Kossovo: un’alternativa all’indipendenza

di Vincenzo Greco

Parlando durante la sessione plenaria del Parlamento Europeo di questo mese, il primo ministro sloveno e presidente di turno dell'UE, Janez Janša, ha notato che le speranze per un accordo sul Kossovo nell'ambito dell'ONU sono esaurite e ha sottolineato il consensus che esiste tra gli stati-membri per l'invio di una missione europea nella regione. Quasi contemporaneamente, si intravedeva una spaccatura in due blocchi: la stampa internazionale parlava apertamente di un accordo tra gli Stati Uniti e la Germania per il riconoscimento dell'indipendenza che quasi sicuramente i kossovari dichiareranno unilateralmente dopo le elezioni serbe (New York Times, 11 gennaio 2008), mentre la Russia dichiarava che il Kossovo non sarà mai accettato alle Nazioni Unite, se decide di procedere a tale mossa, avanzando un piano guida (road map plan) per trovare una soluzione sul Kossovo secondo i principi accordati dalla comunità internazionale, vale a dire sulla base della risoluzione 1244 che non fa alcuna menzione all’eventualità d’indipendenza. Sul luogo, i Kossovari-albanesi scendevano in cortei con bandiere americane e in Serbia la maggior parte della popolazione vede che l’unica speranza per l’integrità territoriale del paese viene dalla Russia.
Si crea insomma una situazione che vede i Balcani al centro di una nuova allarmante tensione, con riflessi pericolosi per l’intero ordine internazionale. Ancora una volta pare che i politici dimentichino le lezioni della storia; dimenticano che proprio dai Balcani iniziarono due guerre mondiali e che, quindi, le loro questioni devono essere trattate con estrema attenzione. Da queste guerre risultò un ordine internazionale codificato nella Carta delle Nazioni Unite, la quale dichiarava illegittimo l’uso della forza nelle relazioni internazionali, almeno che si trattasse di legittima difesa o fosse attuato sotto l’esplicito mandato del Consiglio di Sicurezza. Nel 1975, con la dichiarazione di Helsinki, a tale principio fu aggiunto un’altra importante regola del diritto internazionale: l’inviolabilità dei confini, almeno che il loro cambiamento non fosse il risultato di accordi internazionali. Ambedue i principi permisero una sorta di equilibrio e stabilità nei difficili anni della Guerra Fredda e per tale motivo furono riconfermati dopo la fine del bipolarismo con la Carta di Parigi (1991). Negli anni successivi, però, furono messi duramente alla prova e l’ultimo caso è appunto rappresentato dalla situazione del Kossovo.
La Comunità internazionale ha, in effetti, fatto una serie di errori in relazione al Kossovo. Prima di tutto, nel 1999, abbiamo assistito ad una guerra tra la NATO e la Repubblica Federale della Yugoslavia (RFY), la quale, nonostante ciò che si potrebbe sostenere circa la sua “giustezza”, non era stato il risultato di una risoluzione-mandato dell’ONU. La Comunità internazionale cercò, comunque, di risolvere questo problema con la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che fecce propria la causa del Kossovo, stabilendo una sorta di protettorato internazionale sulla regione serba e fissando i “principi generali” per la definizione del futuro di tale territorio abitato per il 90% da albanesi e per il resto da serbi (concentrati a nord del fiume Ibar/parte nord del Kossovo con capoluogo Mitrovica). Questo significava che la situazione non era chiarita dalla guerra e che era proprio la comunità internazionale che doveva cercare una soluzione definitiva, ma il suo approccio si provò fallimentare, soprattutto perché non prese misure immediate per la risoluzione del problema del Kossovo, ma anche perché la Comunità internazionale si discostò dagli obiettivi accordati.
Secondo la risoluzione 1244, infatti, quattro erano gli obiettivi principali da raggiungere: a) garantire la sicurezza dell’elemento albanese e il ritorno dei numerosi rifugiati alle proprie sedi; b) provvedere all’effettivo autogoverno dei kossovari-albanesi, rispettando l’integrità territoriale della RFY; c) rimettere in motto lo sviluppo economico della regione; e d) definire, tramite negoziati con tutte le parti interessate, lo status finale del Kossovo. Per la riuscita di questi traguardi, le Nazioni Unite inviarono nel 1999 una missione per governare temporaneamente il Kossovo (nota come UNMIK), una forza della NATO (la KFOR) assunse il compito della sicurezza, mentre l’UE ebbe la responsabilità per la ricostruzione economica e lo sviluppo della regione. Due anni dopo, arrivò il momento dell'autogoverno dei kossovari. Nel 2001, fu varata una costituzione e subito dopo fu eletto il primo governo del Kossovo. Dopodiché, a nostro avviso, priorità assoluta doveva essere un accordo con i serbi; dopo ancora due anni di ritardo, invece, l’UNMIK stabilì un gruppo di standard che sarebbero dovuti essere soddisfatti prima dell’apertura dei negoziati per il futuro status del Kossovo (esistenza d’istituzioni democratiche, dello Stato di diritto, della libertà di movimento e rispetto delle minoranze). Si trattava della politica che divenne nota come “standards before status”, la quale, nonostante i suoi buoni intendi, si provò problematica per il futuro della questione del Kossovo.
Prolungando nel tempo la risoluzione, la Comunità internazionale aumentò le speranze degli albanesi per l'indipendenza, i quali assunsero posizioni sempre più intransigenti ed anche violente (nel 2004 furono loro ad attaccare i kossovari-serbi, le proprie case e chiese), provando anche come le missioni internazionali non possono garantire la sicurezza a lungo termine in assenza di soluzioni politiche. Nell’ottobre 2005, di conseguenza, il Consiglio di Sicurezza decise di abbandonare tale politica e di avviare finalmente i negoziati per lo status della regione. Purtroppo, era già troppo tardi per un accordo comune. Dopo due anni di negoziati, l'inviato speciale delle Nazioni Unite, Martti Achtisaari, dovette concludere che Pristina non accetterà niente di meno dell’indipendenza, arrivando sino al punto di sostenere che l’autonomia del Kossovo nell’ambito dei confini della Serbia “è semplicemente non sostenibile” e che “l’indipendenza è l’unica opzione per un stabile ed economicamente vivibile Kossovo” ).
Si arriva, così, all’ultimo e più pericoloso errore: il mediatore abbandona la posizione imparziale che per definizione doveva avere nel tentativo di risoluzione della disputa e si pone manifestamente dalla parte di uno dei contendenti; una parte della Comunità internazionale (gli Stati Uniti e la maggior parte degli Stati-membri dell’UE) appoggia il suo piano per “l’indipendenza sorvegliata” (supervised independence); e un’altra (Russia e gli Stati europei e non che temono gli effetti che potrebbe comportare il precedente del Kossovo per altri movimenti secessionisti nel mondo) la rigetta appoggiando la posizione iniziale per un’accordata soluzione con la Serbia sulla base della risoluzione 1244, vale a dire l’autogoverno della regione nell’ambito della Serbia. Una situazione, cioè, nella quale si tende di non prendere in considerazione gli argomenti dell’altro e di non accettare soluzioni di compromesso.
Tale situazione, purtroppo, si riflette anche nell’ambito dell’Unione Europea. Sempre di più si sente, infatti, la posizione che i paesi membri che hanno obiezioni circa l’indipendenza del Kossovo (Cipro, Grecia, Spagna, Slovacchia e Romania) dovrebbero astenersi costruttivamente durante l’espressione della posizione dell’UE per il riconoscimento del Kossovo. Ma, in tal caso, che ne sarebbe della solidarietà reciproca nell’ambito della politica estera dell’Unione?
In tale contesto, i serbi diffidano delle intenzioni europee. Molti vedono con sospetto il progettato invio di una forza nel Kossovo e il Parlamento serbo ha già votato una risoluzione che la considera una minaccia per la sovranità ed integrità territoriale della Serbia. Bisogna, inoltre, considerare, che il problema della legittimità di tale invio rimane irrisolto, data l’assenza di una risoluzione ONU. Un’iniziativa greca ha cercato di dare qualcosa in cambio a Belgrado, proponendo l’immediato avanzamento dei rapporti euro-serbi. La Presidenza slovena adottò l’idea e promosse la firma dell’Accordo di Stabilità ed Associazione il 28 gennaio, ma il tentativo si scontrò con l’insistenza olandese e belga sull’obbligo della Serbia di consegnare Mladic alla Corte Penale di Giustizia. In questo caso, naturalmente, l’unanimità rimane la regola. Finalmente, mentre la Serbia firmava grande accordo con la Russia per l’approvigiamento energetico del paese, l’Unione decise di offrire a Belgrado la firma di un accordo intermedio da firmare il 6 febbraio, subito dopo il secondo giro delle elezioni serbe. Nonostante, la vittoria del filoeuropeista Tadic alle elezioni, la questione del Kossovo rimane irrisolta e al centro di un antagonismo tra Est ed Ovest.
Adottiamo, insomma, un atteggiamento sbilanciato che solo effetti negativi può avere per la cooperazione internazionale ed europea. Per tale motivo, a mio modesto avviso, si rende necessario un aggiustamento di tale pericoloso corso con il ritorno alle norme del diritto internazionale e con rispetto di tutte le posizioni della Comunità degli Stati. Nella diplomazia non è mai tardi per soluzioni costruttive e proprio l’Italia potrebbe costruire l’esempio vivo per tale soluzione. Il modello del Trentino-Alto Adige potrebbe offrire il precedente per il Kossovo: un sistema di tre livelli di sovranità, cioè, che vede un autonomo Kossovo nell’ambito della Serbia e un’autonoma provincia di Mitrovica nell’ambito del Kossovo. Tale soluzione potrebbe trovare soddisfatti tutti i contendenti sul luogo e la comunità internazionale potrebbe tranquillamente assumere il compito di garanzia della soluzione, anche con l’invio di una forza di polizia europea nella regione.

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