. Ma finora, a parte il futuro, gli storici convengono sul fatto che in Italia il socialismo è sempre rinato.
Perché? All'inizio del ventennio fascista, Matteotti testimoniava di persona questo convincimento: il Socialismo è un'idea che non muore. Finito il ventennio, Faravelli riprendeva l'idea di Matteotti con queste parole: “Finché il cuore degli uomini sarà riscaldato dall'amore della giustizia e della libertà, il Socialismo non morrà”.
Il destino del socialismo non sembra posto dunque nelle mani dei potenti, papi, dittatori, filosofi, grandi leader politici. Quel destino resta nascosto nel cuore degli uomini. E allora bisognerebbe sapere se il cuore degli uomini possa radicalmente mutare a riguardo della Giustizia e della Libertà, rimanendo però un cuore semplicemente umano. Sarà lecito esprimere qui il nostro dubbio? Quanto meno un dubbio? In fin dei conti questo dubbio riflette una speranza semplicemente umana. Ma anche il nucleo di certezze mortifere del nostro establishment esprime qualcosa di umano… troppo umano.