Ex prigionieri politici iraniani ricordano il massacro del 1988 e il ruolo dell’attuale presidente
Questa settimana, il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana ha caricato una serie di video sul suo sito ufficiale con testimonianze oculari di persone che si trovavano in prigione in Iran durante il massacro di detenuti politici nel 1988.
Per molti anni, l’NCRI ha condotto una costante campagna di giustizia in nome delle vittime dell’eccidio.
Tale campagna è diventata ancora più urgente e tempestiva nelle ultime settimane, dopo che Teheran ha effettuato la transizione verso una nuova amministrazione presidenziale, guidata da uno dei principali responsabili del massacro.
Molte delle testimonianze dei video dell’NCRI riferiscono con certezza di aver visto Ebrahim Raisi durante gli interrogatori e i finti processi in cui si decideva chi doveva essere giustiziato tra luglio e settembre del 1988. Alcuni di coloro che erano detenuti prima del massacro hanno ricordato la presenza di Raisi nei reparti politici, soggetti alla sua giurisdizione come vice procuratore.
Oltre al massacro, molti hanno reso la loro testimonianza sui lunghi periodi di detenzione per il ” crimine” di sostenere la People’s Mojahedin Organizzativo of Iran ( PMOI/MEK ). Oggi il MEK è il principale gruppo dell’NCRI e, in quanto tale, rimane il primo obiettivo della repressione interna, del terrorismo estero e della propaganda del regime.
La stragrande maggioranza delle vittime erano sostenitori o membri del MEK.
Ogni prigioniero che rifiutava di rinnegare il MEK veniva mandato alla forca. Hossein Farsi, nella sua testimonianza, ha spiegato come la sola citazione della parola MEK era motivo di dure repressioni e i Mojahedin venivano identificati come ” Monafeqin” o ” ipocrita”. Inoltre dal 1986 in poi ai prigionieri è stato vietato di identificarsi come Mojahedin ed ” hanno torturato chiunque abbia usato questa parola”e che ciò era solo l’inizio di una presa di coscienza tra i prigionieri su il destino che attendeva ognuno di loro. Molti altri testimoni riferiscono di quando sono venuti a conoscenza del massacro. Le autorità hanno fatto un grande sforzo per nascondere le prime ondate di esecuzioni, eseguendole immediatamente dopo il trasferimento dei prigionieri da una struttura all’altra, rendendo così difficile la registrazione delle singole vittime. Questa difficoltà era aggravata dal fatto che la maggior parte di quelle vittime furono sepolte in fosse comuni segrete e giustiziate dopo essere state tagliate fuori dal contatto con le famiglie e il mondo esterno per settimane prima del massacro.
Naturalmente questo ed altri cambiamenti nell’ambiente carcerario hanno reso molti prigionieri consapevoli del fatto che qualcosa di insolito stava accadendo, anche se non tutti hanno riconosciuto tali cambiamenti come rivolti al MEK , tanto meno con l’intenzione di spazzare via i suoi membri.
Akbar Samadi ricorda di essere stato preso prima della ” Commissione della morte”, che supervisionò il massacro del 1988, anche se all’epoca gli fu detto che si trattava di un ” Comitato per la grazia”.
Dopo essere stato brevemente in piedi davanti ad una commissione composta da Ebrahim Raisi ed altri tre individui, Samadi parlando con un altro prigioniero ha detto:”Se dovessi indovinare, direi che ci giustizieranno tutti o ci libereranno tutti”.
Altri tuttavia, erano apparentemente a conoscenza dei piani del regime per le esecuzioni di massa, non solo mentre erano in corso, ma con mesi di anticipo.
In un altro video, Mahmoud Royaei ha ricordato che un compagno di prigionia di nome Parviz Mjahed Nia ha incontrato la sua famiglia durante un trasferimento il 21 marzo. Alla famiglia che gli aveva chiesto dove erano destinati, rispose che sarebbero stati giustiziati, perché era stato detto loro ” presto segneremo il vostro destino”. Royaei e Mojahed Nia hanno entrambi riconosciuto qualcosa che non tutte le vittime sono state in grado di vedere con anticipo e cioè che i trasferimenti e le chiusure precedenti il massacro erano stati programmati per schedare i prigionieri politici in base alle loro appartenenze, rendendo così più facile individuare e giustiziarne i membri al ritmo di centinaia al giorno.
Questo ha portato a scene agghiaccianti, come quella descritta da Parvin Pouregbal, detenuta nella sezione femminile della prigione di Evin. ” All’epoca….. c’erano tre sale” ,ha detto, ” nella sala numero uno, al piano inferiore, tutte le donne sono state giustiziate, nessuna sopravvissuta. Nella sala numero tre, che era sopra di noi, tutti i membri del MEK sono stati giustiziati. Nel nostro settore, ogni stanza conteneva 25-30 persone, due di esse furono completamente svuotate”.
La sopravvivenza di Pouregbal sembra miracolosa.
Molte famiglie delle vittime non sono state mai informate ufficialmente della loro morte e non conoscono neppure il luogo dove esse sono state sepolte.
Il MEK ha lavorato instancabilmente per identificare i siti delle fosse comuni in almeno 36 città dell’ Iran, ma il regime ha contrastato duramente tale tentativo e per infangare la storia del massacro ha approvato progetti di edilizia sugli stessi siti e, minacciando le famiglie delle vittime, hanno potuto mantenere un certo velo di relativo oblio sulla questione. Quel velo è gradualmente scivolato negli ultimi anni, soprattutto dopo la fuga di notizie di una registrazione audio dell’epoca del massacro in cui il dissidente solitario del regime condannava i suoi colleghi per ” il peggior crimine della Repubblica Islamica”.
Tuttavia, anche questo non è bastato per avviare un’indagine internazionale che l’NCRI chiede da ormai moltissimi anni.
Di conseguenza, molte organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno accusato le principali potenza mondiali e le Nazioni Unite di rafforzare il senso di impunità tra le autorità iraniane, tanto da incoraggiarle a proporre Ebrahim Raisi come presidente dell’Iran, pubblicamente etichettato dagli attivisti iraniani come” scagnozzo del 1988″.