di Davide Giacalone
Francesco Delzìo, da giovane (33 anni, una posizione in Confindustria), scrive dei giovani come della “Generazione Tuareg” (Rubbettino), alludendo al fatto che, per traversare il deserto, è bene restare in gruppo e non abbandonarsi all’individualismo (anche se, forse, sarebbe stato meglio parlare di “egoismo”). Talora, però, si ha l’impressione che qualcuno oscuri o sposti le stelle, in modo che la carovana perda l’orientamento e nel deserto ci resti a vita. Prendiamo, ad esempio, il rientro televisivo di Daniele Luttazzi, esponente del cerchiobottismo con speranze comiche, il quale ha voluto dire ai giovani: attenti, con la legge Biagi, definita 30 per evitare di dover fare i conti con il morto ammazzato, ve lo mettono… Immagine edificante, ma prima di tutto totalmente falsa: la fregatura non sta nella flessibilità, che, semmai, serve a c reare ed offrire lavoro, ma nel suo concentrarsi in una sola fascia. Quella legge non dovrebbe essere soppressa, ma semmai ampliata all’intero mondo del lavoro. Il patto fra generazioni, la continuità del dare e dell’avere, non salta con la legge Biagi, semmai con le continue non riforme del sistema pensionistico, con lo spostare risorse a favore di chi esce dal lavoro, anziché a favore del lavoro e di chi vi entra. “Quanto – si chiede Delzìo – dovremo attendere per il primo sciopero dei ventenni e dei trentenni a sostegno della riforma delle pensioni? Chi riuscirà a spiegare loro qual è il loro vero interesse”? Lui, con il suo libro, ci riesce. Semmai, si deve essere più tempestivi nell’accorgersi e nel condannare le 'luttazzate', che diffondono disinformazione e pregiudizi a piene mani. A quanti continuavano a chiedergli della sorte dei giovani, Benedetto Croce rispose che “l’unico problema dei giovani è invecchiare”, intendendo così negare una specificità politica o culturale. Non aveva torto. Il fatto paradossale è che quella battuta torna anche nella riflessione di Delzìo, ma in versione più prosaica.(Laici.it)