Ciack si gira, PD location Italia

di DANIELA GAUDENZI

Lo sguardo della stampa estera sugli scenari italiani a due mesi dal voto non consente molti dubbi riguardo lo stato comatoso del panorama politico nel suo complesso.
Si va dal Pais che si domanda incredulo se cambierà qualcosa al Wall Street Journal che sentenzia “il caos è la norma” al Times che sottolinea “Se l’Italia è ridotta così è anche colpa di Berlusconi” fino al Financial Time che sintetizza “Ormai è un’opera buffa”.
Se invece si ascoltano i commentatori e gli opinionisti di casa nostra sembra di assistere a tutt’altro spettacolo: è una gara ad evidenziare gli elementi di novità, di cambiamento se non addirittura di palingenesi della politica nostrana che si sarebbero aperti con la scelta certamente legittima e forse in parte anche chiarificatrice di Veltroni di correre da solo.
Si sprecano i paragoni fuori luogo con Barack Obama, si plaude all’appropriazione indebita ed abusiva del we can americano nato da un movimento e da una partecipazione popolare senza precedenti, si accosta un uomo nuovo e coerente che si è saputo imporre agli apparati del partito democratico con il sindaco di Roma già vice-presidente con Romano Prodi nel ’96, specializzato nel ma-anchismo, cavallo di battaglia del bravissimo Crozza, ma certamente non di sua invenzione.
Dopo il discorso di Spello si rincorrono le suggestioni cinematografiche in omaggio al sindaco che ha inventato la Festa del cinema come se davvero la politica potesse per sempre essere fatta di cartapesta, spot, effetti speciali, location esteticamente azzeccate.
Da Fabrizio Rondolino, impareggiabile creatore de La pupa e il secchione definito uno spettacolo cult da un intellettuale dello spessore di Clemente Mastella, potevamo anche aspettarcelo un commento entusiastico fino alla citazione pittorica erudita che si è spinta allo “scenario giottesco” e alla suggestione senese del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti.
Che anche Curzio Maltese aprisse il suo pezzo sulla prima pagina di Repubblica con una comparazione estetica tra lo sfondo pittorico e fiabesco che ha incorniciato l’apertura della campagna elettorale di Veltroni e le immagini vere di luoghi autentici dove la gente lavora, si riunisce e manifesta la sua adesione ed il suo entusiasmo per Obama alle primarie americane, non era altrettanto prevedibile ma è solo uno sconsolante segno dei tempi dalle nostre parti.
“La bella Italia di Walter comincia in uno scenario che Obama se lo sogna”, può essere dettato o dalla disperazione o dalla progressiva perdita di quella minima “giusta distanza” che dovrebbe essere regola inderogabile anche del giornalista più schierato ed appassionato, tanto più se bravo come Curzio Maltese.
Dello stesso tenore il commento entusiastico di Alessandro Amadori che almeno giornalista non è e preferisce la cifra filmica a quella pittorica: “Sembra Obama in un film di Salvatores. Il miglior interprete del modello Obama in Europa”. E un susseguirsi di apprezzamenti su scenari e location e modelli, esclusivi parametri dell’analisi politica evidentemente sulla base del convincimento che come aveva detto Berlusconi molto tempo, fa in fondo gli elettori hanno un livello di comprensione e valutazione analogo a quello di un ragazzino di undici anni nemmeno tanto sveglio.
Solo che se è veramente così e nella sua stragrande maggioranza l’opinione pubblica italiana e l’elettorato, grazie anche all’imbonimento televisivo, all’omologazione e all’asservimento progressivo dei cosiddetti intellettuali, si è ridotta a percepire e ad apprezzare esclusivamente la confezione e la superficie del prodotto, la partita è persa in partenza.
Perché come si può competere sul suo stesso terreno con uno che come diceva Enrico Cuccia, e non in termini elogiativi, si è arricchito producendo “erba trastulla”? Non a caso questo signore si ripresenta a distanza di quattordici anni per la quinta volta, sempre più liftato e colorato, sempre con le stesse facce o ceffi a seconda dei gusti, imbarcando tutto l’imbarcabile (per ora ha resistito solo Storace mentre Casini sta facendo le ultime bizze con trattative) e se all’estero si stupiscono un po’ inorriditi, qui non fa una piega nessuno, tanto meno il principale avversario, l’Obama de’ noantri.
Tutti si compiacciono del gentlemen’s agreement, inneggiano ai toni pacati, al superamento definitivo di termini out come conflitto di interessi, leggi ad personam, pluralismo e concorrenza televisiva (che sembrano interessare invece all’Europa pronta a sanzionarci), dico, laicità, mafia, camorra, ‘ndrangheta…
Forse al Partito Democratico e dintorni, tutti affaccendati nella scelta di loft e location devono essersi convinti che le elezioni si vincono con un sondaggio tra i lettori di Domus, Vanity Fair e Ciack.

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