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AUTISMO. IDO: 15% BIMBI 0-2 ANNI IN VALUTAZIONE MANIFESTA COMPORTAMENTI A RISCHIO

 

VANADIA (NPI): IMPORTANTE DIAGNOSI MULTIDISCIPLINARE E RISPETTO DEL DISTURBO

Roma, 15 ottobre – “Il 15% dei bambini tra zero e due anni che afferiscono al servizio di diagnosi e valutazione dell’Istituto di Ortofonologia (IdO) manifesta comportamenti compatibili con un rischio specifico di autismo”. A dirlo è Elena Vanadia, neuropsichiatra infantile IdO, illustrando uno studio pubblicato sull’ ‘International Journal of Psychoanalysis and Education’ per spiegare l’approccio terapeutico del modello DERBBI (Developmental, Emotional Regulation and Body-Based Intervention), sviluppato e applicato da anni dall’Istituto. La ricerca verrà presentata nel corso delle giornate precongressuali dell’IdO, in programma il 24 e 25 e in diretta streaming sul sito Ortofonologia.it (http://www.ortofonologia.it/dallinfanzia-alladolescenza-giornate-precongressuali-ido/). Un appuntamento organizzato in vista del congresso per i 50 anni del’Istituto in programma il prossimo aprile.

“E’ importante garantire una valutazione multidisciplinare- sottolinea Vanadia- che consenta di orientare la diagnosi verso un ambito piuttosto che un altro, e poiché dalla diagnosi dipende il tipo di intervento, abbiamo la responsabilità e il dovere di essere quanto più precisi e cauti possibili”. Da qui i presupposti di base del modello DERBBI, che si possono riassumere “in un profondo rispetto per la complessità del disturbo autistico”. La neuropsichiatra poi aggiunge: “Se in generale sappiamo che lo sviluppo del bambino è complesso, nello specifico sappiamo anche quanto complesso e variabile sia il disturbo dello spettro autistico, tanto nella sua eziopatogenesi (le cause della malattia e il loro meccanismo di azione, ndr) quanto nella sua manifestazione clinica e sintomatologica”. Dunque, come secondo presupposto del modello DERBBI, “servono solide conoscenze teoriche- precisa- Siamo assolutamente convinti che l’integrazione tra le conoscenze neurobiologiche e le conoscenze psicologiche sia indispensabile per poter comprendere, progettare e rimodulare un intervento terapeutico”. Inoltre, “serve un’ampia formazione, prima di tutto degli operatori e soprattutto personale- evidenzia Vanadia- Perché se noi per primi non siamo in grado di affrontare le frustrazioni che inevitabilmente ci troveremo a vivere in un percorso difficile come quello di chi si occupa dei bambini e dei soggetti in generale con disturbo dello spettro autistico, difficilmente riusciremo a stare nella dimensione terapeutica, nell’ascolto e nella cura”.

Per Vanadia “non è semplice allinearsi e dimostrare, secondo la medicina basata sulle evidenze, la ripetibilità di un modello che in realtà si trasforma, che cambia, che viene realmente personalizzato e individualizzato, perché spesso le procedure rischiano di irrigidire il pensiero che dovrebbe starne alla base”. Pertanto l’IdO sta portando avanti numerose ricerche con l’intento di “dimostrare l’efficacia e la ripetibilità del modello DERBBI- evidenzia la neuropsichiatra- e abbiamo buoni risultati e realtà in cui questi vengono confermati. Rimaniamo convinti che la più grande affermazione di onestà umana e intellettuale sia ammettere che di fronte a un funzionamento o un disturbo tanto eterogeneo non possa esserci un unico tipo di intervento, né per età né per tipologia, e dunque stiamo continuando il lavoro sui predittori, ovvero sull’individuazione di indicatori precoci che orientino la scelta secondo principi di efficacia ed elettività”. D’altra parte “è ancora lunga la strada per ‘dimostrare’ secondo la EBM (Evidenced based medicine) , non perché non ci siano risultati- precisa l’esperta- ma perché il rischio è che le procedure irrigidiscano il pensiero che dovrebbe guidarle e che non sempre sono applicabili nella pratica clinica”.

In una recente pubblicazione sul British Medical Journal (BMJ) si parla addirittura dell’evidence based medicine (EBM) come di un “movimento in crisi, in quanto si sta verificando il sacrificio dei principi teorici, del pensiero clinico e della personalizzazione delle cure, a favore di dati sperimentali che trascurano l’intersoggettività umana e l’ascolto empatico, principi sui quali si basa il ruolo di chi svolge professioni d’aiuto”. La neuropsichiatra spiega però chiaramente che “resta indiscutibile il valore della medicina basata sull’evidenza, poiché è necessario avere solidi dati a sostegno di protocolli e linee guida- ma anche, sottolinea- che non può esserci innovazione, né conservazione di preziosi contributi pregressi, se non c’è apertura al ‘nuovo’, integrazione e trasformazione, se non si va oltre l’interesse del singolo e se ci si ancora al mero dato numerico. L’EBM, fondamentale nel campo della ricerca, va adattata e messa a servizio della clinica e della vita reale del soggetto nella sua globalità”. Nell’ambito delle scienze che si occupano dell’umano “va infine considerata un’ulteriore variabilità individuale- precisa la neuropsichiatra- che non sempre può essere tradotta o ridotta a campioni ipoteticamente o quantitativamente omogenei, così come nell’ambito di alcuni disturbi del neurosviluppo può non essere facile, oltre che eticamente corretto, avere un campione di controllo ‘non trattato’. Alcuni trials andrebbero forse rivisti rispetto alle diverse aree di indagine (interventi farmacologici, interventi riabilitativi e/o psicologici, indici misurabili e indici non misurabili, ecc) e si dovrebbe poter avere maggior dialogo tra professionisti e tra professionisti e istituzioni” conclude Vanadia.

Le due giornate saranno anche occasione per presentare l’offerta formativa della Scuola di specializzazione della Fondazione MITE-IdO in Psicoterapia psicodinamica dell’età evolutiva, di cui sono aperte le iscrizioni per il nuovo anno accademico 2021 (http://www.fondazionemite.org/scuola-psicoterapia/).

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