Questa volta scriviamo d’economia. Della nostra economia. Con l’avvicinarsi di fine d’anno, ci sembra più che opportuno. Quando ci si addentra in argomento, c’è subito da rilevare che la situazione, più che difficile, ha assunto proporzioni indifendibili. Viviamo sopra un castello di carta che si regge su un equilibrio precario. Ci siamo resi conto che essere in UE non significa schivare l’incapacità dei politici nazionali che ci hanno portato dove siamo. Nell’ Unione Europea (UE), ogni Paese porta avanti una sua strategia economica. Noi, invece, siamo compressi da una serie d’imposizioni fiscali, dirette e indirette, che hanno stroncato ogni possibile evoluzione di progetto percorribile. Il repentino cambio del nostro sistema previdenziale e del lavoro non ha nulla di realmente concorrenziale con le posizioni della maggioranza degli altri Stati del Vecchio Continente. L’ottimismo a buon mercato non paga. Per sanare i bilanci d’Italia, il Piano di Stabilità, come c’è stata proposto, si rivelerà insufficiente, ed anche per il 2014, il nostro Prodotto Interno Lordo (PIL) resterà in area negativa. Del resto, vivere oggi è più difficile che nell’inverno scorso. Un segnale che la dice lunga sulla produttività nazionale. Intanto, il livello dei disoccupati ha superato ogni quota di guardia. Nessuno sembra poter proporre una cura valida per evitare una successiva emorragia sul fronte del lavoro. Viviamo peggio e non è più possibile sottovalutarlo. I problemi di “liquidità” ci hanno messo alle corde. Il credito è centellinato e molti non riescono più a far fronte alle spese improrogabili. Mentre il lavoro scarseggia, l’età pensionabile è stata tanto aumentata da non offrire neppure un fisiologico cambio generazionale sul fronte occupazionale. Con nostro disappunto, anche le migliori intenzioni sono rimaste nel cassetto dei progetti a venire che, a nostro avviso, resteranno tali. Senza mezzi termini, le “colpe” sono di una politica, sempre più lontana dalla realtà nazionale. Ora si cerca di rimediare; ma in modo affrettato e non sempre attendibile. In politica, basterebbe, intanto, eliminare il finaziamento pubblico dei Partiti. Chi vuole, può contribuire al sostentamento della formazione in cui crede. Punto e basta. Chiudiamo, poi, con le stesse “figure”della politica nostrana che, se non altro, hanno dato poco e non sono nelle condizioni di poter proporre più nulla. Un cambio generazionale potrebbe migliorare le prospettive per il nostro futuro. Invece, tutti si prodigano per mantenere il prezioso posto nelle aule parlamentari. I Principi della Chiesa, raggiunta una certa età, si ritirano. In politica, invece, tutto è “sine die”.
Giorgio Brignola