“Riforme basate su un approccio puramente economico che non tiene conto del ruolo degli avvocati nella società e nell'amministrazione della giustizia – che è essenziale in ogni società democratica”
Inoltriamo il testo della lettera che il presidente del CCbe (la rappresentanza degli Ordini forensi europei che raccoglie 1 milione di avvocati), Marcella Prunbauer-Glaser, ha inviato oggi al premier Mario Monti e al ministro della giustizia Paola Severino, in cui esprime preoccupazione per gli interventi in atto sull'avvocatura
Egregio Sig. Presidente del Consiglio dei Ministri
Gentile Sig.ra Ministro della Giustizia
Le scrivo in nome e per conto del CCBE, il Consiglio degli Ordini Forensi europei.
Il CCBE è l'organizzazione rappresentativa di circa 1 milione di avvocati europei, costituita dagli Ordini forensi di 31 paesi, membri a pieno titolo, e di 11 paesi col ruolo di Associati e Osservatori.
Il CNF – Consiglio Nazionale Forense – ha recentemente sottoposto all'attenzione del CCBE la nuova Legge di Stabilità n. 183/2011, che prevede una serie di interventi di rilievo per la professione legale. E’ nostro intendimento che l’introduzione di queste nuove norme sia dovuta a circostanze legate alla stabilità finanziaria e allo sviluppo economico del paese.
Le assicuro che il CCBE è consapevole del particolare momento di difficoltà che gli Stati membri, compresa l’Italia, stanno affrontando, e anche dell‘urgente necessità di riforme economiche e finanziarie.
Il CCBE ha tuttavia difficoltà a capire il legame che i governi, ivi compreso quello italiano, sembrano voler creare tra la professione di avvocato e la crisi economica nei rispettivi paesi. Gli avvocati, infatti, sono colpiti da misure che si inseriscono nel contesto di più ampie riforme finanziarie ed economiche, sebbene non siano responsabili della situazione economica del loro paese e del debito pubblico.
Inoltre, molte delle riforme che interessano la professione – comprese quelle recentemente approvate in Italia – sono basate su un approccio puramente economico che, da un lato, non tiene conto del ruolo degli avvocati nella società e nell'amministrazione della giustizia – che è essenziale in ogni società democratica – e, dall’altro, non è accompagnato da un’analisi approfondita dell’impatto potenziale di tali riforme sull’amministrazione della giustizia.
Ad una prima analisi, il CCBE ritiene che le modifiche contenute nella Legge di Stabilità sollevino questioni fondamentali alla luce delle norme di riferimento europee e internazionali, tra cui si richiamano la Raccomandazione del Consiglio d'Europa (2002) sulla libertà di esercizio della professione legale, e i Principi fondamentali dell’ONU sul ruolo dell’avvocato (1990), che sanciscono l’indipendenza della professione legale, quale componente basilare di un sistema giudiziario efficiente, nonché caposaldo di una società democratica basata sullo stato di diritto.
La Legge di Stabilità solleva inoltre problemi anche alla luce della giurisprudenza europea. In particolare, le preoccupazioni del CCBE si riferiscono alle nuove disposizioni che riguardano le cc.dd. “alternative business structures” (modelli alternativi di business). E’ nostro intendimento che queste norme, che introducono nell’ordinamento italiano le società di capitali tra professionisti, consentono il controllo di maggioranza anche a soggetti estranei alla professione. La legge, tuttavia, non sembra prevedere alcuna misura di salvaguardia nei confronti dei valori fondamentali della professione legale (indipendenza, assenza di conflitti di interesse, segreto professionale).
Il CCBE crede fermamente nell’esistenza di motivazioni, estranee ad una logica puramente economica, che depongono decisamente contro l'introduzione di modelli organizzativi di questa natura. I soggetti estranei alla professione non sono, di per sé, soggetti agli stessi doveri degli avvocati. Ciò può facilmente condurre alla nascita di situazioni conflittuali, per effetto delle quali gli avvocati possono essere esposti a pressioni da parte degli azionisti esterni di maggioranza nello svolgimento della propria attività professionale; il che non solo sarebbe contrario ai principi fondamentali della professione, ma, in ultima analisi, si risolverebbe in un pregiudizio per i clienti.
Il dovere dell’avvocato di difendere il proprio cliente in piena indipendenza e nell'interesse esclusivo di quest'ultimo, di evitare conflitti di interesse e di rispettare il segreto professionale, è in pericolo specialmente quando l’avvocato esercita la propria attività all'interno di strutture organizzative che, di fatto o di diritto, consentono a soggetti estranei alla categoria di avere un controllo rilevante sull’attività della struttura stessa (si veda in merito la posizione del CCBE del 2005).
In questo contesto, vorremmo richiamare la sentenza della Corte di Giustizia UE nel caso Wouters (C-309/99), in cui la Corte è stata chiamata a decidere sulla compatibilità con il Trattato UE della normativa olandese che vieta la collaborazione integrata tra avvocati e dottori commercialisti. La Corte – riferendosi ai valori fondamentali di cui sopra – ha ritenuto che il Nederlandse Orde Van Advocaten (Ordine olandese degli avvocati) “ha potuto ragionevolmente ritenere che la detta normativa, malgrado gli effetti restrittivi della concorrenza ad essa inerenti, risultasse necessaria al buon esercizio della professione di avvocato, cosi come organizzata nello Stato membro interessato”.
Vorremmo anche segnalare che altri Stati membri potrebbero opporsi all’insediamento di tali modelli organizzativi sul proprio territorio, in conformità all'articolo 11 della direttiva 98/5/CE relativa all’esercizio permanente della professione di avvocato in Stati membri diversi da quello di origine, in forza del quale: “quando le regole fondamentali che disciplinano la costituzione dell'attività di tale studio collettivo [leggasi, esercizio in comune della professione] nello Stato membro di origine siano incompatibili con le regole fondamentali derivanti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro ospitante, queste ultime regole si applicano se ed in quanto la loro osservanza sia giustificata dall'interesse generale della tutela dei clienti e dei terzi”.
Nella maggior parte delle giurisdizioni europee la prestazione di servizi legali non è consentita in strutture in cui soggetti estranei alla professione detengono in tutto o in parte il capitale sociale, utilizzano la denominazione con la quale viene esercitata la professione o esercitano, di fatto o di diritto, poteri decisionali. Alcune giurisdizioni europee consentono forme di partnership multidisciplinari o forme di controllo esterno, ma solo sotto rigorose condizioni. In alcune giurisdizioni, per esempio, i soggetti estranei alla professione possono diventare partner di uno studio legale, purché siano membri di una professione regolamentata il cui codice di condotta sia equiparabile a quello della professione legale.
Vi esortiamo pertanto a prendere in considerazione le riflessioni sopraesposte nel contesto delle prossime fasi del processo decisionale e a garantire che i valori fondamentali della professione – che sono di cruciale importanza per una società democratica basata sullo stato di diritto – siano salvaguardati.
Sarò lieta di discuterne personalmente con Lei o con i Suoi collaboratori, posto che si tratta di questioni di importanza capitale per la nostra organizzazione.
[Solo per la lettera al Ministro della Giustizia]: In virtù della Sua esperienza di avvocato, sarà senza dubbio consapevole dell’importanza di proteggere il rapporto di fiducia tra l’avvocato e il suo cliente contro le indebite intrusioni da parte dello Stato, nonché della necessità di salvaguardare l’indipendenza decisionale dell’avvocato, anche al fine di tutelare efficacemente i diritti e le libertà dei cittadini.
Cordialmente,
Marcella Prunbauer-Glaser Presidente del CCBE