La crisi dopo la pochade

di DANIELA GAUDENZI

Lo stato delle cose al momento si può riassumere con l’immagine di un Governo che dopo aver pencolato per mesi, sotto la minaccia di una spallata tanto annunciata quanto costantemente fallita, rischia di essere alla fine vittima annunciata e in buona parte consenziente del ricatto di un partito dell’1,4% e del suo capotribù dimissionario che dopo un’escalation senza fine e la promessa del sostegno esterno, annuncia di uscire dalla maggioranza e di non votare la fiducia a Romano Prodi.
E questo dopo aver ottenuto la solidarietà degli esponenti del Governo, dopo che i maggiori esponenti della maggioranza nei loro interventi in Senato sulle dimissioni di Mastella, si badi bene per gli arresti domiciliari alla moglie che si è guardata come sarebbe stato molto più logico ed opportuno dal dimettersi dalla presidenza del consiglio della regione Campania, si sono compiaciuti per il consenso bipartisan all’attacco alla magistratura, dopo che Prodi ha preso l’interim della Giustizia auspicando un pronto ritorno del titolare. Il presidente del Consiglio insieme alla richiesta di un ripensamento da parte del guardasigilli si era anche spinto ad elogiarne “la sincerità dei sentimenti e la nobiltà del gesto a cui il Parlamento unito ha tributato un plauso”.
Ma non bastava ancora e così il numero due del partito Fabris, mentre il boss di Ceppaloni si divideva tra bagni di fan osannanti e papa-day sempre con il telefono opportunamente staccato, ha dettato le iniziative e le condizioni ulteriori: adesione parola per parola all’invettiva del ministro della Giustizia contro i magistrati, intervento del capo dello Stato contro la persecuzione giudiziaria in atto, interpellanze sui costi delle intercettazioni che hanno portato agli arresti domiciliari o in carcere lo stato maggiore del partito. . .
Poi prima che gli “sventurati” interpellati rispondessero o eventualmente si adeguassero è arrivato secco il no alla fiducia e al sostegno seppur esterno alla maggioranza.
Allora valeva pena rincorrere Mastella oltre i limiti della decenza? Era così difficile prevedere con un piccolo sforzo di immaginazione dove sarebbe andato a parare un navigatore di lungo corso e disinvolto trasformismo come Clemente Mastella che aveva già comunicato a Berlusconi l’intenzione di dimettersi, che non esita a considerarsi un perseguitato dalla giustizia per i suoi incrollabili valori cattolici, che non ha fatto mai mistero di considerare la riforma elettorale la sua personale emergenza democratica? Dato che gli inciuci o pateracchi in corso in materia di riforma elettorale non stanno andando nel senso da lui auspicato e visto che la Corte Costituzionale ha ammesso i quesiti referendari che lui considera come un attentato alla sua persona, perché non avrebbe dovuto rompere gli indugi con il nobile pretesto delle dimissioni “per amore” per poi dare definitivamente un calcio al governo Prodi?
Al di là degli scenari che si aprono con una crisi di Governo quantomeno dichiarata, non molto più entusiasmanti del livello di sopravvivenza a cui ci ha abituato questa maggioranza, emerge dirompente lo scoramento, la sfiducia, ma sarebbe più appropriato dire il disgusto dei cittadini, della società civile per quanto possa essere brutta, sporca, cattiva, ad immagine e somiglianza della società politica come si affannano a dire tutti i politici, tra cui il presidente del Consiglio.
Quanti cittadini si riconoscono nella ola indecorosa del Parlamento al dimissionario Mastella quando dice che i magistrati che indagano i politici sono “una frangia eversiva” ovvero “un pacchetto di mischia” che fa un uso politico della giustizia? Quanti cittadini di qualsiasi orientamento politico pensano che la priorità da risolvere con un provvedimento d’urgenza come il decreto, siano le intercettazioni telefoniche, nel senso di non renderle praticamente mai pubblicabili, quando, come accade sempre più spesso date le loro abituali frequentazioni, sono coinvolti dei parlamentari?
A confermare il baratro che ormai divide i cittadini dalle istituzioni rappresentative e dalla politica sono gli ultimi dati del Censis che registrano una disaffezione alla politica in progressione costante: 3 cittadini su 4 non si fidano più di Parlamento e Governo; meno del 19% ha fiducia nei partiti; cresce il consenso per la magistratura nonostante la campagna di delegittimazione che imperversa da quindici anni a questa parte.
Il fatto che in Italia per una serie di ragioni che è impossibile analizzare in poche righe, di cui è concausa un’informazione assente e fuorviante, non esista un’opinione pubblica consapevole e adeguatamente reattiva non fa casomai che aggravare la crisi della nostra democrazia, rimandando nel tempo esiti che potrebbero non essere indolori per la “casta” e traumatici per il paese.

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