Crepuscolo del premier e alternativa da costruire

di Elettra Deiana

Forse la favola bella di stampo berlusconiano, che ha incantato una così estesa parte degli italiani e ha trascinato l’intero Paese alla deriva, volge al termine e Berlusconi dovrà presto fare i conti con la fine del suo forsennato sistema di potere. Forse è davvero così, almeno stando ai segnali, che, al momento, sembrano di una qualche consistenza. Vengono soprattutto da destra, però, i segnali di crisi. E questo è un problema, c’è poco da discutere. Ricominciamo, noi, dalla piazza romana del 13 marzo, da quel grande composito incontro di popolo, come ha auspicato Nichi Vendola, e cerchiamo di dare segnali di altro tipo? La scommessa è questa. Il problema è come. Come sempre.

Ma intanto vale la pena di fare i conti con il quadro che muta e capire come e fino a che punto muta. Il susseguirsi di scandali di ogni tipo e urla e strepiti, richiesta di salvacondotti e tutele oltre ogni limite di decenza da parte del premier cominciano a lasciare qualche segno, anche nella maggioranza. Il capogruppo del Pdl al Senato, il fedelissimo Maurizio Gasparri, non a caso deve ammettere che ormai l’interesse dei giornalisti è diretto soprattutto alla bagarre interna alla maggioranza e, in particolare, alle correnti e alla crescente balcanizzazione del partito del premier.

Ma, al di là delle preoccupazioni dei luogotenenti berlusconiani, i contorni della crisi politica della coalizione di centrodestra sono sempre più nitidi, le grandi e piccole manovre per la successione sono delineate, ancorché ancora in incerte direzioni.

Si scorgono nelle mosse di Gianfranco Fini, con la sua Generazione Italia, costruita nel pieno dell’ennesima indagine che, questa volta da Trani, ha investito Berlusconi e con l’ indicazione data agli ex di An di non aderire ai berlusconiani Circoli delle libertà. E si scorgono, quei segni, anche nella freddezza di un Tremonti di fronte alle richieste che il premier avanza affinché si affrettino i tempi della riforma fiscale.

Un bel regalo agli italiani, pensa Berlusconi, e la favola bella, potrebbe riprendere quota. Ma il ministro non demorde dal suo niet e risponde che non se ne fa niente prima di due o tre anni. C’è la crisi e i cordoni della borsa vanno tenuti stretti. La crisi economica e sociale appunto, che appare inarrestabile, a dispetto delle chiacchiere rassicuranti del premier e morde la vita delle persone.

Fabbriche in crisi e disoccupazione, precarietà del lavoro e incertezza del reddito e la fine del tunnel che non si vede. Entusiasmi e fanatismi pro Berlusconi possono raffreddarsi. Almeno un po’. Anche questo insomma può costituire un fronte di serio logoramento del consenso, insieme al fastidio e al disorientamento che i pasticci lombardi e laziali intorno alle schede elettorali, oltre al clima sempre più avvelenato della politica, hanno suscitato, almeno in parte, nelle file dell’elettorato moderato del centrodestra.

E infatti Berlusconi teme, come il diavolo l’acqua santa, l’astensionismo – i risultati francesi parlano anche a lui – e si prepara, con la manifestazione del 20 marzo, a rappresentarsi davanti al suo elettorato, per l’ennesima volta, nelle vesti della vittima assediata dai nemici di sempre. I giudici comunisti, i giornalisti venduti, le istituzioni ostili. E’ un film che Berlusconi sa interpretare da vero istrione e forse anche questa volta il premier ce la farà a riprendere quota.

Ma l’immaginario popolare, sequestrato per anni dalle sue chiacchiere tout azimut, è ormai sotto tensione da troppe parti e, l’impalcatura “verminosa”, come la definisce Nichi Vendola, su cui quell’immaginario si regge, è sempre più traballante.

Crepuscolo di un capo, dunque. E’ nelle cose. Bisogna vedere i tempi e i modi. Venenum in cauda, dicevano i Romani. Alludevano al veleno nella coda dello scorpione ma delle astuzie e degli inganni del potere i Romani sapevano tutto.

Berlusconi giocherà il tutto per tutto per restare a galla. E questo è il primo problema che il suo crepuscolo ci pone di fronte. Non ci regalerà niente. Dobbiamo saperlo. L’involuzione in senso autoritario della Repubblica è già in atto e tutto può peggiorare. L’altro problema, ancora più grave, è il lascito disastroso che il Paese eredita, quel mix micidiale di questione democratica questione sociale e questione morale che è cresciuto negli anni, arrivando a punte estreme negli ultimi due anni, con tracce negative in tutti gli aspetti della vita della Repubblica.

La fine di Berlusconi non significherà affatto la fine del berlusconismo. Anche perché in questi lunghi anni della transizione italiana, la sinistra nel suo complesso, vuoi per crisi e debolezza politica e mancanza di pensiero e proposta alternativa; vuoi per infausto spirito bipartisan su troppe cose su cui non c’era nulla da spartire, e anche per cupio dissolvi e quant’altro, poco o niente ha fatto per contrastare la diffusione dei veleni del berlusconismo.

Populismo plebiscitario, disprezzo per le regole della democrazia, messa in mora dei capisaldi della Costituzione, illegalità diffusa, assuefazione ai dispositivi mediatici e simbolici che facilitano la banalizzazione del razzismo e della xenofobia e fanno accettare lo scambio tra sesso e potere come ingrediente di base del potere: tutto questo, insieme allo smantellamento del sistema dei diritti sociali, che nella nostra storia ha costituito uno dei pilastri del patto repubblicano, ha cambiato profondamente la pelle del Paese, ne ha snaturato la cultura, deturpato il senso di responsabilità pubblica, distorto le domande e le aspettative.

Per questo il crepuscolo e la fine di Berlusconi potrà non significare granché o significherà assai poco se non sarà anche l’esito di un ritorno della politica sulla scena pubblica, di un nuovo scambio di intenti e sentimenti tra mondo e politica, tra donne e uomini della vita di tutti i giorni e una politica che sappia essere di tutti i giorni e di tutti i luoghi. .

Il problema è far nascere nelle file di chi si oppone a Berlusconi una forte consapevolezza di tutto questo, di quanto sia complesso e complicato voltare davvero pagina, e mettere insieme, con lungimiranza e pazienza, le tappe di un percorso unitario di costruzione di un alternativa che non sia il solito gioco di palazzo. Dei soliti strateghi di guai. Quelle alleanze a freddo, per dirla in altro modo, che gli strateghi del potere, nei ranghi del centrosinistra, del Pd in primis, imbastiscono spesso dai Palazzi. Quasi sempre e sempre più con esiti disastrosi e sicure sconfitte. E delusione e frustrazioni a tutti i livelli a sinistra.

Serve invece un’impresa collettiva che tragga forza dalla diversità dei percorsi. Serve una condivisione di intenti e di proposte – su cose essenziali e importanti – che rovesci come un guanto la logica della politica e ne cambi radicalmente gli ingredienti. Nichi Vendola, nella piazza romana del 13 marzo, ha messo in primo piano, non unico ma in primo piano, il lavoro. Con parole forti, che ne fanno di nuovo un punto di vista dell’esistenza. Il lavoro, regredito da “pietra angolare” della Costituzione a “pietra di scarto” dell’era berlusconiana. Com’era, più o meno, all’epoca del fascismo. E i beni comuni, l’acqua, la partecipazione democratica di uomini e donne alla cosa pubblica.

Parole così e il successo, straordinario, che quelle parole di sinistra hanno riscosso in quella piazza, fanno sperare che una ripresa delle forze del centrosinistra, e della sinistra, per quello che è possibile, sia oggi possibile.

Senza retorica ma con determinazione, come sempre la politica può essere nelle nostre mani.

Elettra Deiana

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