Pierfranco Bruni
Nel corso di questi mesi, mesi Covid, mesi lunghi, ormai si può parlare di due anni non compiuti ma di tempo distante e vicino certamente, è mutato anche il concetto di cultura e soprattutto di beni culturali.
Cosa è accaduto? È successo che i beni culturali sono diventati tutti immateriali, al di là della schermata dei comparti e delle classificazioni cosiddette scientifiche.
Immateriali e quindi, comunque, antropologici. Ovvero beni di civiltà. Beni non usufruibili e visitabili ma vedibili. Non ci si è resi conto che la cultura dell’oggetto, pur restando oggetto, è trasfigurata verso una concezione metaforica. Quando non si vede realmente o non si tocca l’oggetto perde di oggettualità. Non vuol dire che diventa soggetto. Diventa virtuale. È diventato reale nel virtuale o forse virtuale nel reale. Reale nella conoscenza e virtuale nella fruizione.
Cosa significa ciò? Significa che l’immagine è cresciuta facendo aumentare lo specchio degli immaginari e l’immaginario ha bisogno di fantasia. Non potendo visitare un “campo” archeologico o in castello o una struttura si è entrati nella immagine, nel virtuale toccabile, e quindi siamo stati abitati dal ricordo di un luogo o di una presenza oggettuale inserendo tutto nello spazio tempo pensiero. Non è un paradosso per eccellenza ma per eccezione. Il ciò che si è manifestato ha trasformato il bene culturale in bene del pensiero, in bene profondamente metafisico. Un modello altro di guardare alla cultura. In una tale consistenza di sguardo ha resistito, nel sul piano del mercato oggettuale, in termini allegorici, soltanto il libro. Il libro è diventato oggetto da toccare con più facilità.
Non credo che la cultura, nel contesto del Covid, possa passare in modo indelebile. La visione delle arti è stata, anche se diversificata o non accettata da alcuni o da molti, ed è una appropriazione d’assieme. In questa temperie che viviamo da stanziali è da considerarsi ancora di più tale. Ed è tale. L’economia ha perso il suo peso anche nelle culture. E viceversa. Le culture sono diventate non economiche e la dimensione percettiva immateriale ha preso il sopravvento sul binomio cultura – risorsa produttiva. La conoscenza e la fruizione sono diventati parametri di una conoscenza – coscienza.
La metodologia però è nata proprio da una mancanza di progettualità metodologica in termini anche, soprattutto, di mercato. Un auto da sé o un auto da fe alla Canetti. Tutto ciò che si leggeva come la cultura verso una risorsa economica si è decodificata come cultura dell’approfondimento delle conoscenze che avremmo voluto toccare nella realtà. La realtà ha dovuto fare i conti con la verità delle condizioni attraverso un allontanamento dalla fisicità. È come se si fosse restituito al concetto di bene culturale una sua filosofia.
Il distacco ha però ingenerato una distrazione sul piano della vicinanza – lontananza ma non di assenza – dimenticanza. Il bene culturale, comunque, è sempre un apprezzamento di lontananza nel tentativo di recuperare la memoria delle civiltà. In questo frase di tempo le “cose” sono diventate soltanto immagine nella ricerca. È come se dovessimo fare i conti con l’essere delle culture tenendo vigile, però, il pensiero. Si tratta di un approccio e di un apprendimento. C’è un rischio. La distrazione potrebbe aver mutato il modello di contatto con le culture oppure la costrizione ha allontanato dalle culture rendendole, appunto, immateriali come immaginario e nel tempo. Sono fattori non verificabili nell’immediato ma tuttora non classificabili.
Cosa cambierebbe? Pensate ai beni culturali, nella complessità, soltanto come idea del “tutto immateriale” e non in una prospettiva economica. Muterebbe la stessa filosofia del bene culturale. Dobbiamo essere preparati ad affrontare una questione nuova sul senso e sul valore di cultura. E forse non sarebbe male. L’attrazione diventerebbe affascinate ma non avrebbe mercato. Una interpretazione da considerare, anche perché il distacco tra noi e la cultura si fa sempre più immenso. Mi auguro che si possa comprendere e capire la questione. E la questione non è facile e non è semplice da far entrare nelle linee istituzionali. Il fatto è certo. È completamente mutato l’approccio tra la cultura e gli uomini. È mutato persino il colloquiare! In tempo di Covid è mutato completamente il rapporto tra i beni culturali, le società e gli uomini. È bene che si capisca e si usi l’intelligenza della ragione e non il tempo della nostalgia.