Per molte realtà italiane si apre un problema: chi ha chiuso l’anno fiscale a giugno o settembre 2020 vede escluse dal calcolo le perdite dei mesi della pandemia, considerati come “normali”
E’ un problema non da poco, che rischia di compromettere lo sforzo della ripartenza per il 30% delle imprese italiane (tante si stima siano quello che hanno un bilancio infrannuale).
Fioccano le votazioni negative per molte aziende che stanno combattendo per resistere e ripartire, perché lo Stato nel calcolo degli Isa non tiene conto delle perdite dei mesi della pandemia.
Il problema si presenta a chi ha un bilancio infrannuale, cioè che chiude al 30 giugno o al 30 settembre 2020, a cui vengono applicati gli ISA del periodo d’imposta 2019.
In altre parole, nonostante il fatto che il bilancio di queste aziende sia stato fortemente penalizzato dall’intero periodo del primo lockdown, gli indici sintetici di affidabilità fiscale non ne tengono assolutamente conto e considerano i 12 mesi da luglio 2019 a giugno 2020 o da ottobre 2019 a settembre 2020 come se il Covid non avesse mai colpito.
Il risultato è che il rating delle aziende si abbatte e nel migliore dei casi si dimezza.
Il timore degli imprenditori non è tanto quello di vedere scatenarsi controlli a raffica, quanto di vedere falsati tutti i parametri della ripartenza.
Infatti, come previsto dal Decreto Rilancio, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che dal prossimo anno il giudizio di affidabilità del contribuente deve essere basato anche sui risultati dell’applicazione degli ISA per il periodo d’imposta 2019.
Ma per tutte quelle aziende che hanno un bilancio infrannuale, il risultato degli ISA non è veritiero e profondamente penalizzante.
Insomma: devastati dalla pandemia e ammazzati dagli ISA.
Marino Pessina