Luca Palamara: «Io non sono un corrotto». L’intervista a Luca Palamara inizia così. L’ex presidente dell’Anm, radiato dalla magistratura la scorsa settimana al termine di un “turbo processo” al Csm, prima ancora di rispondere alla prima domanda ha voluto puntualizzare di non aver mai preso soldi in cambio di incarichi. L’iniziale accusa di corruzione, 40mila euro per nominare Giancarlo Longo procuratore di Gela, aveva consentito alla Procura di Perugia di installare il famigerato trojan nel telefono di Palamara. E sulle base delle conversazioni intercettate con il virus spia la Procura generale della Cassazione aveva esercitato l’azione disciplinare.
Dottor Palamara, lei è stato per anni un protagonista della vita associativa, una figura chiave della “politica” interna alla magistratura. La sua capacità di tenere le relazioni l’ha resa un punto di riferimento nella dinamica delle correnti. Erano centinaia, come emerso dalle chat, i magistrati che si rivolgevano a lei per una nomina o un incarico. Al di là delle vicende dell’hotel Champagne, negli anni aveva mai avuto la sensazione che questo suo correre senza mai fermarsi potesse farle rischiare di perdere il controllo?
“Il meccanismo delle correnti non l’ho inventato io. Lo voglio ripetere ancora una volta. Certo, in questo meccanismo io mi muovevo benissimo e sicuramente, a posteriori, posso dire di aver ecceduto”.
Crede che la febbre per la carriera e la conseguente corsa alle nomine, radicatasi negli ultimi anni tra i magistrati, dipenda anche dal fatto che la magistratura non aveva più un grande nemico politico? Il fatto cioè che, anche per la fine della contrapposizione con Berlusconi, la dialettica tra magistrati e politica abbia perso molta della sua intensità, potrebbe aver creato tra voi magistrati una sorta di rilassamento, di ripiegamento verso l’interesse personale?
“Può darsi che sia innescata anche una simile dinamica. Però di questo che lei definisce ‘ripiegamento verso l’interesse personale’ io non voglio essere l’unico responsabile. Se il sistema consentiva e consente di fare accordi, spesso definiti ‘intrighi’, è ovvio che bisogna cambiarlo. Non sono comunque disponibile a pagare per tutti le distorsioni di un sistema che per anni mi ha lasciato carta bianca e poi adesso ha ritenuto di espellermi”.
Ha mai notato in altri leader delle correnti qualcosa del genere, cioè un forte coinvolgimento nella politica associativa e nelle decisioni sul Csm?
“Premesso che la magistratura deve essere indipendente, ad oggi nulla impedisce a un magistrato di ‘far politica’ per fare carriera. La vita di un magistrato dipende troppo dalle correnti. E questo è il primo grande tema da affrontare se si vuole recidere il legame distorto tra giudici e gruppi associativi”.
C’è qualcuno tra i suoi colleghi che si è particolarmente distinto per mancanza di solidarietà nei suoi confronti, che le è sembrato più ipocrita e ‘traditore’ di altri? Ci sono di contro dei colleghi che in questi mesi le sono stati sinceramente vicini, anche a costo di rischiare qualcosa?
“In tanti mi hanno voltato le spalle, ma in tanti, con cui non avevo mai avuto rapporti, si sono avvicinati. Inizialmente mi sono trovato solo poi, però, il clima è cambiato”.
Crede che il suo ‘sacrificio’ possa servire ad aprire davvero una breccia nella coscienza della magistratura, e a ritrovare un protagonismo pubblico più legato al prestigio e all’autorevolezza della funzione? O teme di più un esito opposto, ossia che il suo sacrificio diventi il lavacro in cui si perderà tutto lo spirito autocritico della magistratura italiana?
“Io pago molte colpe. Ad esempio di aver promosso, in tempi di governo giallo verde, la nomina del vicepresidente David Ermini, che in quel momento, basta vedere le rassegne stampa di quei giorni, non veniva tollerata perché espressione del Pd”.
Lei è stato presidente della Quinta commissione del Csm. La più importante di Palazzo dei Marescialli, quella in cui si decidono i vertici degli uffici giudiziari Paese. Questa commissione, da quanto risulta, è sempre stata presieduta dai magistrati progressisti di Area, un tempo Md, e di Unicost, come lei. Nessuno di Magistratura indipendente, la corrente ‘di destra’. Come mai?
“È la conferma che la magistratura italiana, per anni, è sempre stata orientata a sinistra. Il tutto con l’avallo dei vari vicepresidenti del Csm, che decidono sulla composizione delle Commissioni”.
Torniamo alla serata dell’hotel Champagne. Ma come le è venuto in mente di presentarsi con Luca Lotti?
“È stato un errore. Ma quanto accaduto fotografa solo uno spicchio di quello che è realmente avvenuto. Io ho il dovere di fare una operazione verità su quello che ha preceduto la nomina del procuratore di Roma, sulle ragioni per cui la corrente di sinistra non voleva Marcello Viola e sul perché in quanto uomo di Ferri non poteva venire a Roma”.
Certo, è interesse di tutti sapere perché Viola, procuratore generale di Firenze, non fosse gradito. In Toscana va bene, a Roma no.
“Esatto. Io sono molto stanco di questa cultura del sospetto. Io non ho mai fatto alcun patto segreto con Lotti”.
Non voleva, allora, garantirgli un salvacondotto nel processo Consip dove è imputato a Roma?
“Occorrono le prove di quello che si afferma”.
Un’ultima domanda: parliamo sempre della Procura Roma. E delle “discontinuità” che la nomina di Viola avrebbe rappresentato. Ci sono anche altri casi. Alla Procura di Milano, ad esempio, il procuratore della Repubblica dai tempi del Patto di Varsavia e con il muro di Berlino ancora in piedi è sempre stato un esponente della sinistra giudiziaria. È una coincidenza?
“In Italia ci sono dei Palazzi di giustizia che sono dei santuari inviolabili”.
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