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LE POESIE DI BILOTTI: TUNNEL OF LOVE DIREZIONE COSENZA

 di Diego Amelio

Giunto alla sesta silloge di poesie, Domenico Bilotti con “Praga-Lisbona. Storie d’amore” (Edizioni Erranti, Cosenza, 2020) arriva a un nuovo tornante del suo percorso d’autore. Il volumetto nasce come il diario interiore d’una relazione amorosa, ma presto il concept dietro il testo diventa la barriera di protezione per un libro denso di sperimentazioni e temi stilistici. Mai Bilotti aveva giocato così tanto con metri e timbri diversi, mai aveva lavorato sull’asciuttezza e precisione di linguaggi in modo così netto e artigiano, mai infine aveva voluto dedicare i suoi scritti poetici a un tema soltanto, scoprendo poi che la vera varietà vivace del vivere nasce proprio dall’unicità e dall’irripetibile bellezza dell’amore. Ci sono liriche molto cadenzate, che raccontano esplorativamente, quasi al passo di un tour, il volto personale e nascosto delle città (“Bairro” e “Stare Mesto”), tributi alla bellezza del Mediterraneo che valica lotte e confini (“Ti penso per Genova la scura”), due piccole stanze di componimenti consecutivi dedicate a Van Gogh e a Picasso. Oltre a splendide istantanee di uno smarrimento individuale che si fa presto humus collettivo (“Manchi”, “La lite”, “Alcune memorie senza sfiorare l’inchiostro”), c’è spazio per l’eterno tributo alla bellezza del centro storico di Cosenza, qui visto con nuovi occhi (“Centro storico”), la grande dolcezza degli affetti familiari (“Bianca”), oltre a volutamente ermetici e palpitanti omaggi alla sensualità che si scambiano amato e amata nel divenire dell’esperienza (“Sushi”, “Bonsai”). Quando la vorticosa trasfigurazione della carne diventa l’elogio lenitivo della cura. A chiudere il volume, la rude dichiarazione d’intenti “Fino all’ultimo bandito”.

Le poesie di Bilotti non sono mai state così intime e personali, eppure non ci sono mai sembrate contemporaneamente così proiettate in tensione dinamica contro le storture di un presente da cui si difendono con amore, rabbia, impeto e qualità. Quel sentire ombroso e poi pacificato, ruvido e poi estatico, indispettito e poi creativo, che il rovello dell’arte trova con sapiente piacere nell’amore.

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