RISPOSTE DIVERSE AD UNA MEDESIMA ESIGENZA SOCIALE: IL PRIMATO DELLA MERITOCRAZIA.
Qualche settimana fa, RAIUNO – l’ammiraglia dell’azienda pubblica – ha trasmesso una fiction – termine anglofono, oggi di gran moda, per appellare gli italiani “teleromanzi”) dedicata alla vita ed alla musica di Rino Gaetano, un “poeta” della musica, noto soprattutto per la brevità della sua vita, non solo artistica.
Confesso di aver assistito alla trasmissione con avidità! E per svariati motivi.
Intanto, per ragioni “etniche”: il cantautore citato è, all’anagrafe, un mio concittadino!
Poi perché la sua storia artistica si snoda intorno agli anni settanta (la fine in particolare), un periodo della nostra recente storia che, lo confesso, mi affascina spasmodicamente e sul quale tento di non lasciarmi sfuggire le diverse occasioni – televisive, cinematografiche o editoriali – che, da ultimo, vengono proposte sull’epoca.
Peraltro, nella concentrazione della visione, alcuni episodi hanno catturato la mia attenzione con una forza inaspettata, costringendomi, li per li, a riflessioni veloci, ma profonde, sulla genesi e l’essenza della c.d. “lotta di classe” (e, addirittura, sull’esistenza stessa di una “classe” in lotta) così sentita in quel periodo, ed oggi – evidentemente – tramontata ed inconcepibile (almeno nei termini di cui dirà appresso).
In uno dei doversi “passaggi” che mi hanno molto colpito, il cantautore crotonese (che era figlio del portiere di uno stabile a Roma e, in quel contesto ed in senso lato, appartenente alla “classe operaia”), ancora prima di raggiungere i successi e ottenere le prime prebende, incontra una giovane e bella studentessa, di famiglia borghese (oggi si direbbe della “città bene”), impegnata politicamente con il movimento di sinistra e femminista dell’epoca.
Nella scena in cui il protagonista passa a prendere a casa la ragazza, della quale si innamorerà e con la quale inizierà una sincera relazione affettiva, sente il disagio della sontuosità della propria abitazione notato dal figlio del portiere e si scusa con lui se i suoi sono “ricchi borghesi”, o una cosa del genere.
In ciò, quindi, vi ho visto un sentimento di «vergogna per la ricchezza»!!!
Ancora! Dopo il successo artistico e i soldi veri, Gaetano vorrebbe acquistare per la futura coppia una enorme villa (cosa che poi farà, ma per sé solo), con annesso parco, alle porte di Roma. La giovane e bella borghese, però, si oppone allo sperpero, immaginando per loro qualcosa di più modesto e di più intimo.
Il contrasto, qui, è tra il «rifiuto della ricchezza» espresso dalla ragazza (che, però, non ha mai vissuto la condizione della povertà) e la «voglia di avere» di possedere, che il protagonista mostra evidenti!!!
Questi episodi di vita vissuta (e sicuramente romanzata) mi hanno stimolato, come dicevo, ad alcune riflessioni su cosa si deve intendere veramente con il termine “lotta di classe” e su cosa, negli anni settanta, questa espressione significasse.
Personalmente, nell’espressione “lotta di classe” vi leggo la medesima cosa di ciò che oggi si vuole intendere con la formula “voglia di meritocrazia”.
Oggi come allora, la “battaglia” non è (o, almeno, non lo è solo) per sostenere le ragioni e/o promuovere il miglioramento delle condizioni economiche e assistenziali di una parte della società (di un certo ceto sociale o di un particolare strato della società), di una “classe” appunto, che tale rimarrebbe, seppur a condizioni più favorevoli.
La competizione sociale, ora come negli anni settanta, è funzionale all’affermazione di un principio sacrosanto: evitare che ragioni diverse dalle capacità proprie di ciascuno condizionino (se non, addirittura, ostruiscano) l’accesso a livelli di responsabilità sociali più alti o, semplicemente, differenti.
La “lotta di classe” è stata, ed è, in questo senso, una lotta per distruggere la classe stessa. Anzi, per distruggere la “classe” o le “classi”.
Seguendo il filo conduttore appena tracciato, cos’è la “classe” se non una “casta”?
Sicché, un aspetto importante del fenomeno della lotta di classe degli anni di piombo può, oggi, essere individuato in ciò che mi sento di definire come la “LOTTA DI CASTA”, la nuova battaglia di una consistente fetta della società civile – sia benestante, che indigente – contro le prerogative ingiuste derivanti da uno specifico ruolo pubblico e dall’esercizio del potere ad esso collegato.
Trattasi del confronto tra chi, essendo escluso dal sistema di potere pubblico (diretto ed indiretto), non riesce ad affermare il proprio valore – il merito – nell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni dove questo dovrebbe essere l’unico parametro di valutazione ed accesso, e coloro che, invece, addentro al sistema, occupano – senza merito – importanti posizioni di responsabilità pubbliche.
Il desiderio di applicazione sostanziale di un criterio di affermazione o di selezione basato sul merito è, oggi, ancora più forte e intenso!!
La MERITOCRAZIA, in sostanza, è il vero volto della passata “lotta di classe” e nuova “lotta di casta”.
Auspico, quindi, che la classe politica tutta metta al centro dello sbandierato programma di riforme, delle istituzioni, come del lavoro, le capacità dei cittadini, il merito