Riceviamo e pubblichiamo
Luigi Rinaldi
(SA)
Questa storia singolare, la mia storia, ha inizio nel lontano settembre del 1989. Grazie ai buoni uffici di un potente sindacalista della cgil Battipaglia, ricordiamo questo signore per capire che ruolo svolgerà in questa vicenda; vengo assunto immediatamente alla Esmalglass di Fisciano (SA) colorificio ceramico. Inquadrato operaio polivalente e subito addetto alla conduzione di un forno fusorio rotativo. Meno male che ero affiancato da un compagno che mi istruì in tale compito. Nel corso degli anni ho ricoperto quasi tutte le mansioni esistenti in quell’azienda, per brevi o medi periodi, ma la mia mansione prevalente è stata quella di magazziniere. In azienda era presente il sindacato, lo stesso del potente sindacalista di cui sopra, che nel frattempo aveva fatto assumere altre sette persone. Quasi subito venni eletto RSU e successivamente, con l’applicazione della 626/94, i miei compagni mi designarono RLS.
Il nostro stabilimento adottava un contratto diverso da quello adottato in tutte le altre sedi di questa multinazionale, cioè, a Fisciano, si adottava il contratto “ceramica e abrasivi” in vece di quello “chimico”, evitando così tutti gli obblighi che tale contratto prevede sia nei riguardi dell’ambiente sia per la salute dei lavoratori. Infatti, nessuna valutazione dell’impatto ambientale e nessuna informazione e formazione per il rischio chimico,né per altri rischi, era stata prevista dalla nostra azienda. Solo cambiando il nostro sindacato di riferimento, nel 2000, siamo riusciti a costringere l’azienda ad adottare il contratto chimico, cosa avvenuta solo nel gennaio 2002. Per questi motivi, ritenni opportuno dissociarmi dalla valutazione dei rischi(assolutamente generica ed enunciatrice) e chiesi una visita ispettiva alla competente ASL SA2. Ispezione effettuata per 4 giorni ma purtroppo con tutti e due gli occhi chiusi. Nel verbale di cui conservo copia si legge la violazione di alcune norme e vari adempimenti ma non si nota la assoluta mancanza di informazione e formazione rispetto a tutti i rischi che tale lavorazione comporta. La stessa asl successivamente ad un mio esposto assicura alla procura la totale regolarità dell’azienda da non credere dalle documentazione prodotte alla procura(Proc. N°1629 del 01-02-2002 archiviato?) In un successivo incontro con il dott. Iesu,dirigente del servizio prevenzione dell’asl, per chiedere chiarimenti fu concordato che ponessi domande per iscritto a cui ebbi risposte per iscritto(allego domande e risposte). L’evento certo che tutto questo produsse fu il mio licenziamento. Era il giugno del 2001. Prontamente impugnai il licenziamento chiedendo, come previsto dall’art.2 della legge 604, che mi fosse data contezza analitica delle assenze contestatemi ai fini del licenziamento, spedita in foglio piegato alla sede legale dell’azienda a Sassuolo(MO)con raccomandata RR recapitata. Anche il nuovo sindacato mostra presto la sua faccia e senza motivi mi impone di scegliere un solo avvocato scelto da loro. Al mio rifiuto, mi abbandona. Dimenticavo, il 29 giugno del 2001 era previsto un incontro presso l’associazione industriali per la definizione delle qualifiche relative al nuovo contratto e benché il giorno prima avessi ricevuto la lettera di licenziamento, su insistenza dell’amministratore delegato dell’azienda, che s’ impegnò a revocare il mio licenziamento, il sindacato accettò che a quell’incontro partecipassi anch’io in virtù della promessa revoca del licenziamento resa come preambolo e condizione alla svolgimento della riunione stessa. Successivamente, la revoca fu rimangiata. Dopo il tentativo obbligatorio di conciliazione, il mio avvocato istruì il procedimento del caso presso il tribunale di Salerno, ed è da questo momento che la vicenda da assurda diventa incredibile.
La sentenza di primo grado, benché architettata in maniera discutibile dagli avvocati (ho scoperto in seguito che il mio avvocato non aveva depositato agli atti la mia impugnativa ma bensì la lettera di licenziamento. Un lapsus?) giunge, dopo due anni, ad un epilogo a me favorevole visto che ero riuscito a dimostrare di non aver superato il periodo di comporto, tesi che l’azienda aveva sostenuto avallandola con un numero imprecisato di certificati in fotocopia, la maggior parte, illeggibile. Era stata presunta la mia colpevolezza ma le mie prove, tutte autentiche, mi avevano dato ragione. Il dott. Mancuso sentenziava: licenziamento illegittimo, reintegra, due anni di contributi assicurativi e previdenziali ma solo 12 mensilità al posto delle 24 spettatemi, motivando cosi quest’ultima decisione:
“ … poiché le numerose assenze dell’attore hanno potuto in astratto indurre l’azienda a sbagliare il calcolo.”(sentenza N°3927/03 cron. N°4989 del 04/07/03)
Proponiamo appello sia noi, per la singolare motivazione dell’attribuzione di 12 e non 24 mensilità, che l’azienda, la quale, a questo punto, sostiene che il giudice non abbia contato tre giorni di assenza relativi ad un infortunio sul lavoro, (dimenticavo ancora: l’azienda, grazie al contratto ceramico applicato, a tutto il 2001 ha risparmiato un bel po’ sul premio assicurativo) fatto nuovo non menzionato in primo grado se non verbalmente e pertanto escluso dal giudice nella sentenza. Rispetto al suddetto infortunio, ero stato chiamato a visita dall’INAIL e l’oculista aveva diagnosticato una congiuntivite reattiva da polvere ceramica confermando la prognosi. Erano passati due anni e nessuna comunicazione mi era arrivata in merito. Mi recai pertanto all’INAIL e con somma meraviglia scoprii che il mio infortunio era stato equiparato al comune rischio del vivere quotidiano, quindi non riconosciuto, in barba al principio stabilito dalla corte di cassazione che la mera presenza sul posto di lavoro è sufficiente per ritenere qualsiasi incidente infortunio sul lavoro. Purtroppo per me, la corte di appello non la pensa così, accetta questa nuova prova anche a dispetto dell’opposizione presentata contro l’INAIL e solo nove mesi dopo riforma la sentenza di primo grado,(sentenza N°1502/03) legittima il mio licenziamento correggendo un conteggio, il mio, fatto da un consulente del lavoro, con copie conformi alle originali rilasciatemi dall’INPS e da tutte le buste page relative al periodo in esame, avendo come controprova i soliti certificati in fotocopia illeggibili e una nuova prova, peraltro impugnata, e ancora in attesa di esito. Dico inoltre che l’INAIL nel 2002, ben due anni dopo la denuncia, rigetta la mia domanda di malattia professionale contro il parere della CONTARP e della sovrintendenza medica che definisce il mio caso meritevole di attenzione in virtù del nesso eziopatologico dichiarato plausibile dalla CONTARP stessa.
La mia patologia viene definita “malattia non constatata” (mi è sparita l’ernia al disco?). Questa definizione torna utile anzi necessaria all’azienda perchè il riconoscimento di una malattia professionale prolunga il periodo di comporto per il lavoratore e nel mio caso avrebbe invalidato il licenziamento; malattia professionale rilevata dal mio perito di parte dell’ASL di Napoli e dalla Clinica del lavoro Luigi Devoto del policlinico di Milano in data 02/03/07 allegata (c’entra qualcosa che il potente sindacalista sia in quel momento presidente della commissione dell’INAIL?) . Ma facciamo un passo indietro, dopo la reintegra, l’azienda si rifiuta di farmi lavorare e si limita a pagarmi lo stipendio. Qualche mese, prima della sentenza di appello, mi rilicenzia includendomi nella lista di mobilità contro ogni principio che regola la scelta della lista stessa:
mi scaricano semplicemente all’INPS, stanchi di pagare la mia già personale mobilità.
Scrivo perché non ho smesso di credere nella giustizia e nella legalità ma soprattutto per non sentire più parlare di morti bianche. Dimenticavo in un altro esposto presentato alla procura, chiaramente e incomprensibilmente ancora archiviato, il potente sindacalista interviene ancora a favore dell’azienda con una dichiarazione che allego agli atti.(esposto N°8013/04/21 N.R.G.)
In fede