CLARION CLIPPERTON ZONE, OCEANO PACIFICO CENTRO-ORIENTALE, 07.04.21 – La nave di Greenpeace Rainbow Warrior è entrata in azione contro lo sfruttamento minerario dei fondali dell’Oceano Pacifico. Gli attivisti hanno esposto striscioni con la scritta “Stop Deep Sea Mining” davanti alla nave Maersk Launcher, noleggiata da DeepGreen, una delle società che guida la corsa alle estrazioni minerarie in acque profonde. Una seconda protesta pacifica ha avuto luogo nel porto di San Diego negli Stati Uniti, dove attivisti di Greenpeace hanno aperto uno striscione contro la nave noleggiata da un’altra importante compagnia mineraria d’altura, la belga Global Sea Mineral Resources (GSR). Questa nave dovrebbe salpare a breve con l’obiettivo di effettuare una serie di test con un prototipo di robot minerario in grado di operare a una profondità di oltre 4.000 metri sui fondali dell’Oceano Pacifico, in acque internazionali.
“L’oceano profondo è uno degli ecosistemi meno conosciuti ed esplorati della Terra, ospita una significativa biodiversità ed è un importante deposito di CO2. Gli scienziati hanno ripetutamente avvertito che l’estrazione in acque profonde avrebbe conseguenze terribili per ecosistemi oceanici che quasi non conosciamo. Con l’aggravarsi della crisi climatica e della perdita di biodiversità è scandaloso che si permetta a questo tipo di attività di andare avanti invece di promuovere la tutela di aree dell’oceano, fondamentali per la vita sul nostro pianeta. I fondali oceanici devono rimanere off-limits per l’estrazione mineraria” commenta Giorgia Monti, responsabile campagna Mare di Greenpeace Italia.
L’anno scorso, un’indagine di Greenpeace International ha rivelato che attraverso filiali, subappaltatori e partnership, alcune società hanno stretto contratti di estrazione mineraria in acque profonde, per una superficie complessiva di mezzo milione di chilometri quadrati, nel fondale marino dell’Oceano Pacifico, in acque internazionali. La scorsa settimana, aziende tra cui BMW, Volvo, Google e Samsung si sono per fortuna impegnate a escludere l’uso di minerali estratti dall’oceano. “E’ necessario che entro il 2021 si arrivi ad approvare un Trattato globale per gli oceani che garantisca la tutela degli ecosistemi marini e fermi il loro gravissimo sfruttamento. Più distruggiamo i nostri mari, più mettiamo a rischio noi stessi, e le comunità insulari del Pacifico che dipendono da un oceano in salute, sono quelle più esposte” conclude Monti.
Victor Pickering, attivista delle Fiji a bordo della Rainbow Warrior, commenta: “L’oceano fornisce cibo alle nostre famiglie e collega tutti noi abitanti delle isole del Pacifico da un’isola all’altra. La nostra gente, la nostra terra, sta già affrontando le minacce di tempeste estreme, innalzamento del livello del mare, inquinamento da plastica e popolazioni ittiche decimate dalla pesca industriale. Non posso restare in silenzio e guardare un’altra minaccia, l’estrazione in acque profonde, che porta via il nostro futuro”.
Molti gruppi della società civile del Pacifico, chiese, leader tradizionali e attivisti di base si oppongono con forza all’estrazione mineraria in alto mare. Gli stati delle isole del Pacifico, tra cui Fiji, Papua Nuova Guinea e Vanuatu, hanno espresso il loro rifiuto di questa attività estrattiva perché rappresenta una minaccia per l’ambiente.