Consapevoli dell'importante risvolto giurisprudenziale avutosi con la recente sentenza della Cassazione sul caso di Eluana Englaro, è quantomai utile:
– affrontare, con schiettezza e senza preconcetti o ipocrisie, temi di sì delicata natura etica
– diffondere una maggiore sensibilità, nell'opinione pubblica, su queste tematiche esistenziali
– e mettere ogni cittadino nelle condizioni di giudicare personalmente, di maturare un proprio convincimento, di elaborare delle meditate scelte di vita: insomma, di esprimere un consenso (o dissenso) “informato” e “consapevole”.
Solo fatto ciò, si può comprendere l'enorme opportuntà offerta, già oggi, anche in mancanza di una apposita legge sul testamento biologico, dalla sentenza citata: l'opportunità di manifestare validamente le proprie volontà, specie per iscritto, in merito all'accettazione o al rifiuto di continuare a vivere allorché la persona stessa venisse a trovarsi in uno stato clinico d' “incoscienza” e di “perdita della capacità di relazionarsi” con la realtà.
Dopo il 16 ottobre 2007 si sono aperti scenari nuovi ed ancora inesplorati: si configura la possibilità, nel caso in cui ci si venga a trovare in uno stato clinico paragonabile a quello di Eluana Englaro – per intendersi -, di veder riconosciuto, se non per legge almeno giudizialmente, il diritto a staccare la spina e/o ad interrompere l'alimentazione e/o idratazione artificiale.
A tal fine, occore dimostrare, oltre l'irreversibilità del proprio stato comatoso o vegetativo, la propria volontà: e quest'ultima prova, apparentemente diabolica, può rendersi di facile accertabilità se si rendono documentabili le proprie convinzioni etiche attraverso la redazione di un “testamento biologico”.
Anche in mancanza di una legge che riconosca diretta efficacia a tale attestato, risulta ormai innegabile l'esistenza, in capo ad ogni persona, del diritto “stretamene personale” di manifestare il proprio convincimento in tema di tratamenti terapeutici e sanitari vitali, al fine, se si desidera, di evitare l'eventualità di divenire (usando le parole significative pronunciate dal padre di Eluana) “vittima sacrificale del codice deontologico dei medici e della legge”: il testamento biologico, per intendersi, può, già allo stato presente, essere la forma più attendibile ed incontestabile per dimostrare e far valere (se occorre in gidizio) la propria volontà!
La funzione del testamento biologico, in qualità di atto scritto (e sottoscritto) dal testatore:
– in piena coscienza e con piena consapevolezza delle possibili conseguenze derivanti dalle dichiarazioni ivi contenute
– e in coerenza e in corrispondenza con le proprie convinzioni culturali, etiche, filosofiche e religiose
può essere quella di principale “documento personale” volto a:
1- rivendicare il proprio diritto naturale a disporre “personalmente” ed “in ogni circostanza” della propria vita, conferendo alle proprie determinazioni documentate carattere di “valida forma di manifestazione della volontà” in ogni circostanza nella quale la persona non sia in grado (a parole o con ogni altro esplicito mezzo) di esprimere coscientemente, liberamente ed individualmente il proprio intendimento
2- provare (in giudizio, se occorre) la “genuina volontà” del paziente di rifiutare, per sé, ogni forma di trattamento terapeutico o sanitario (costituisca o meno, in base alla giurisprudenza, accanimento terapeutico) finalizzato esclusivamente al mantenimento del soggetto in uno stato di “incoscienza”, di “non relazionabilità” e di “immobilità”, giudicato dallo stesso (quando ancora nel pieno delle sue facoltà mentali) inaccettabile sulla propria persona e non degno di essere vissuto
3- porre “limite alla discrezionalità” dell'eventuale tutore (dell'assistito in stato d'incoscienza), oltre che dei medici e del giudice, nel decidere sulla vita del paziente sottoposto a tali trattamenti, conferendo lo stesso atto, alle dichiarazioni ivi contenute, carattere “vincolante” per chiunque chiamato, in qualità di rappresentante legale del paziente-testatore, ad esprimere dichiarazioni di volontà sostitutive di quelle dell'assistito
4- garantire al testatore adeguata tutela (anche in sede giudiziale se occorre, ma, preferibilmente, appellandosi unicamente alla coscienza dei medici e dei propri familiari) del proprio diritto costituzionale alla libertà e autodeterminazione, dando mandato, con tale atto, ad ogni eventuale rappresentante legale dello stesso, di adire tutte le vie legali percorribili per far valere le suddette volontà (ove le stesse risultino negate o disconosciute).
Questo non è, di per sé, un risultato di poco conto, anche se garantito ancora troppo incidentalmente e solo giudizialmente (in mancanza di una legge in materia): è, comunque, la massima garanzia di “libertà di autodeterminarsi” che il nostro ordinaento, allo stato, ci consente.
Sarebbe allora bene che, su questo aspetto, si aprisse un dibattito serio:
– in ambito sociale, per informare i cittadini della loro libertà di poter scegliere su se stessi (per dirla in una battuta: di poter finalmente rivendicare di essere “libere persone in libero Stato”)
– in sede politica, per rendersi conto della “non ulteriore rinviabilità” di un intervento normativo in materia.