L’acqua che non c’è più!

di Marco Buffa

Improvisamente molte ditte italiane, soprattutto piccole, che esportavano acqua minerale in Germania, sono sparite dai negozi e dagli importatori tedeschi. Perché? Cosa è successo? Cosa c’è dietro? E perché l’Ambasciata non ne sapeva niente?
Le acque minerali italiane e il mercato tedesco: un matrimonio che “non s'ha da fare”. Negli scaffali dei supermercati tedeschi diventa ormai sempre più difficile trovare acqua minerale italiana. Perché? Abbiamo chiesto una spiegazione ad due importatori italiani la Asimex e la Me.Ta. di Francoforte presenti in Germania da molti anni.
Per gli importatori il nocciolo del problema è il cosiddetto Pfand, cioè il vuoto da restituire dietro cauzione o, per essere più precisi, la normativa Dpg (Deutsche Pfandsystem GmbH).
Ci spieghiamo: il problema principale è che molte acque italiane non portano sull’etichetta il logo del Pfand e, di conseguenza, le bottiglie vuote non vengono accettate dalle ditte di smaltimento tedesche. Alla fine restano in giacenza nei magazzini degli importatori che non hanno idea di come riciclarle.
Il responsabile della Me.Ta. ci spiega che le ditte italiane, per essere in regola con la normativa del Dpg, devono avere un conto corrente e il Gewerbe (licenza d’esercizio) in Germania. Inoltre, per poter stampare il codice Dpg sull’etichetta (che permette il riconoscimento delle bottiglie nelle macchine del Pfand), le ditte devono avere un’autorizzazione internazionale che viene rilasciata pagando una tassa.
Questo lungo e costoso iter burocratico scoraggia le piccole ditte italiane che non trovano conveniente perdere tempo e denaro per accedere al mercato tedesco. L’effetto è una significativa perdita per i nostri importatori (la Me.Ta. ci ha riferito che su 16 marche di acqua 11 hanno rinunciato ad investire sul mercato tedesco) e la conseguente sparizione della acqua italiana dalle nostre tavole.
“Il problema si pone anche sul piano della concorrenzialità -aggiunge il responsabile della Me.Ta. sig. Tauronemolti colleghi importatori (greci e turchi) non si preoccupano della normativa Dpg ed importano acqua italiana senza il marchio pfand; ma questo operazione è illegale e si rischiano migliaia di euro di multa e il ritiro della licenza”.
La Me.Ta. ha cercato di interpellare il ministero competente per fare chiarezza su questa scorrettezza commerciale ma il ministero ha risposto di non avere i mezzi sufficienti per fare dei controlli e che eventuali “concorrenti sleali” vanno denunciati alle autorità competenti.
Logicamente i responsabili Asimex e Me.Ta. non fanno di professione gli agenti di polizia o gli spioni, quindi non possono fare causa a ditte concorrenti; così si sono trovate da sole. Anche le autorità italiane, non preoccupandosi del problema, hanno contribuito ad aumentare il livello di isolamento dei nostri importatori.
L’ufficio commerciale dell’ambasciata ci ha infatti confermato la propria estraneità riguardo a questa faccenda. Qualche governo in Europa ha cercato di intervenire a sostegno dei propri importatori, per esempio il governo greco, che un anno fa ha intentato una causa contro la Germania presso la Corte Europea basandosi sul codice della normativa Ue che stabilisce il divieto di ostacolare la commercializzazione di un prodotto all’interno dei confini europei.
Nonostante ciò la Germania ha vinto la causa facendo perno sul principio che “la causa ecologica” deve porsi al di sopra delle logiche commerciali. La battaglia non è stata vinta ma almeno gli importatori ellenici hanno un governo che ha cercato di tutelare i loro diritti, a differenza di quello italiano.
Gli importatori si lamentano poi di una certa carenza di informazioni da parte delle autorità tedesche. “Spesso non sappiamo quali sono gli enti responsabili dello smaltimento e non ci sono pervenute informazioni precise riguardo l’applicazione della legge, sappiamo solo che la trasgressione della legge viene severamente punita” -dice il sig. Taurone.
Le acque italiane in regola con il Dpg si contano sulle dita di una mano e, non casualmente, sono tutte di proprietà di multinazionali con sede fuori dal territorio nazionale e con una struttura tale da non avere difficoltà a mettersi in regola. Ci sono anche ditte italiane che pur di essere presenti nel mercato tedesco hanno deciso di occuparsi personalmente dei vuoti di plastica riportandoli in proprio in Italia.
Il problema è che alcune ditte italiane non vengono in Germania a recuperare i vuoti presenti nei magazzini degli importatori. L’Asimex per esempio ha dovuto ricorrere alle vie legali contro una “nota ditta“ di acqua minerale italiana perché recuperasse i vuoti. Tutto questo va a scapito del consumatore che paga inutilmente un prezzo maggiorato dell’acqua; una maggiorazione che dovrebbe servire per coprire i costi di recupero e riciclaggio dei vuoti.
Dove andranno a finire i soldi di questo sovraprezzo? La risposta non la conosciamo. Abbiamo fatto delle ipotesi e, per saperne di più, abbiamo cercato di contattare il responsabile export con l’estero di una “nota ditta”. Dopo due settimane e numerose, vane telefonate abbiamo dovuto rinunciare perché irraggiungibile o troppo impegnato.
Almeno così ci hanno riferito le numerose segretarie con cui abbiamo parlato.

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