COMUNICATO STAMPA
Stati generali pesca ed acquicoltura. Le proposte dell’Unci Pesca per liberalizzare il settore
Roma, 18 ottobre 2007 – «Noi dell’Unci Pesca vogliamo dare il nostro contributo a questa assemblea con un ragionamento di analisi e di proposte di ordine generale. Ci chiediamo quotidianamente quale e’ la funzione essenziale di una centrale cooperativa nei riguardi dei propri aderenti e su questo desidero riportare e ricordare quel che dicono gli statuti delle cooperative: assicurare le migliori condizioni retributive, economiche, sociali e professionali ai soci. Ma per far ciò occorre un’attenta analisi dell’ambiente in cui si opera e si vive. E qui comincia il bello perché la pesca italiana ci appare bloccata imballata, ingessata dall’esterno e dall’interno». Ha esordito così il presidente nazionale dell’Uscio Pesca, Pasquale Amico, intervenendo agli stati generale della pesca ed acquicoltura in corso a Bari.
«Dall’esterno – ha aggiunto rivolgendosi al commissario Bora, lì presente – la Ue ci vieta, ci impedisce ogni iniziativa autonoma. Non se la prenda commissario Borg, anche lei appare ingessato dalla sua burocrazia che tiene fermamente la sua linea nei vari provvedimenti senza preoccuparsi delle conseguenze sociali ed economiche e senza ascoltare eventuali suggerimenti correttivi. L’unica concessione e’ un qualche rinvio temporale dell’esecutività del provvedimento.
Egregio commissario Borg, sappia che la situazione e’ ormai socialmente insostenibile perché, come Ue, non date più alle famiglie dei nostri pescatori la certezza di un futuro dignitoso nonostante i loro sacrifici nel continuare e tenere in vita un’attività certamente faticosa e rischiosa».
«Dall’interno – ha continuato – l’universo pesca appare talmente avvitato su se stesso, ingessato, incartato, senza aneliti vitali. Il motto imperante e’ “quaeta non movere, mota quaetare”.
Per esempio, il nostro pensiero e’ questo: non si capisce perché se si istituisce una riserva naturale, un parco, l’operatore che vi era dentro continua regolarmente a svolgere la propria attività anche osservando nuove regole mentre nelle aree marine protette i pescatori non solo non possono espletare il proprio mestiere anche con restrizioni ma vengono letteralmente espulsi. Invece di aprire su queste semplici considerazioni un dibattito aperto negli spazi televisivi, subito arrivano prima un tentativo di emarginazione e poi gli anatemi».
«E’ necessario, inoltre, sig. Ministro – ha sottolineato rivolgendosi a De Castro – eliminare le confusioni derivanti dal linguaggio adoperato. E’ necessario per trasparenza che ogni cosa sia chiamata con il suo nome. La pesca e’ la pesca con una sua definizione anche giuridica oltre a quella di uso comune e non può essere ambiente o una sua sottosezione; i vongolari non sono pescatori sono acquacultori e tali bisogna chiamarli dato che seminano e non pescano ma raccolgono il seminato con le loro imbarcazioni tra l’altro inserite in classe cinque. Solo alcuni esempi con cui si può modificare la realtà, giocando sul significato di un nome, con tutte le conseguenze anche economiche, organizzative e finanziarie».
«Con l’umiltà che ci contraddistingue, facciamo pubblica ammenda su alcune nostre posizioni molto polemiche con il ministro e l’ex direttore generale. Pensavamo da ingenui che la rotta della pesca italiana fosse da loro determinata. Con il nuovo direttore generale non e’ cambiato niente, stessi metodi, stesse persone, stessi provvedimenti calati senza discussione, nessuna novità. Il che vuol dire che a condurre il gioco non sono i vertici apicali ma a determinare le scelte e la tempistica e’ complessivamente il sistema che non include, ma esclude i ritenuti diversi ossia i non osservanti i diktat. Credo che questo avvenga anche nella ricerca scientifica.Ci si chiede come mai godono delle risorse sempre gli stessi consorzi e le stesse università».
«Quindi – ha spiegato – per salvare la pesca italiana occorre una profonda riflessione, bisogna evidenziare le pesanti responsabilità politiche, amministrative, collaborazioniste del passato che ci ha condotto a questo punto di crisi profonda. E’ necessario rifondare innovare e rinnovare, ab imis, sin dalle fondamenta, la conduzione in senso lato del nostro comparto. Ma nell’universo della pesca italiana siamo ben presenti ed occupiamo spazi significativi. Da cinque anni a questa parte siamo l’unica novità della pesca italiana con le nostre azioni, con la nostra linea politica, con le nostre proposte di ampia liberalizzazione del settore che stranamente e’ stato risparmiato dal ministro Bersani, con la nostra vincente missione di volere abbattere tutti i privilegi esistenti nel settore compreso quello delle centrali cooperative».
Concretamente, ha continuato, per rilanciare il settore della pesca in Italia pensiamo che «e’ doveroso offrire oggi al mondo della pesca occasioni ed opportunità di sviluppo eliminando le barriere di accesso con il superamento del sistema delle licenze di pesca, introducendo nuovi metodi di gestione delle risorse locali tenendo conto dei ritmi biologici naturali con il giusto equilibrio fra attività e possibilità di pesca. Superando il sistema delle licenze possiamo sicuramente avere l’avvento di una nuova generazione culturalmente più elevata e tecnologicamente preparata».
Inoltre, «Signor ministro, la invitiamo a sviluppare non una sola politica indistinta per tutto l’universo della pesca ma una politica mirata per ogni insieme costituente tale l’universo. Le imprese esercitanti la pesca costiera, artigianale non hanno gli stessi problemi della pesca mediterranea, oceanica; e’ l’unico settore in cui non vi e’ il valore dell’avviamento di impresa che e’ sostituito dal valore della barca. Non e’ possibile pensare al valore del peschereccio come liquidazione con il suo arresto definitivo previo contributo statale; occorre una nuova metodologia della distribuzione delle risorse relative alla ferma pesca.Il sistema impone che siano destinate quasi tutte all’adriatico, gli spiccioli al tirreno, il nulla alla Sicilia e Sardegna. Le tasse le paghiamo in tutte le regioni pertanto sarebbe moralmente corretto l’equa distribuzione. Oggi tutto le marinerie hanno bisogno di risorse e non solo alcune privilegiate».
E ancora, «nel settore vongole e’ necessario per equina azzerare i cogevo, ormai strumenti non democratici nelle mani di pochi. Le barriere di accesso per nuove generazioni sono profonde, alte e cementificate. Vi lavorano sempre le stesse famiglie, si arricchiscono sempre le stesse persone. Gli spazi in acque marine, dolci e salmastre, per tale attività sono assegnati in eternità. Non ci risulta che siano stati emanati bandi pubblici aperti a tutti per la loro assegnazione. In tal modo una nuova impresa non può nascere ne’quelli esistenti hanno liberta’ di scelta anche organizzativa, pena la possibilità di poter lavorare. Siamo di fronte ad un monopolio di privilegi a dir poco scandaloso per i tempi e la cultura che viviamo».
«Occorre la semplificazione degli adempimenti burocratici che gli uffici periferici impongono in quasi in tutte le località con orari assolutamente incompatibili con quelli dell’attivita’ di pesca. E riteniamo ormai improcrastinabile l’istituzione di un fondo per l’accesso al credito della piccola pesca. E quindi le relative convenzioni reali con le banche, tenendo conto del nuovo de minimis.
«Nell’agitato settore del tonno rosso – ha concluso – le nuove regole, che aiutano i mercati del nord non certamente i nostri, hanno generato una disoccupazione degli addetti impressionante. Solo la nostra o.p. ne ha dovuto licenziarne circa 1500. I lavoratori sono a casa senza alcuno aiuto previdenziale quale la cassa integrazione di cui godono ad esempio i metalmeccanici. I privilegi debbono esserci per tutti e non solo per alcuni ricordando che l’equità sociale e’ uno dei cardini del nostro governo. Le attuali condizioni politiche del nostro paese con la nascita di nuove formazioni politiche, mettono il nostro governo nelle condizioni di poter cambiare le cose e il sistema complessivo della pesca. E il governo ha il dovere di modificare in profondità il comparto pesca liberalizzandolo da ogni condizionamento e rendendolo libero di decidere autonomamente».
L’addetto stampa
Davide Romano
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