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ASSEGNO INVALIDITÀ: ORA SOLO A CHI NON LAVORA. UN ALTRO PASSO INDIETRO SULL’INCLUSIONE DEI DISABILI

ASSEGNO INVALIDITÀ: ORA SOLO A CHI NON LAVORA. UN ALTRO PASSO INDIETRO SULL’INCLUSIONE DEI DISABILI

 

La testimonianza di Claudia, invalida al 100%: “Voglio poter lavorare, sono stanca che decidano per me”
Lo Sportello Legale di OMaR: “Una legge troppo vecchia e non più attuale”

 

 

Roma, 21 ottobre 2021 – Il diritto all’assegno mensile di invalidità da ora in poi sarà riconosciuto solo a chi non lavora, nemmeno poche ore a settimana. Questo la dice lunga su quanto l’inclusione sociale (che evidentemente si concretizza anche nel lavoro) sia tra gli obiettivi dello Stato italiano e dell’INPS. L’assistenzialismo vince ancora una volta a mani basse, in barba al concetto di inclusione sociale (volta a garantire equità e pari opportunità) di cui troppo spesso ci si riempie la bocca.

 

L’ INPS ha infatti recentemente emesso una comunicazione con la quale di fatto modifica le carte in tavola. Se è vero che la Legge 118/1971 (una legge molto vecchia che, nel disciplinare l’assegno mensile di assistenza, fa riferimento a un concetto di disabilità non più attuale) già prevedeva che l’assegno fosse riservato alle persone prive di impiego, fino ad ora era stata interpretata in maniera estensiva, permettendo a chi svolgeva piccoli lavori (entro il limite di reddito di circa 5.000 euro) di non perdere la prestazione, a condizione che fosse iscritto alle liste del collocamento mirato.  Ora questo non è più possibile.

 

“La precisazione dell’INPS – commenta lo Sportello Legale di OMaR-Osservatorio Malattie Rare – non tiene assolutamente conto che lo svolgimento di un’attività lavorativa, seppur minima, per una persona invalida, rappresenta un modo per socializzare più che una modalità di sostentamento e che ora, probabilmente, in molti sceglieranno la via dell’isolamento a discapito di quella dell’inclusione, onde evitare di perdere quel minimo di aiuto quale è l’assegno mensile di invalidità. La Legge 118/1971 per troppi aspetti non è più attuale, tanto nel lessico quanto nel contenuto. A farne le spese sono ancora una volta i più fragili”.

 

LA TESTIMONIANZA DI CLAUDIA

 

“Chi ha diritto all’aumento della pensione di invalidità non ha diritto a poter lavorare per guadagnare ciò che gli serve per avere una vita autonoma e indipendente – testimonia Claudia, collaboratrice di OMaR, affetta da Agenesia Sacrale e Sindrome da Regressione Caudale e invalida al 100% – Ora io mi ritrovo a dover fare una scelta personale e professionale e a fare ancora i conti con i limiti che la mia disabilità ha. Voglio poter lavorare, riuscendo a coprire ciò che mi serve per poter avere una vita dignitosa, ma voglio anche essere libera di scegliere per me, sono stanca che gli altri facciano scelte al posto mio”.

 

Per un invalido al 100% monoreddito, le entrate totali derivanti dalla pensione invalidità aumentata vengono a coincidere con il limite reddituale per la corresponsione dell’assegno di invalidità stesso. Se si sceglie di non lavorare e optare per l’assegno nel migliore dei casi, sommando le altre prestazioni previste per legge, si arriva a percepire circa 1.000 euro al mese. Cifra evidentemente non sufficiente a sostenere tutte le spese a carico di una persona monoreddito che vive da sola e che spesso deve anche farsi carico di prestazioni sanitare e ausili non sempre coperti dai LEA.

 

Per ulteriori informazioni, qui l’approfondimento di Osservatorio Malattie Rare.

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