Sin dagli interventi pubblici di circa un anno addietro, il percorso politico del Presidente Fini sembrava andare in una duplice direzione: divenire cardinale in ogni discorso che valicasse l’ingombrante e non più credibile leadership di Silvio Berlusconi; produrre una più durevole egemonia nel futuro del centrodestra italiano. Il distaccamento del gruppo di Futuro e Libertà dal blocco del PDL chiarisce meglio alcuni punti. Innanzitutto, allo stato attuale, entrambi gli obiettivi sembrano fuori portata. Fuori portata la speranza di puntare alla Presidenza del Consiglio; fuori portata l’avanzamento culturale e consensuale delle posizioni, pur coraggiose, che si fanno largo nel raggruppamento di Fini e di chi lo ha seguito. Il Presidente Fini non ha fatto i conti con gli errori del proprio passato: il proibizionismo sulle droghe, le politiche migratorie, le alleanze di governo. Ma ciò non toglie che sa offrire un presente politicamente interessante: cittadinanza agli immigrati, riforma elettorale, fecondazione assistita, questione morale nei vari gangli dell’amministrazione pubblica. Insomma: quanto basta per provare a ricostruire una destra europea, affidabile, in grado di inserirsi a pieno titolo nel novero del PPE. Quel PPE al quale Berlusconi si associò più per calcolo che per convergenza politica: il Partito della Democrazia Cristiana e dei nuovi conservatori al governo in Europa (eccezione ultima Cameron), il PPE dal ’99 ad oggi egemone al Parlamento Europeo. In Fini questa collocazione, alla quale non tutti i suoi guardano con simpatia, è più genuina: è il punto conclusivo di una parabola che parte dalla Destra del movimento sociale, passa per la svolta di Fiuggi e la svolta del governo, si incardina nel correntismo del Popolo della Libertà e arriva all’oggi. A questo gruppo-partito-rete-movimento che può potenzialmente contare su buoni sondaggi e proficue esperienze di governo e di opposizione, nei vari ambiti della politica italiana. Una riflessione critica si impone: come dare all’operazione un senso politico serio? Le alternative sarebbero numerose: rompere con Berlusconi, creare un partito neocentrista, creare un partito di destra liberale, diventare l’arma in più del centrosinistra o, più genericamente, della borghesia non berlusconiana. Il background del “gruppo Fini” potrebbe soddisfare tutte queste alternative, ma il tempo delle scelte non è più procrastinabile. Forse il deficit di informazione, in un caso quasi inedito di aumento della domanda, decretato dalle reti RAI e Mediaset, sembra consonante: mentre qualcuno cerca di uscire dal guado e di definire (e definirsi come) proposte, la nebulosa delle scelte incerte, del navigare a vista, par essere una volta di più il tratto unificante del Paese.
DOMENICO BILOTTI