di Andrea Ermano
Un vero e proprio boato di consensi ha sottolineato il passaggio del discorso nel quale Walter Veltroni, primo segretario nazionale del Pd, ha preannunciato l'intendimento di applicare il metodo delle primarie a ogni livello: “nazionale, regionale e comunale”. Sono venuti giù i soffitti della Fiera di Milano dagli applausi. Altra imponente manifestazione di entusiasmo quando il sindaco di Roma ha perorato lcausa di una semplificazione decisionista del sistema partitico italiano, semplificazione necessaria per fare spazio a una democrazia governante (negli ultimi anni, come si sa, l'Italia non è stata governata). Quando Veltroni ha poi prefigurato un divieto alla formazione di gruppi parlamentari recanti diversa denominazione rispetto a quella delle elezioni, i soffitti della Fiera di Milano sono tornati a venir giù per i grandi applausi.
“Così partiamo molto male”, ha commentato all'uscita dalla Fiera il senatore dell'Ulivo (di ascendenza diessina) Salvatore Adduce: “La direzione politica del partito spetta ai segretari che possono assumere decisioni politiche. Altri organi di direzione non esistono visto che le assemblee, quella regionale e quella nazionale, non hanno compiti di direzione”. Nemmeno Rosy Bindi, ministra della Famiglia, si mostra benevola: “Nelle conclusioni del segretario ci sono molti elementi di ambiguità sia sul piano politico che su quello formale e organizzativo”. Parla di una “brutta partenza” anche il ministro della Difesa, Arturo Parisi: “Avevo voluto illudermi che il Partito democratico di Veltroni potesse rappresentare una nuova stagione dell'Ulivo. Son bastate poche ore perché a quella che mi era sembrata una fioritura seguisse una gelata”. Ed Enrico Letta? Storce il naso: “Valuteremo attentamente il testo del Dispositivo perché, non essendo stato concordato prima con noi, non siamo in condizione di darne una valutazione articolata”.
Che dire? Soprassedendo a temi come quello della laicità (assente nel testo ufficiale della relazione veltroniana), trascurando il problema tuttora aperto della collocazione internazionale del Pd (ne riparliamo nel 2009), lasciando da parte la vexata quaestio di una riforma elettorale e istituzionale che è cosa troppo aleatoria per poter essere oggettivata nell'ambito di queste osservazioni, resta appunto la questione della democrazia interna del PD. Dunque, sulla questione della democrazia interna si gioca la credibilità dell'operazione. Non tranquillizza l'enfasi nuovista (di Veltroni, ma non di Prodi) sul partito “leggero”. In Italia quando si sente parlare di nuovismo e leggerezza si viene ormai colti da oscuri presagi. In un comitato elettorale di tipo statunitense, gli apparati di partito italiani non possono che aumentere il loro peso. E quanto alla formazione di queste strutture, basti dire che le segreterie provinciali verranno definite tramite “nomine” e non tramite “elezioni”.
Prodi, uscendo alla messa domenicale insieme alla moglie Flavia, ironizza sulle procedure “poco democratiche” del Partito democratico: “Il cammino dei pellegrini è lungo…”. Insomma, bisogna fare ancora molta strada. Ma da parte del numero due del partito Dario Franceschini arriva una replica molto felpata a questa pioggia di critiche: “Non capisco questo gusto della polemica anche in un giorno così bello”.
Nello stesso giorno del trionfo milanese del sindaco di Roma ha avuto luogo ad Amburgo, in Germania, il congresso programmatico della SPD di Kurt Beck. In breve la socialdemocrazia tedesac si sposta a sinistra, “mano nella mano con il sindacato”, anche se il sindacato stesso dice di non fidarsi troppo e non ancora ha completamente seppellito l'ascia di guerra (“lo strappo resta”). In compenso, però, il capogruppo parlamentare della “Linke” Gregor Gysi registra una “progressiva diminuzione” delle distanze programmatiche con la SPD.
Con il “Programma di Amburgo”, approvato sabato alla quasi unanimità (due astensioni su 500 delegati), la SPD sostituisce sia il Programma di Bad Godesberg del 1956 sia il Manifesto di Berlino del 1989. In questa loro nuova magna charta la socialdemocrazia tedesca “delinea per la prima volta una risposta politica alla globalizzazione”. Si tratta di “una prospettiva moderna e capace di futuro”, per elaborare la quale l'intellighenzia del partito ha lavorato per un paio d'anni e per un altro paio si è confrontata con la base, nelle sezioni. Rispetto al programma di Bad Godesberg si segnala il rientro in scena di un grande protagonista nella storia della sinistra tedesca e internazionale, Carlo Marx.
Un fantasma s'aggira per l'Europa…
La SPD si riconosce negli ideali del “socialismo che, in quanto visione di una società libera, giusta e solidale, rimane per noi un compito permanente”, recita la nuova carta dei principi. E nel capitolo dedicato alle radici valoriali della SPD viene ora menzionata — insieme “all'umanesimo, alla filosofia dei lumi, all'etica cristiana e alle esperienze storiche del movimento operaio” — anche “l'analisi marxista della società”.
Il Corriere della Sera, facendo sua l'irritazione di Angela Merkel (“di socialismo ne abbiamo avuto già abbastanza con la DDR”) ha ovviamente stroncato Beck, definendolo un “noioso”. Beh, non tutti possono essere fini e brillanti come i nostri giovani leaders italiani che tanto piacciono a Via Solferino, ma il presidente della SPD esce forte come non mai dal congresso di Amburgo. Solo il tempo ci dirà se la strada giusta è stata imboccata ad Amburgo da Beck o a Milano da Veltroni. Basta invece la cronaca a comprendere che tra la SPD e il PD non si è consumato nessun avvicinamento programmatico. Anzi. Che senso avrebbe, d'altronde, per dei socialisti europei autocensurarsi in direzione neo-centrista e questo proprio mentre i liberali sono ormai entrati in un coma profondo, stritolati tra il turbo-liberismo della destra economica, il turbo-nazionalismo della destra politica e il turbo-oscurantismo della destra culturale?