Eletti all’estero battete un colpo

«Al contrario, sono molto insoddisfatto dell'atteggiamento del Parlamento italiano in cui non esiste una posizione bipartisan nei confronti degli italiani all'estero ed anzi, dalle risultanze del dibattito svoltosi in Commissione la settimana scorsa è emerso che esistono posizioni contrarie alla rappresentanza dei cittadini italiani all'estero (…). Non solo il centrodestra, ma anche il centrosinistra si esprime in questi termini: l'onorevole Graziella Mascia insiste che il suo partito è assolutamente contrario a prevedere una rappresentanza degli italiani eletti all'estero nel Parlamento italiano».
Citiamo una parte della replica dell’onorevole Cassola al ministro Santagata, durante la sua interrogazione parlamentare su “Proposta di riforma della ripartizione dei seggi del Parlamento europeo”, per sviluppare alcune riflessioni sugli eletti all’estero. Servono o non servono? Hanno influito positivamente sulle comunità italiane, nello specifico quella residente in Grecia? Cinicamente si può affermare che i senatori esteri dell’Unione servono per garantire la vita al governo – e non è poca cosa. Nessun deputato estero dell’Unione ha invece fatto sentire la sua voce in merito al “riclassamento” del Consolato di Atene, lasciando il campo libero ad un loro collega dell’opposizione che si è mosso come un pachiderma in un negozio di vetri di Murano. Ecco il punto. Dall’ottica del Partenone, gli eletti all’estero non sono serviti, per il momento, a nulla. È vero invece che di questi, uno, che ha familiarità con la Grecia, ha raccolto in terra ellenica soltanto delusioni e commenti acidi, e nessuno venga a dire che gli altri si sono presentati e si sono minimamente occupati di questa comunità, la quale sicuramente non legge quotidianamente le agenzie specializzate che pubblicano i loro comunicati sulle loro eroiche gesta. Quindi “ignorano”, ma ragionano sul pratico: gli eletti all’estero hanno permesso che il Consolato si trasformasse in Cancelleria Consolare, senza fiatare.
Sono pienamente d’accordo su quanto scrive Salvatore Viglia, sul suo giornale on-line. Noi italiani all’estero dobbiamo riappropriarci del nostro voto, dobbiamo esercitare un ferreo controllo sulla attività dei nostri “rappresentanti”, dobbiamo diventare coscienti del “peso” che la Costituzione ci ha attribuito. Ci hanno spiegato che noi “serviamo alla madre-patria”, ma ci hanno confezionato una legge elettorale che in alcune sue parti è incostituzionale. E che dire poi che per le elezioni nazionali noi votiamo candidati residenti all’estero, per le europee candidati residenti in Italia. Il nostro voto del 2006 ha modificato gli equilibri politici, e potrebbe anche modificare il risultato del referendum del prossimo anno. E allora una domanda: quanti italiani di seconda generazione (mi riferisco sempre alla Grecia) conoscono i perversi meccanismi della legge elettorale italiana? Qui dove vivono hanno imparato che un partito vince e un altro perde. Semplice. Oppure che cosa hanno votato quando sono stati chiamati a esprimersi sulla abrogazione della “servitù coattiva”? E poi ci si stupisce che l’affluenza all’estero sia così bassa. Perché esprimere pareri su questioni che non li sfiora minimamente? Per cui siamo sicuri che questa procedura di voto per noi esteri giovi alla politica italiana e che questa migliori il nostro rapporto con la madre patria e la nostra vita all’estero? A noi, per il momento, non è venuto alcun giovamento, delusione tanta.

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