Intervento in Aula nel corso della discussione della relazione della II Commissione (Giustizia), approvata oggi dalla Camera, sulle tematiche oggetto del Messaggio del Presidente della Repubblica in tema di sovraffollamento carcerario, trasmesso alle Camere il 7 ottobre 2013, e il relativo Doc. XVI, n. 1.Cordiali salutiOn. Donatella FerrantiPresidente Commissione GiustiziaCamera dei Deputati
Il fenomeno del sovraffollamento carcerario rappresenta una situazione connotata dalla compromissione dei diritti fondamentali dei detenuti, riconosciuta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo a partire dalla sentenza 16 luglio 2009, Sulejmanovic c. Italia, che ha sancito la violazione, per effetto del citato sovraffollamento, dell’art. 3 CEDU che prevede il divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti.
Ne è derivata la proposizione di una mole di ricorsi individuali (di recente stimato in circa 3.000) contro lo Stato italiano, a fronte della quale la Corte CEDU è nuovamente intervenuta con la nota sentenza dell’8 gennaio 2013 (Torreggiani e altri c. Italia), resa sui ricorsi, riuniti, presentati da sette detenuti, riscontrando ancora una volta la violazione dell’articolo 3 della Convenzione ed accordando ai ricorrenti, a titolo di equa soddisfazione, somme variabili tra 10.600 e 23.500 euro ciascuno.
Essendo stato il procedimento definito secondo lo schema della c.d. “sentenza-pilota”, la Corte EDU ha assegnato allo Stato italiano il termine di un anno entro cui procedere all’adozione delle misure necessarie a porre rimedio alla constatata violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, medio tempore, ha sospeso la trattazione dei residui ricorsi in materia, riservandosi di dichiararli irricevibili o cancellarli dal ruolo in conseguenza dell’ottemperanza dello Stato convenuto.
Il termine annuale ha cominciato a decorrere dal 28 maggio 2013, giorno in cui la Corte ha rigettato la richiesta di riesame proposta dall’Italia, e si consumerà, dunque, il 28 maggio 2014.
A seguito del messaggio rivolto il 7.10.2013 dal Presidente della Repubblica, nell’esercizio della facoltà prevista dall’art. 87, comma 2, Cost., sulla questione carceraria, la commissione Giustizia per incarico della Conferenza dei Presidenti del Gruppo ha svolto un approfondimento delle tematiche ivi trattate e all’esito ha presentato una specifica relazione trasmessa alla Presidenza il 29 novembre, cui integralmente mi riporto.
Vorrei qui solo sintetizzare qualche riflessione.
Segnalando tra l’altro, in aggiunta, che il 22 novembre 2013 la Corte Costituzionale ha depositato la sentenza n. 147/2013, dichiarativa dell’inammissibilità delle questioni di legittimità dell’art. 147 c.p. (norma dedicata al “rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena”) sollevate da alcuni giudici di merito, sentenza che rileva nel corpo della motivazione l’intollerabilità della situazione attuale poiché il carattere inderogabile del principio dell’umanità del trattamento rende assolutamente necessaria “la sollecita introduzione di misure specificamente mirate a farla cessare”.
La ulteriore riflessione riguarda in particolare i rimedi di carattere strutturale e tiene conto delle ulteriori tappe compiute dall’iter parlamentare e degli ulteriori dati acquisisti.
Si è detto “che un intervento combinato sui sistemi penali, processuali e dell’ordinamento penitenziario richiede del tempo mentre l’attuale situazione non può protrarsi ulteriormente”, ma è vero anche che il Parlamento non è stato a guardare ma ha portato avanti riforme comunque destinate a produrre effetti stabili e definitivi.
In particolare, con riferimento ai punti dettagliatamente richiamati nella relazione scritta ai punti 2.1 (Innovazioni di carattere strutturale), 2.1.1 (Introduzione di meccanismi di probation) e 2.1.2 (Pene detentive non carcerarie), devo segnalare che la Commissione Giustizia sta procedendo all’esame degli emendamenti alla proposta di legge C. 331-927 B, già approvata dalla Camera in prima lettura il 4 luglio scorso e modificata dal Senato il 21 gennaio scorso, che contiene tre importanti innovazioni di carattere strutturale citate nel messaggio del Presidente, quali l’introduzione dell’istituto della messa alla prova nel processo penale e due deleghe al Governo, una per l’introduzione della pena detentiva non carceraria, applicabile dal giudice di merito, e l’altra per la riforma della disciplina sanzionatoria dei reati e la depenalizzazione di alcune fattispecie. Inoltre, si introduce una nuova disciplina per il processo a carico degli imputati irreperibili che consentirà di ovviare a un’altra procedura di infrazione da parte della Corte europea nei confronti dell’Italia riguardante i processi in contumacia.
Si concluderà a breve, quindi, un processo legislativo complesso e ricco di contenuti, il cui iter aveva preso inizio già nella scorsa legislatura, che consentirà di mettere a regime riforme di sistema di notevole impatto e portata innovativa sia sul sovraffollamento carcerario sia sulla deflazione del carico dei processi penali, con effetti particolarmente positivi in termini di durata dei tempi del processo penale. Certamente è necessario, proprio per rispettare la scadenza di un anno fissata dalla Corte europea, un ulteriore sforzo da parte del Parlamento nei tempi di calendarizzazione e di approvazione in Aula del provvedimento legislativo e successivamente da parte del Governo nell’esercizio delle deleghe e nella conseguente attuazione organizzativa delle nuove forme di recupero sociale mediante una profonda riorganizzazione e il potenziamento degli Uffici dell’Esecuzione penale esterna, per porre in essere una concreta azione di controllo e sostegno nella gestione dell’esecuzione penale sul territorio in conformità di quanto prescritto dalla Corte al punto 22 della sentenza Torreggiani e altri c. Italia.
Con riferimento al punto 2.1.3 (Riduzione dell’area applicativa della custodia cautelare in carcere), l’approfondimento effettuato dalla Commissione ha evidenziato la necessità di ridurre l’ambito applicativo della custodia cautelare in carcere: attualmente infatti i detenuti in attesa di giudizio di primo grado sono 11.241, un numero che, secondo i dati che ci sono stati forniti dal presidente Tamburino, Capo dipartimento DAP, con la nota del 10.1.2014 acquisita agli atti dell’indagine conoscitiva sull’AC 1961, rappresenta il 18% del totale dei detenuti che al 13.01.2014 era pari a 62.187 (di cui 37.995 definitivi).
Nel frattempo la Camera ha approvato il 9 gennaio 2014, in aula, il testo (A.C. 631) riguardante la riforma della custodia cautelare in carcere con soli 13 voti contrari.
Il testo è stato inviato al Senato in data 10.1.2014 . E’ certo che la approvazione in tempi brevi della riforma, che mira ad individuare la custodia cautelare in carcere come extrema ratio e che prevede, tra l’altro, il possibile cumulo tra pene coercitive e pene interdittive e un maggior rigore motivazionale del giudice nella scelta e applicazione della misura cautelare, consentirebbe di avere effetti immediati, consistenti e duraturi sul sovraffollamento carcerario.
E’ inoltre stato convertito con modificazioni il Decreto legge 23 dicembre 2013 n. 146, diretto proprio ad affrontare la questione del sovraffollamento carcerario e a garantire il pieno esercizio dei diritti fondamentali dei soggetti reclusi, che ha toccato molti dei punti trattati nella relazione sulle tematiche oggetto del messaggio del Presidente Napolitano .
In particolare segnalo, per ciò che riguarda il punto 2.1.6 (Depenalizzazione dei reati), la questione relativa alle fattispecie autonoma di reato connesse alla normativa sugli stupefacenti con riferimento al piccolo spaccio. Questione rilevante anche in una ottica di riduzione del sovraffollamento carcerario che ha visto una impennata proprio a causa dell’irrigidimento della normativa a seguito della cosiddetta legge Fini-Giovanardi, la quale, peraltro, è stata di recente dichiarata incostituzionale dalla Consulta con sentenza n. 32 del 2014 con sostanziali ricadute sul sistema tenuto conto del principio che implica l’applicazione della norma penale più favorevole al reo.
Nella relazione della Commissione viene fatto riferimento alla ipotesi di trasformare la circostanza attenuante dello spaccio lieve prevista dal comma 5 dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, in un titolo autonomo di reato, svincolato dunque dalle fattispecie disciplinate dai commi 1 e seguenti dell’art. 73, che preveda la pena da uno a cinque anni di reclusione oltre alla multa .
La trasformazione in reato autonomo delle condotte ex art. 73, comma 5, D.P.R. 309/90, è funzionale, innanzitutto, ad evitare che, in caso di concorso di circostanze aggravanti, il riconoscimento dell’equivalenza tra le circostanze di segno opposto conduca ad applicare, per fatti di modesta offensività, la pena indicata dal comma 1 (reclusione da sei a venti anni e multa da 26.000 a 260.000 euro) anziché quella comminata dal comma 5 (reclusione da uno a sei anni e multa da 3.000 a 26.000 euro).
La spiccata tendenza alla recidiva di tali soggetti dediti al piccolo spaccio, che sono il più delle volte consumatori, e la conseguente applicazione dei relativi istituti hanno determinato, sino ad oggi, un’accresciuta presenza, in termini sia quantitativi che percentuali, di tossicodipendenti all’interno delle carceri italiane. Al 26 luglio 2013, i detenuti per violazione del D.P.R. 309/90 erano 23.456, pari al 36,80 del totale, di cui 8.486 in stato di custodia cautelare e 14.970 in espiazione pena.
Il decreto legge del dicembre 2013 ha quindi trasformato il comma 5 dell’articolo 73 in una fattispecie autonoma di reato, dando quindi rilievo autonomo al piccolo spaccio. Notevoli sono le conseguenze, tra l’altro, in chiave di riduzione del termine prescrizionale ordinario, da venti a sei anni, e di quello di durata massima della custodia cautelare.
Tuttavia, come si è detto, è nel frattempo intervenuta la Corte costituzionale che è andata a colpire nelle fondamenta la legge Fini-Giovanardi.
Appare quindi del tutto evidente che spetta ora al Parlamento – in commissione Giustizia alla Camera è già in fase avanzata l’esame di alcune proposte di legge in materia di stupefacenti – verificare se sia opportuno intervenire nuovamente sulla normativa degli stupefacenti, valutando se dover riscrivere le fattispecie penali sulla base della distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti.
Ritornando al decreto legge e alla normativa sugli stupefacenti, ricordo che questo ha abrogato l’art. 94, comma 5, del D.P.R. 309/90, che stabiliva che l’affidamento in prova al servizio sociale di tossicodipendenti e alcool dipendenti non potesse essere concesso piu di due volte: la misura è evidentemente finalizzata a ridurre il flusso in ingresso e in uscita dal circuito penitenziario. L’istituto, introdotto nel 2006, riguarda i soggetti tossicodipendenti o alcooldipendenti sottoposti a pena detentiva che sono ammessi all’affidamento in prova al servizio sociale allo scopo di avviare o proseguire un programma di recupero.
L’esperienza, maturata negli anni di sperimentazione, ha dimostrato l’esistenza di un numero non trascurabile di casi in cui il fallimento dei primi tentativi ha precluso l’accesso a persone affette da dipendenza alle quali, tuttavia, sarebbe stato ragionevole concedere ulteriori opportunità di fruizione dell’affidamento perché realmente intenzionate a partecipare al trattamento riabilitativo.
L’innovazione è espressione di accresciuta attenzione al recupero attraverso la terapia, sia pure con l’avvertenza che il favore per il più intenso ricorso all’istituto rischia di restare lettera morta senza paralleli interventi – corredati dal necessario sostegno finanziario – volti ad ampliare le disponibilità di posti nelle strutture residenziali presso le quali il più delle volte si svolgono, specie nelle fasi iniziali, i programmi terapeutici di recupero.
Sul punto voglio segnalare che in sede di approvazione della legge di stabilità 2014 è stato approvato l’odg 9/1865-A/266 che impegna il governo a “individuare risorse finanziarie aggiuntive per l’anno 2014 finalizzate, mediante specifiche e vincolanti intese Stato-regioni, all'incremento ed alla effettiva applicazione dei trattamenti alternativi al carcere per i detenuti tossico-dipendenti, con particolare attenzione anche ai percorsi alternativi all’ingresso in carcere per gli imputati tossico-dipendenti sottoposti a processo per direttissima”.
Alla data del 31 ottobre 2013 risultavano in affidamento terapeutico ex art. 94 un totale di 2.858 condannati tossico alcool dipendenti, tra questi 94 provenienti dallo stato di libertà e 1.894 dalla detenzione domiciliare .
Un altro dato che può essere significativo ai fine di valutare gli effetti sul sovraffollamento carcerario di siffatto intervento normativo è quello riportato nella relazione illustrativa al decreto dove si legge che sulla base dei dati Istat gli ingressi in carcere di tossicodipendenti sono stati nel 2011 pari a 22.432; i detenuti tossicodipendenti al 31 dicembre dello stesso anno sono risultati 16.364, pari al 24% sul totale di 66.897 presenze.
Nel decreto legge vi è anche la stabilizzazione della sanzione detentiva dell’esecuzione della pena presso il domicilio (art. 5). In altri termini, è stato reso permanente il disposto dell’art. 1 della legge n. 199 del 26 novembre 2010, altrimenti destinato a perdere efficacia alla fine del 2013, che ha introdotto la misura che consente di scontare presso il domicilio la pena detentiva non superiore a 18 mesi (12, stando al testo originario, innovato dal decreto-legge n. 211/2011), anche se costituente parte residua di maggior pena.
Alla sua nascita, era stato stabilito che l’istituto operasse fino alla completa attuazione del c.d. Piano carceri, nonché in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione, e comunque non oltre il 31 dicembre 2013.
La stabilizzazione della norma – che, in qualche misura, ne altera la natura perché la svincola dal contesto emergenziale – è frutto della presa d’atto della positiva, sebbene circoscritta dal punto di vista numerico, incidenza sul sovraffollamento carcerario.
Dalle statistiche fornite dal ministero della Giustizia al 30.11.2013 in applicazione della legge 199/1990 varata sotto il Governo Berlusconi sono uscite dal carcere 12.741 persone che hanno scontato l’ultimo periodo di pena ai domiciliari .
Le modifiche in materia di espulsione dei detenuti stranieri come sanzione alternativa alla detenzione attengono al punto 2.1.4 (Espiazione della pena nel Paese di origine) della relazione sui temi del messaggio del Presidente della repubblica.
L’art. 6 del decreto-legge n. 146/2013 novella l’articolo 16 del Testo Unico immigrazione (D.Lgs. 286/1998), intervenendo in particolare sull’istituto dell’espulsione dello straniero a titolo di misura alternativa alla detenzione, disciplinato dai commi 5 e ss., in forza del quale lo straniero detenuto — già identificato — che si trovi in una delle condizioni indicate nell'art. 13, comma 2 (ingresso clandestino; permanenza nel territorio dello Stato senza avere richiesto il permesso di soggiorno; appartenenza a una delle categorie di persone pericolose) e debba espiare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni, è obbligatoriamente espulso.
Il decreto amplia la categoria dei possibili espulsi con l’esplicito riferimento a rapina ed estorsione aggravate e ciò consentirebbe, in potenza, di espellere un significativo numero di detenuti stranieri, stimato dagli uffici ministeri in 1.300 unità .
In particolare, poi, l’intervento normativo mira ad anticipare all’atto dell’ingresso in carcere il compimento degli adempimenti finalizzati all’identificazione dello straniero, così da evitare, nei limiti del possibile, che all’atto della scarcerazione l’esecuzione dell’espulsione amministrativa sia preclusa dalla carente identificazione, con conseguente trattenimento dello straniero in un CIE e protrazione della limitazione della sua libertà personale, effetti che ben possono essere evitati affrontando e risolvendo tempestivamente le relative questioni.
Il decreto-legge prevede altre importanti novità che vanno a toccare le tematiche del Messaggio del Presidente della Repubblica, che costituiscono l’oggetto della Relazione della Commissione giustizia:
 come regola generale, la prescrizione da parte del giudice, nell'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, del c.d. braccialetto elettronico; è inoltre previsto il ricorso allo stesso strumento nell'applicazione della detenzione domiciliare; una procedura semplificata nella trattazione di alcune materie di competenza della magistratura di sorveglianza;
 più ampie garanzie per i soggetti reclusi nel procedimento di reclamo in via amministrativa e in quello davanti alla magistratura di sorveglianza, prevedendo una fase di ottemperanza;
 l'innalzamento da tre a quattro anni del limite di pena per l'applicazione dell'affidamento in prova al servizio sociale, con più ampi poteri del magistrato di sorveglianza per la sua applicazione;
 l'introduzione della liberazione anticipata speciale, che porta da 45 a 75 giorni per semestre – per il periodo dal 1° gennaio 2010 al 24 dicembre 2015 – la detrazione di pena già prevista per la liberazione anticipata ordinaria, ad esclusione dei reati più gravi;
 l'istituzione, presso il Ministero della giustizia, del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale;
 il differimento del termine di adozione dei regolamenti sugli specifici benefici fiscali e contributivi per le imprese e le cooperative sociali che assumono detenuti, intervenendo quindi sul fondamentale tema del lavoro dei detenuti.
Infine, i rimedi straordinari. Amnistia e indulto, senza dubbio, rappresentano provvedimenti di immediato impatto deflattivo, ma implicano da parte del Parlamento e delle forze politiche un’assunzione di responsabilità politica di cui bisogna essere ben consapevoli. La commissione al riguardo, e il rinvio è al punto 2.3, si è limitata a fornire dati di valutazione, anche in rapporto agli aspetti messi in evidenza nel messaggio del presidente della Repubblica, in particolare per ciò che riguarda recidiva e delitti connotati dalla violenza alle persone . Dunque, nella relazione l’attenzione è focalizzata sulle statistiche relative ai rientri dei beneficiari dell’indulto del 2006 e all’analisi dell’attuale popolazione carceraria sulla base della tipologia di reato, da cui emerge come i reati per i quali si registra una maggiore presenza in carcere (scaglionata per residui di pena) sono, oltre alla produzione e spaccio di stupefacenti, la rapina, il furto, la ricettazione, l’estorsione, la violenza sessuale, l’omicidio. Resta da segnalare che al Senato la Commissione Giustizia ha avviato a far data dal 15 ottobre 2013 l’esame di progetti di legge in materia di concessione di amnistia e indulto.
A conclusione di questa disamina sugli interventi normativi fatti sinora, mi sento di dire che siamo sicuramente sulla buona strada, con misure strutturali in linea anche con i più recenti studi empirici secondo i quali per ridurre il rischio di recidiva e l’effetto delle porte girevoli occorre piuttosto puntare su misure alternative alla detenzione. E però se è vero che siamo sulla buona strada e soprattutto è chiaro che il legislatore ha inteso superare l’ottica degli interventi emergenziali,occorre affiancare le misure strutturali, con l’attuazione definitiva del piano carceri ( che è stato in dettaglio descritto al punto 2.2 della relazione ) e recuperare l’intero sistema penitenziario gravemente depauperato in termini di risorse umane ed economiche ,tanto da mettere in crisi le opportunità tratta mentali reali ed omogenee sul territorio.
Un auspicio anche come Presidente della Commissione giustizia che si possa entro il mese di marzo portare a compimento sia alla camera che al Senato l’iter legislativo dei due provvedimenti di iniziativa parlamentare >( riforma della custodia cautelare e detenzione domiciliare ,messa alla prova ….) e subito dopo entro il mese di aprile avere da parte del >Ministro della Giustizia un quadro complessivo ed effettivo dell’applicazione dei nuovi interventi normativi posti in essere in questa prima fase di legislatura e dell’incidenza sulle cause del sovraffollamento carcerario : Un monitoraggio serio cui non si ci può non sottoporre per individuare i punti critici che abbisognano ancora di interventi e che ci consenta di superare a fronte alta quella gravissima ed insopportabile accusa che l’Europa ha mosso al nostro paese .