Se la strada di Veltroni si mette tutta in salita, per le riforme si fa notte buia. Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, ha messo in campo tutto il notevole potere di interdizione di cui dispone, sia nei confronti del nascente PD ma ancor più nei confronti della strategia veltroniana. Nei modi brutali che gli sono propri, Prodi lo ha ricordato nella conferenza stampa di fine anno, quando si è messo di traverso alla riforma elettorale, senza troppi complimenti. Il premier si è fatto garante dei piccoli partiti nei due schieramenti, con ciò affossando ogni pur remota prospettiva di semplificazione del quadro politico a vantaggio della governabilità del Paese. A Prodi interessa la sua personale governabilità, tutto il resto non lo sfiora neppure.
In queste condizioni il centrodestra non può non mettere in campo una propria strategia unitaria. Messa in soffitta la strategia della spallata, le cose non promettono di andar meglio solo con il dialogo. Casini e Fini sono sempre convinti che Prodi va in crisi prima se si apre la strada delle riforme? Io dico: attenti. Prodi offre riforme in cambio della sua inamovibilità da palazzo Chigi. Il centrodestra è al bivio e deve decidere se è più urgente per il Paese avere una nuova legge elettorale, con il rischio di consolidare l’attuale maggioranza, oppure sbaraccare un esecutivo che tutti – da Casini a Fini a Berlusconi e Bossi – reputano una vera calamità per il futuro dell’Italia.
L’unità del centrodestra su questo punto è decisiva. Da essa può dipendere il successo o meno dell’iniziativa veltroniana, destinata altrimenti a naufragare sotto i ricatti di Prodi.