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Scuola: Save the Children, dati Invalsi certificano la crescita delle diseguaglianze.

Scuola: Save the Children, dati Invalsi certificano la crescita delle diseguaglianze. Il 12,3% degli studenti in condizioni socioeconomiche difficili abbandona gli studi, a fronte del 5,3% di quelli con maggiori risorse. In Italia nel 2020 il massimo storico dei minori in condizione di povertà assoluta, 1milione e 346mila, necessario intervenire subito per non lasciare che nessuno resti indietro

L’Organizzazione chiede subito interventi sull’istruzione a favore di bambine, bambini e adolescenti più svantaggiati, che hanno subito i maggiori disagi dalla DAD e un impegno immediato a garantire l’apertura di tutte le scuole in presenza a settembre

 

“I dati Invasi certificano il fatto che se la crisi ha colpito complessivamente tutti gli studenti, i bambini e ragazzi che erano già in condizioni di svantaggio hanno subito le conseguenze più gravi, I mesi lontani dalle aule hanno contribuito ad aumentare le diseguaglianze, accrescendo le difficoltà di quei bambini e adolescenti che si sono trovati a seguire la didattica a distanza senza gli strumenti e le condizioni idonee, privi di supporto adeguato, e sono stati lasciati cosi indietro rispetto ai compagni. Qualunque dibattito sulla riapertura o meno delle scuole a settembre, a fronte di questi dati, è inaccettabile e tutti gli sforzi devono essere volti a ridare a tutti gli studenti la possibilità di tornare in classe, altrimenti rischiamo di condannare quelli più vulnerabili a un percorso senza uscita”. Cosi Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia- Europa di Save the Children.

 

Alle scuole medie – sottolinea Save the Children – il 39% degli studenti che hanno svolto i test, non raggiunge il livello minimo di competenze in Italiano, e il 45% in Matematica con un aumento, per entrambe, di 5 punti percentuali rispetto al 2019. Alle scuole superiori il learning loss è ancora più marcato: si passa infatti dal 35% di studenti che non raggiungono le competenze minime di Italiano nel 2019, al 44% nel 2021, e in Matematica dal 42% nel 2019, al 51% nel 2021.  

L’incremento delle quote di studenti in difficoltà è molto più accentuato tra coloro i quali provengono da famiglie svantaggiate dal punto di vista socio-economico, e che vivono nelle regioni del sud, dove oltre la metà degli studenti non raggiunge il livello minimo di competenze in matematica e lettura. In crescita, di 2,5% rispetto al 2019, anche il dato relativo all’abbandono scolastico che si attesta al 9,5%: anche in questo caso, sottolinea Save the Children, maggiormente danneggiati sono stati i minori più svantaggiati dal punto di vista socioeconomico, il 12,3% dei quali abbandonano la scuola prematuramente (a fronte del 5,3% per gli alunni che provengono da famiglie non svantaggiate dal punto di vista socioeconomico). E anche in questo caso più penalizzati coloro che vivono nelle regioni sud, dove il tasso di abbandono si attesta al 14,8% (nelle regioni al nord scende al 2,6%).

“Il quadro prospettato oggi nella presentazione dei risultati delle prove Invalsi deve necessariamente obbligare le istituzioni a una riflessione che non può più essere rimandata e che deve portare subito ad interventi concreti. È necessario investire nella scuola, ma non è possibile “far parti uguali tra diseguali”: bisogna immediatamente correre ai ripari e investire per colmare le diseguaglianze che si sono acuite in questo ultimo anno e mezzo, affinché nessun bambino o ragazzo venga lasciato indietro”, conclude Raffaela Milano.

La povertà minorile, ricorda Save the Children , in poco più di dieci anni è aumentata di dieci punti percentuali[1] e ha raggiunto nel 2020 il suo massimo storico degli ultimi 15 anni: 1 milione e 346 mila minori (il 13,6% dei bambini e degli adolescenti in Italia), ben 209mila in più rispetto all’anno precedente, sono in condizioni di povertà assoluta. Un dato destinato a crescere con la crisi economica generata dal Covid e dovuto, in larga parte, all’aumento consistente del numero di genitori che hanno perso temporaneamente o definitivamente il lavoro, 345.000 durante l’anno trascorso[2], e la conseguente diminuzione delle loro disponibilità economiche.

 

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