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Commemorazione dell’uccisione da parte della mafia del giudice Antonino Saetta, di Stefano Saetta, di Cesare Terranova e del maresciallo di pubblica sicurezza Lenin Mancuso

Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei diritti Umani ricorda oggi (25 settembre) l’uccisione del giudice Antonino Saetta e il figlio Stefano Saetta avvenuta nel 1988 e del magistrato Cesare Terranova e del maresciallo di pubblica sicurezza Lenin Mancuso assassinati nel 1979. Entrambi gli uomini di giustizia, in anni diversi, si erano occupati di alcuni processi importanti ai danni della mafia come quello relativo alla strage in cui morì il giudice Rocco Chinnici o quello inerente all’uccisione del capitano Basile per Saetta e il caso Michele Vinci o il processo che condannò all’ergastolo, nel 1974, Luciano Liggio, soprannominato la primula rossa di Corleone, per Terranova. Nel loro meticoloso e rigoroso lavoro giudiziario non si piegarono mai alle pressioni criminali infliggendo agli uomini e ai boss mafiosi pene esemplari. Antonino Saetta rivestì l’incarico di Consigliere della Corte di Appello di Genova; Presidente della Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta e Presidente della I sez. della Corte d’Assise d’Appello di Palermo. Cesare Terranova ricoprì la qualifica di procuratore d’accusa al processo contro la mafia corleonese a Bari; capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo; procuratore della Repubblica a Marsala e deputato nelle fila del PCI.

Cesare Terranova fu insignito il 25 settembre del 1979 della medaglia d’oro al valor civile mentre per Antonio Saetta e il poliziotto Lenin Mancuso chiediamo che venga ufficializzato un analogo riconoscimento.

IL CNDDU ne commemora l’alto valore morale considerandoli esempio raro esempio di moralità e attaccamento allo Stato. Ricordiamoli nelle nostre scuole.

Leonardo Sciascia, riferendosi a Cesare Terranova, scrisse alcune righe significative sulla figura del magistrato nel suo libro “A futura memoria (se la memoria ha un futuro”: “E credo gli venisse, tanta acutezza e tenacia e sicurezza, appunto dal candore: dal mettersi di fronte a un caso candidamente, senza prevenzioni, senza riserve. Aveva gli occhi e lo sguardo di un bambino. E avrà senz’altro avuto i suoi momenti duri, implacabili; quei momenti che gli valsero la condanna a morte: ma saranno stati a misura, appunto, del suo stupore di fronte al delitto, di fronte al male, anche se quotidianamente vi si trovava di fronte.”

prof. Romano Pesavento

Presidente CNDDU

 

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