Una casa per bambole e topi a Tiburtino III
Sembra un giocattolo, una casa per bambole. La stanza da letto, una sorta di cassone realizzato con pezzi di mobili e teli, è così bassa da non poterci stare seduti. La donna che vi dimora se ne servirà solo per dormirci. In piedi o seduta può stare solo nell’ingresso, giacché questo non ha copertura. E’ uno spazio esiguo, l’ingresso, delimitato da ante d’armadio rovesciate. Una casa per bambole, e lei sembra ci stia giocando. Questa mattina, era lì, nell’ingresso della casa per bambole. Stava addobbando con molto anticipo un alberello di Natale. Sistemava una pallina dorata, si allontanava, guardava compiaciuta, e tornava a sistemarne altre. Poi ha sistemato la ghirlanda di fili dorati, e di nuovo si è allontanata per ammirare la sua opera.
Porta il rossetto. Cura la sua persona, è evidente. Non è vestita di stracci. Avevo già accennato in un altro articolo, a questa sorta di casa per bambole nel quartiere Tiburtino III, a questa scatola dove penetra il freddo, la notte, e magari qualche topo. Si trova in un’aiuola a pochi metri di distanza dalla fermata della metro di Santa Maria del Soccorso. Come l’altra volta, la donna, appena vedeva avvicinarsi qualcuno protestava: “Andate via, andate via, non mi date fastidio”. Non vuole comunicare con nessuno. Questa volta, avendo forse capito che era lontanissima da me l’intenzione di darle fastidio, mi ha guardato un attimo e ha pronunciato qualche parola in più oltre alle solite: “Non ho voglia di parlare”. Qualcosa mi ha detto.
Ha accento straniero. Chiesi informazioni, tempo fa, a persone che abitano nei pressi. Mi dissero che veniva dall’est e che non “ci stava con la testa”. E forse sarà vero. Forse per trovare la forza e il coraggio di vivere in quelle condizioni, bisogna non starci con la testa.
Renato Pierri