L’opera di Mimmo Centonze “Prigione” 2011 – Olio e alchidico su tela – 90×130 cm
“Al di là delle sbarre, un tramonto che è un’aurora” – Francesco Corsi
L’opera “Prigione” di Mimmo Centonze sulla RAI.
Il dipinto lascia Matera per Pisa, richiesta in prestito per la mostra “Arte pandemica” che racconta il lockdown
Guarda il video della RAI
con l’intervista a Mimmo Centonze
e un’intervista di Vittorio Sgarbi
https://www.youtube.com/watch?v=OJ9igo2_EM0&feature=youtu.be
LA NOTIZIA
MATERA – L’opera “Prigione”, commentata da Mimmo Centonze in un servizio prodotto dalla RAI sulle sue opere, lascia Matera per trasferirsi a Pisa.
Il dipinto è stato nuovamente richiesto in prestito per una mostra, questa volta come simbolo del disagio provato da tutti durante il lockdown.
Si tratta dell’esposizione “Arte pandemica”, che inaugurerà martedì 22 settembre 2020 alle ore 18:30 presso gli spazi delle Officine Garibaldi di Pisa in via Gioberti 39, curata da Francesco Corsi e organizzata da Artingenio in collaborazione con Fortitude 1780, fondo che finanzia il progetto e numerosi artisti internazionali.
La mostra sarà visitabile dal 23 settembre al 6 ottobre con ingresso libero, dalle ore 9:00 fino alle ore 19:00, nei giorni di apertura degli spazi espositivi.
“Non ho quasi mai accettato di realizzare opere “a tema”. A meno che non si tratti di ritratti, i cui volti e personaggi rivelano sempre un universo unico e irripetibile che meritano tutti di essere indagati a fondo con la pittura (anche un boss mafioso). Uniche eccezioni sono state il Museo della Mafia e il Museo della Follia (portato anche alla Biennale di Venezia), entrambi progetti della Fondazione Sgarbi, per i quali ho realizzato ad esempio il “Ritratto di Totò Riina” oppure “Prigione” e “Il folle” per il tema della follia”.
Queste le parole con cui Centonze spiega come nascono le sue opere.
“Ma sono favorevole a prestare un’opera che ho già realizzato che ben si colleghi ad un tema particolare – continua Centonze – e dal quale viene arricchita invece che depredata. E infatti anche in questo caso si è trattato di un prestito specifico richiestomi con grande entusiasmo da Francesco Corsi, curatore di Artingenio, per questa mostra di Pisa che vuole raccontare la recente reclusione costretta nelle nostre case durante il lockdown. Il dipinto “Prigione” ben si presta ad essere un simbolo forte, quasi soffocante, con quelle sbarre che evocano la voglia che abbiamo provato tutti di oltrepassarle”.
Giovanni Battista Piranesi – La torre rotonda (Le carceri d’invenzione) – Acquaforte
“Prigione” è un interno di capannone lugubre e cupo la cui uscita è impedita da lunghe e pesanti sbarre di ferro, che ricordano le celebri “Carceri d’invenzione” dell’incisore italiano del Settecento Giovan Battista Piranesi.
“Così nell’abbandono della solitudine di una stanza dove si trovano macerie accumulate, dalla quale non si può uscire – scrive nel catalogo della mostra Francesco Corsi – giunge una misteriosa e inattesa luce che sconvolge e crea sorpresa, tripudio, quel desiderio di “far musica e danzare” che ci solleva dalla tristezza e ci fa assumere nuovi punti di vista. L’irruzione della luce scompone il circolo vizioso e l’anima fugge oltre le sbarre, bruciando in una fusione mistica. Una mistica che non ha nulla del devozionale, ma che sta alla base dell’entusiasmo per la vita che trionfa sulla morte. Il male nel mondo, la sensazione claustrofobica viene consumata da questa sovrabbondanza che può illuminare, ma può anche far ardere. Al di là delle sbarre, un tramonto che è un’aurora”.
Una delle 9 opere di Mimmo Centonze esposte nella mostra “Arte Pandemica”
“Volto” 2018 – Olio e alchidico su tela non preparata – 20×30 cm
“Il volto informe segna la traccia dello smarrimento dell’uomo – continua Francesco Corsi nel testo del catalogo della mostra – Il volto è lo specchio dell’anima, la luminosità del sorriso è il potente richiamo alla divina umanità. Nel viso traluce lo spirito, ma se l’uomo viene condannato alla solitudine, al terrore dell’incontro con l’altro, se viene negato il sorriso dalla paura e dall’uso di schermi protettivi, come nel caso delle discusse “mascherine” di protezione dalla pandemia, allora l’uomo si ripiega in se stesso. E nella negazione dell’incontro con l’altro si genera una sofferenza che degenera in follia. L’uomo non si riconosce più”.