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L’inquietante presenza del male nel mondo

Un amico mi scrive: «Renato, io non capirò mai perché noi cattolici dobbiamo considerare con grande stima, onore e rispetto il Dolore. I nostri sacerdoti sono malati cronici di dolorismo e algofilia. Ci bombardano con la giaculatoria del Dolore che purifica, innalza, santifica, fa guadagnare punti per il Paradiso. Quello degli altri, però. Avevo letto che persino Madre Teresa rifiutava gli antalgici ai suoi malati.
Io penso che il dolore, che sia psichico, fisico o psicofisico sia solo fonte di orrore e disperazione. Ne ebbe terrore anche Cristo, che si sentì abbandonato da Dio per ben due volte. Del resto, noi adoriamo da sempre un Cristo appeso a una croce, non quello sereno Pantocrator, su un fulgido sfondo dorato, come nelle basiliche paleocristiane».
Ed ecco la mia risposta:
Che dirti, Franco? I problemi irrisolti, le domande senza risposta inquietano, non lasciano dormire tranquilli, e così c’è un bisogno da parte di molti di mettere a posto le cose, di far quadrare i conti. La presenza del male nel mondo disturba? Inquieta? Allora trasformiamo il male in bene, diciamo che anche il male in fondo è un bene, e il problema è risolto. Un’errata interpretazione del vangelo ha indotto addirittura molti santi a preferire i malanni alla salute, a procurarseli, ad invocarli da Dio e ad essere persuasi che il buon Dio glieli mandasse. Vere e proprie aberrazioni.
Riguardo al simbolo della croce, ti riporto parte di un mio scritto di ben quindici anni fa.
La chiesa primitiva cercò di reprimere per lungo tempo l’uso di farsi immagini di Gesù, poiché osservava il Decalogo che proibiva di fare “scultura e alcuna immagine né di quello che è su nel cielo, né di quello che è quaggiù sulla terra” (cf Es 20,4), ma si può essere certi che se gli apostoli avessero voluto raffigurare il Signore, non lo avrebbero mai ricordato in condizioni misere ed orrende, giacché il ricordo della flagellazione e della crocifissione suscitava in loro vivo ribrezzo. Non è possibile, infatti, ricordare una persona cara, suppliziata ed uccisa, effigiandola nei terribili momenti dell’agonia e della morte; occorre un certo distacco, mancanza d’amore, forse un po’ di cinismo. I due gravissimi atti con cui si conclude il processo a Gesù – la flagellazione e la condanna – sono appena accennati dagli evangelisti. La più antica rappresentazione del crocifisso, rappresentazione iconografica del supplizio di Gesù, risale al IV secolo (S.Sabina, a Roma).  Non è azzardato immaginare che qualora gli apostoli avessero avuto la possibilità di effigiare il loro maestro, volendo simboleggiare il suo sacrificio, lo avrebbero fatto servendosi della figura alla quale Gesù stesso era ricorso: la frazione del pane, ed oggi il cristianesimo non avrebbe come simbolo il crocifisso.
Renato Pierri

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