di Giovanni Pollice
In una bella e drammatica lettera il sindacalista Giovanni Pollice si congeda dal Partito Democratico. “Se l’amore è finito è bene darci un taglio”
Cari compagni/e, con voi ho condiviso, in tutti questi anni, un'esperienza coinvolgente e arricchente e di cui non posso che essere grato a tutti e tutte. Non dimentico il sostegno che mi avete dato durante l’ultima campagna elettorale che non ha avuto il successo auspicato, ma che comunque è stata un’esperienza che ci ha umanamente uniti. Grazie davvero di cuore.
Questa è la lettera più difficile della mia vita. Diverse volte, in questi mesi e settimane, mi sono apprestato a scriverla e poi ho rinviato per tornarci a meditare sopra. Ci conosciamo ormai da anni e sono sicuro che comprenderete quanto travaglio mi costi quanto sto per dirvi.
La mia posizione, come ho sottolineato durante il nostro ultimo congresso è nota. Avverto con un profondo convincimento l’esigenza di creare, come recitava il titolo della mozione a cui ho aderito, “Un partito nuovo, democratico e socialista”. Sottolineo questo secondo aggettivo che, a giudicare da diverse dichiarazioni, è passato inosservato.
Al contrario il progetto del nuovo Partito Democratico, per come si è andato via via configurando, per la sua fisionomia, per la vaghezza e la limitatezza del suo profilo culturale e politico, per l'esclusività dei soci fondatori ridotti ai soli Ds e Margherita, rappresenta, a mio avviso, una abdicazione ai valori e agli ideali di una sinistra socialista, laica, riformista.
Sono cresciuto ad una scuola, che è la stessa di tanti altri di voi, che ci ha insegnato che ci si può dividere sulle idee ma si rimane tutti uniti nello stesso partito. Un partito che per tanti come me ha sempre rappresentato una comunità ideale, valoriale e morale.
Un partito di cui potevi non condividere, volta a volta, proposte, scelte parlamentari o amministrative ma che comunque rappresentava per ognuno di noi un impasto speciale di passioni, di emozioni e sentimenti, di storie individuali e collettive che si intrecciavano col filo del tempo costituendo l'identità di se stessi tra la memoria del passato e la tensione verso il futuro.
La politica, e il partito come tramite, è stata per tanti di noi un mezzo per sentirsi degni, per dare un senso alla propria vita e un ordine alle proprie azioni. Oggi quel partito non c'è più. A Firenze si è solo decretata la sua fine con lo sciogliemento di fatto dei Ds.
Può non piacere, ma questa è l'interpretazione che tutti hanno dato ed è stata offerta, non solo da chi come me ha dissentito radicalmente dalle conclusioni di quel congresso che ho seguito in diretta su Internet, ma da tutti gli organi di informazione e dalla stessa Margherita nel suo congresso.
Laicità, appartenenza chiara e sincera al campo di forze del socialismo europeo, fase costituente di un nuovo soggetto politico unitario che partisse dalla riunificazione delle diverse anime del socialismo e del riformismo di sinistra per allargarsi fino al riformismo cattolico democratico e non viceversa, fino a chiudersi nell’angusto recinto di un esclusivo e predeterminato rapporto fra soli due partiti.
Questi sono i temi fondamentali posti, da me ed altri compagni che hanno sostenuto la sopraccitata mozione, a condizione della partecipazione di un percorso fondativo del nuovo partito. Il dibattito congressuale e i suoi documenti conclusivi non hanno dato alcuna risposta politica concreta a questi nodi di fondo.
Ciò che doveva essere un percorso ampio e partecipato dal basso, che si sviluppava nel tempo, si è concluso entro pochi mesi (settimane se escludiamo il periodo delle vacanze estive). Né Firenze, né Roma, né la fase successiva hanno dissolto uno solo dei dubbi e delle contraddizioni di cui è carico questo cammino. Anzi, secondo me, i dubbi e le contraddizioni sono cresciuti.
La vicenda sulla scelta dei segretari regionali, caratterizzata da litigi e pressioni, lusinghe e promesse è stata un brutto spettacolo. In merito alla composizione delle liste, quel che è apparso è stata la rincorsa dei gruppi dirigenti di partito ad assicurare soprattutto se stessi; altro che apertura al civile!
Non parliamo poi delle liste proliferate come i funghi, tanto che il 14 ottobre ai cittadini in alcune regioni verrà proposto un lenzuolo cartaceo di sigle, senza una base politica. Io non auguro il fallimento del progetto del Pd, a questo punto, sarebbe un danno per tutto il centrosinistra. L’augurio che faccio a tutti coloro che proseguiranno il loro cammino nel Pd è di avere successo. Per quanto mi riguarda, ormai ho deciso definitivamente.
Non starò nel Partito Democratico. Non ho partecipato al processo costituente del nuovo partito, perché sarebbe stato scorretto, ipocrita ed irrispettoso da parte mia farne parte per ostacolarne l’evoluzione. Avrei fatto un danno a chi, come voi, crede a quel progetto, e mi sarei macerato io stesso dentro un ruolo che non mi appartiene.
Ho sempre vissuto il mio impegno politico con passione e come passione da trasmettere alle persone, uomini e donne, ragazzi e ragazze con cui mi sono confrontato in questi anni. Ma per trasmettere passione devi avere passione. Passione che deriva dalla convinzione per un progetto politico. Una convinzione che può non essere totale ma che deve esserci in qualche modo, altrimenti si procede per inerzia o per rassegnazione e la rassegnazione è un suicidio quotidiano.
Nella bella commedia teatrale, “Natale in casa Cupiello”, il figlio del grande Edoardo ripeteva ogni qualvolta il papà tentasse di rendere più bello il presepe, “nun me piace o’ presepe!”. A me proprio non riesce a piacere questo “presepe-PD”.
Voglio concludere questa mia lettera con un impegno che spero possa essere reciproco. Questa mia scelta, sofferta, più ancora che sul piano politico, sul piano umano per l’affetto e l’amicizia che mi lega a tanti di voi, non è, e non vuole essere un abbandono del mio impegno, anche se per il momento non ho ancora deciso a chi legarmi; aspetto come si evolve il processo nella sinistra italiana.
Il mio non vuole essere neppure un addio. I nostri percorsi continueranno ad intrecciarsi – insieme continueremo a batterci per l’affermazione delle forze progressiste e dell’Unione – e mi auguro che un giorno possano tornare ad essere comuni. Prendiamo atto che una storia, quella del Pci-Pds-Ds si è conclusa definitivamente e inizia per tanti un nuovo cammino verso il PD.
È una scelta legittima che, pur non condividendo, rispetto. Care compagne e cari compagni, cerchiamo di vivere questa “separazione” laicamente, pacatamente. Un po’ come nelle coppie sfinite: uno dice vorrei pensarci, l’altro riproviamoci ancora. Ma se l’amore è finito, è bene dare un taglio prima che degenerino i rapporti personali. In fondo la politica bella è una forma di amore. La fine di un amore ci riconsegna al mondo e a nuove relazioni.
Mettiamola così… facciamoci gli auguri di buona fortuna è meglio per tutti. Un saluto e un abbraccio fraterno.