SOMMARIO: FUSIONE A DESTRA? – FEDEZ E ZAN – SI AI REFERENDUM – GREEN GREEN GREEN – UN SIGNORE A TORINO.
PARTITO UNICO A DESTRA?
Silvio Berlusconi insiste da settimane: serve un partito unico nel centro-destra e per questo sta cercando di convincere Matteo Salvini su questa opportunità. Non credo si arriverà al traguardo – e sicuramente in questo caso senza Giorgia Meloni – perché un conto possono essere comunque le intenzioni dei vertici e un altro il sentimento degli iscritti e dei dirigenti locali dove il senso di appartenenza o le cicatrici di litigi antichi e recenti contano più di quanto si pensi.
Certo che teoricamente un partito unico potrebbe far pensare ad una facile vittoria elettorale su scala nazionale, ma l’esperienza italiana – da sempre – sottolinea come le fusioni, soprattutto quelle generate a freddo, non portano mai alla somma degli elettorati originali e che invece presto o tardi – ma di solito molto presto – crescono nuovi cespugli e si moltiplicano i dissensi interni che a loro volta generano nuove scissioni.
Per realizzare una fusione, comunque, serve sempre un leader e capo indiscusso che con la propria autorevolezza personale possa essere in grado di tenere legate le diverse “anime” che sono alla base dei partiti, organismi molto meno forti e caratterizzanti di un tempo, ma che hanno ancora una loro importanza quando sono radicati sul territorio ed è il caso della Lega e di Fratelli d’Italia.
Chi conosce bene le diverse anime del centro-destra sa come queste siano spesso insofferenti a vicenda, un concetto che vale anche per le “basi” leghiste e berlusconiane, sottolineando la progressiva diaspora che ha colpito Forza Italia soprattutto a livello locale.
Proprio l’attrazione e la continua migrazione di eletti leghisti ed azzurri verso Fratelli d’Italia può però far comprendere le ragioni delle proposte di Berlusconi, ma non è imponendo una casacca comune che si superano i motivi di fondo di questi travasi che sono di solito basati più su situazioni personali che per motivazioni politiche.
C’è infatti un controsenso profondo da sanare: i programmi elettorali dei tre partiti (e loro satelliti) sono in gran parte sovrapponibili e questo darebbe effettivamente forza ad una fusione, ma ragioni “di sangue” comunque la renderanno indigeribile a una parte dei singoli elettorati.
La credibilità di Berlusconi negli apparati dei partiti-partner è ai minimi, quella della Meloni in crescendo, Salvini sta giocando (bene) il difficile ruolo di oppositore (o almeno di critico) all’interno del governo obbligandolo a qualche tensione con gli alleati a Palazzo Chigi pur di sottolineare la sua visibilità, quella che invece Forza Italia ha fatalmente man mano perso per strada.
Al concreto, infatti, chi sarebbe il leader del nuovo schieramento? Berlusconi potrebbe accontentarsi di una presidenza onoraria, ma il derby vero per il ruolo di leader tra Salvini e Giorgia Meloni è appena cominciato e si rafforza man mano che la credibilità della leader di FdI cresce nell’elettorato.
Difficile pensare che l’una accetti il premierato dell’altro e viceversa.
Contano infatti percorsi antichi e diversi che mi portano a pensare come per il bene della coalizione sia molto meglio un patto federativo piuttosto che una unificazione, anche sulla base dell’esperienza che portò al “Popolo delle Libertà”, abortito tentativo di una fusione tra Forza Italia e Alleanza Nazionale.
La prima sopravvisse grazie al suo leader, l’altra morì con il tramonto di Fini creato anche dall’ “affare Montecarlo” adeguatamente pompato per mesi dalla stampa berlusconiana.
Forse – per il bene del centro-destra italiano – il processo dovrebbe essere affrontato al contrario: prima una definizione chiara di progetti, programmi e priorità e poi il “patto federativo” (che è già nei fatti) per le coalizioni a livello locale e regionale con candidature comuni nei collegi uninominali ma con liste diverse – pur collegate – in quota proporzionale alle prossime elezioni politiche.
Utile metodo per raccogliere le diverse sensibilità elettorali, “fare il pieno” di consensi e poi cercare (e non sarà facile) di governare insieme.
FEDEZ E ZAN
Il signor Fedez sul decreto Zan mi ha scocciato, mi offende, urta quotidianamente i miei sentimenti di cristiano, mischia i soldi con i principi e lo fa a solo scopo auto-pubblicitario, considero idioti quelli che gli vanno dietro senza accorgersi di come vengono strumentalizzati.
Fedez nel mio intimo mi dà proprio fastidio, eppure siamo in democrazia e quindi devo comunque rispettarlo e sopportarlo, come lui deve (dovrebbe) rispettare me e le mie opinioni.
Se a questo punto io però aggiungessi che Fedez mi offende perchè omosessuale (nel senso che io lo fossi e qualcosa in quello che lui dice urtasse il mio essere omosessuale) allora ai sensi della potenziale legge Zan quella di Fedez sarebbe una offesa “discriminatoria” e quindi maggiormente perseguibile.
Ma se tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, anche quelli non omosessuali (per fortuna!), perché mi si dovrebbe IMPORRE addirittura una giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, perché si deve IMPORRE che la festeggi a scuola anche mio figlio o mio nipote?
E chi stabilisce il limite tra la mia libertà di espressione e l’offesa? Se dico “non mi piacciono gli omosessuali” (ovvero non mi esprimo in termini scurrili od offensivi, ma esprimo un concetto) perché posso essere considerato un discriminatore perseguibile? E che differenza c’è dal dire “Non mi piacciono gli juventini” oppure “Non mi piacciono i cinesi?” Sarei per questo un milanista razzista o un suprematista bianco?
Ma vi rendete conto in che pasticcio giuridico ci stiamo cacciando?
Siamo partiti dal difendere il sacrosanto diritto di espressione degli omosessuali al voler privilegiare i diritti di qualcuno ai danni degli altri che (nella scuola, nella società, nei costumi) PUR MAGGIORANZA sarebbero obbligati ad adeguarsi: è inaccettabile, proprio perché siamo in democrazia e il decreto Zan mi sembra in evidente contrasto con la Costituzione.
SI AI RFERENDUM
Inizia la campagna referendaria sui referendum proposti dalla Lega per la riforma della giustizia.
Come prevedibile sono più le polemiche sui promotori (ovvero la Lega a braccetto con i Radicali, cui si sono aggiunti altri gruppi di centro-destra con FdI ancora incerto e il PD in evidente affanno) che sui singoli contenuti circa i quali, invece, occorrerebbe più attenzione perché credo siano del tutto condivisibili.
Qualcuno li legge come un atto di sfida alla Magistratura italiana e lo sono, ma proprio perché la Magistratura italiana ha assolutamente bisogno di una scossa, di una nuova credibilità e soprattutto del coraggio di guardare dentro sé stessa smettendola con le autoassoluzioni che ne minano la credibilità e la allontanano dai sentimenti e dalla fiducia degli italiani.
Che poi i referendum siano l’arma migliore per svegliarla è opinabile, perché in passato i magistrati sono sempre stati capaci di chiudersi a riccio e di depotenziare i cambiamenti referendari nonostante la chiara espressione di voto degli elettori, ma è indubbio che un SI ai referendum porterebbe a uno scossone comunque positivo.
Nel concreto – ed avremo tempo per parlarne – i referendum sono sei, ma i principali sono due.
Il primo riguarda la responsabilità civile dei magistrati. Oggi la legge prevede che un cittadino danneggiato da una sentenza possa rivalersi contro lo stato, ma non possa chiamare in causa direttamente il magistrato che in pratica non risponde mai degli errori commessi, a volte clamorosi e nati da disattenzione e incuria.
Il quesito chiede la modifica di questa normativa prevedendo che il cittadino possa chiedere il risarcimento dei danni: è assolutamente giusto.
Il secondo referendum interviene sulla separazione delle carriere: chi fa il pubblico ministero non può poi fare il giudice e viceversa: credo sia una garanzia per tutti i cittadini.
Gli altri referendum sono su questioni minori come la custodia cautelare prima del processo limitandola ai reati gravi e penso alle migliaia di assoluzioni che giungono dopo che l’imputato sia stato comunque ingiustamente in carcere, ma è un tema molto delicato. Il quarto referendum chiede di abolire la legge Severino nella parte in cui prevede la sanzione accessoria dell’incandidabilità automatica ed è cosa equa perché ci sono condanne per reati non legati all’attività politica e quindi non si capisce perché sia comunque impedita una candidatura.
Il quinto quesito limita di fatto le “correnti” necessarie oggi per essere eletti nel CSM e l’ultimo interviene sulla valutazione dei magistrati che verrebbe anche aperta anche a un giudizio “esterno” (per esempio degli avvocati) che possano esprimersi sul valore o meno di un giudice togliendone il monopolio ai magistrati nel valutare i colleghi per le promozioni.
LA RACCOLTA DELLE FIRME PER PRESENTARE I REFERENDUM PARTIRA’ IL PROSSIMO 2 LUGLIO, MI AUGURO CHE MOLTI LETTORI DEL PUNTO LI SOTTOSCRIVANO.
AMBIENTE, CLIMA, GREEN
Non passa un TG senza una denuncia ambientale ed un appello al “green”. Bene, bravi, benissimo, però… Però si denuncia la situazione ma non si vogliono prender decisioni contro gli “inquinatori” veri che continuano come prima. Intanto la pubblicità si è impadronita del tema per cui tutto è venduto politicamente corretto: dal formaggio all’automobile. Nessuno spiega però aspetti fondamentali. Per esempio se tutte le auto fossero elettriche, quella elettricità da dove arriverebbe? Se prodotta con il sole, il vento, l’acqua o i pannelli ok (salvo poi doverli smaltire), ma se il grosso dell’energia elettrica è comunque prodotta con centrali a gas e bruciando idrocarburi l’inquinamento non crescerebbe lo stesso?
La soluzione ad oggi sarebbe il nucleare ma è un tema tabù, al solo pensiero un ecologista ha le convulsioni, eppure – anche con i suoi rischi – paradossalmente è e resta la scelta più “green”.
QUEL SIGNORE DI TORINO
In punta di piedi ci ha lasciato Giampiero Boniperti.
Da sempre giocatore juventino e poi dirigente, interprete autentico di un calcio inteso come serietà, lealtà, correttezza. Un “signore” forse pressochè sconosciuto alle nuove generazioni, ma che per chi come me collezionava figurine quando le squadre erano più o meno fatte in casa e tutti i calciatori ben identificabili rappresentava uno dei più bravi giocatori d’Italia, una bandiera e soprattutto di una grande autorevolezza.
Debuttò a 19 anni in serie A, poi 443 presenze sempre con la maglia bianconera, quella Juventus di cui è rimasto poi dirigente e presidente onorario fino alla settimana scorsa.
BUONA SETTIMANA A TUTTI MARCO ZACCHERA