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Il ’68 può essere giudicato? Una domanda o un pretesto nel narrare una storia d’amore di Marcello Vitale 

Di Pierfranco Bruni

 

Marcello Vitale letterariamente nasce dentro il linguaggio poetico, il cui verso è una stretta correlazione tra il lirico e il raccontato. Un giurista dentro l’umanesimo delle culture si confronta con la parola che è espressione emozionale.

Nel romanzo “Nessuno mi può giudicare”  edito per i tipi di Ensamble, le eredità poetiche sono cesellature che sanno guardare al cerchio dei linguaggi conquistati tra esperienza e testimonianza e classicità. Sono storie dentro le storie. Storie che vivono dentro la storia. Non in quella “storia siamo noi”, ma nella storia vissuta con la propria vita e segnata con il proprio esempio individuale.

Si traccia una storia d’amore in un destino di vite. Carla, il giovane magistrato, la presenza dei nomi viaggianti sono dentro ciò che è stato definito ’68.

Mitico? Archetipico? Rivoluzionato? Cosa ha cambiato? La vita di Carla? Lo smarrimento di Carla? La scomparsa di Carla? Questo alla fine. Ma già il titolo ci rimanda al 1966. Ad una famosa canzone di Caterina Caselli che i ragazzi come me, di una generazione successiva, echeggiavano. Il tempo cammina il tempo fugge.

*Lo scrittore è un io narrante in tutto ciò?* Certamente sì. Vive in trincea l’amore e il viaggio di una generazione che cercava la fantasia portata al potere. *Il ’68 è realmente l’anticamera del ’78?*

 

Ci sono domande alle quali il romanzo risponde tra le quali: Quando ha influito la sua professione di magistrato nel raccontare i fatti dentro il romanzo? Perché Carla deve smarrirsi tra politica e sociale alla fine? Il titolo è una stupenda provocazione che ci rende comunque liberi da ogni giudizio?

 

Il ’68 è stato realmente una rivoluzione o una antropologia di una società in transizioni che senza Valle Giulia sarebbe mutata comunque? Pasolini è un pretesto o una profezia? Carla, il personaggio che guida la mano dello scrittore, è l’identificazione della ragazza del “cioè”, tipico linguaggio di quegli anni. Una provocazione? Il romanzo è comunque soprattutto una storia d’amore. Un amore di vita e di destino tra una giovane universitaria e un magistrato del Sud. Infatti l’amore nella sua sensualità ha la sua peculiarità.

Molto suggestivo è il tramare gli avvenimenti con la musica degli anni Sessanta. Molto incisivo è lo scavo nella politica e nella magistratura che accompagnerà quella lezione milaniana alla contestazione studentesca e questa alla lotta per la terra nella Calabria di una questione meridionale irrisolta.

Irrisolta è la contestazione di Valle Giulia a Roma con Pasolini che difende i poliziotti e “guerreggia” con giovani delle lotte tra Torino, Roma, Venezia e i contadini del Sud. Un ripiegare verso le terre e la speranza che diventa disperanza per una conquistata non libertà. Il raccontare diventa così un riflettere lungo le parole che nessuno potrà giudicarci. E questo sino a riscoprire la nobiltà della famiglia Vitale.

Illusione vana. Le stesse parole che userà Aldo Moro quando disse che non ci lasceremo processare nelle piazze. Un continuum di immagini che hanno la dinamica della profezia. Il romanzo di Marcello Vitale è un romanzo non solo forte ma anche un romanzo forza. Un romanzo nel quale la vita del magistrato scrittore è in primo piano. Una ribalta che vive di scene e retroscena. Ma Carla non è una semplice motivazione. È molto di più. È una sensualità che vale un’epica e un’epoca. Poi verrà “Porci con le ali” cercando di “ammazzare il tempo”. Quel tempo che ha visto l’io narratologico dentro la realtà. Siamo reali per aver troppo vissuto i fatti. Arriverà anche il tempo della dialettica e delle vite hippy che coinvolgeranno Carla e tutta la sua compagnia. Interessante, molto, i dati relativi al fascismo e il post fascismo in Calabria. La ndrangheta con i suoi risvolti.

*I luoghi hanno la loro geografia umana e geopolitica per lo scrittore?* Per esempio Lamezia. Il ruolo del magistrato in una Calabria irridente rischio nel dire. Il romanzo è tanti romanzi intrecciati. O tanti racconti che formano il romanzo tra la irresistibile irrequietezza di Carla e la pacatezza armonica del magistero dell’io che sperimenta descrive, contempla, annota e vive.

Le storie nella storia. Come si conclude? Senza conclusione. Anzi, ha un finale ma non una conclusione. Ciò vuol dire che Marcello Vitale si riserva di andare oltre. *Oltre il ’68 con le sue antropologie politiche e umane cosa ci sarà?* Non una retorica o una demagogica visione di quell’immaginario ma un una possibile e inevitabile continuità che significa dare una voce alla scomparsa di Carla. E come? *Con gli anni lunghi che porteranno agli “anni di piombo” già, forse, in incipit nel ’68?*

Marcello Vitale è troppo scrittore per non penetrare il suo vissuto successivo. Il romanzo che sarà domani è già dentro “Nessuno mi può giudicare”. Ovvero nel ritorno di Carla meditativa e nella lezione del magistrato che con la sua saggezza riesce a leggere al di là del bene e del male. Ottimo romanzo!

Cosa ci lascia? Soprattutto a quella generazione che ha vissuto in una Roma infuocata gli anni di piombo?
Il rischio di affidare alla politica le nostre vite?
La volontà di raccontare per esorcizzare una giovinezza ormai svanita?
La decodificazione della storia come documento?
La bellezza di un amore che ci rendeva immortali prima di conoscere il tempo delle rughe?
La sapientia data dalla conoscenza che tutto diventa passato e la memoria è nostalgia?
Carla resta un archetipo, appunto, della bellezza che si racconta perché è entrata nell’attesa della ricordanza.
In fondo il romanzo è un itinerario passato mai sconfitto e ritrova il suo presente proprio nella letteratura.

 

 

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