di Marco Patriarca
Se i 5Stelle dovessero vincere il referendum relativo al taglio dei parlamentari, quello sarebbe il loro primo successo dopo una sfilza di fallimenti nel governo giallo-verde da far vergognare persino Tartarino di Tarrascona. Errori che sono costati miliardi, che hanno accresciuto il debito pubblico e ingannato i contribuenti: reddito di cittadinanza, quota cento, TAV, Flat tax, irrinunciabile ostilità verso l’Unione Europea, apertura verso la Cina (pendant di quella di Salvini verso la Russia). Per non dire degli assurdi ostacoli frapposti ad ogni passo nel non facile Governo di coalizione con il PD, il cosiddetto Conte 2. Il quale Conte ha persino dovuto difendersi dal trafficante di parole Luigi Di Maio, per poter argomentare utilmente e difendere le prerogative finanziarie italiane nel programma Next Generation EU. I 5Stelle sono molto ansiosi per l’esito della loro improvvida iniziativa; infatti, dopo una tale imbarazzante lista di fallimenti, di gaffe e di manifestazioni di presunzione, prepotenza e incompetenza, se vincesse il SI al Referendum, i 5S alla fine un unico progetto potrebbero realizzarlo. Il peggiore. Il taglio dei parlamentari è una riforma parziale, intempestiva, in piena crisi da Covid19, che farebbe risparmiare allo Stato solo un pacchetto di milioni, mentre l’attenzione nazionale dovrebbe essere concentrata sulla selezione e la progettazione di riforme vere, quelle finanziabili dal New Generation EU, un programma complesso pensato per i giovani, la ripresa e l’occupazione; riforme mirate e controllabili dalla Commissione Europea, la cui esecuzione imporrà coerenza, esperienza e competenza.
Nel merito, il progetto di diminuire il numero dei parlamentari non è certo un’idea nuova. Non è mai stata realizzata poiché avrebbe dovuto essere sempre associata a un insieme di altre riforme, fra cui quella del sistema bicamerale perfetto (le due Camere hanno le stesse funzioni, ma votano separatamente), un’adeguata rappresentanza regionale, un potere diversamente articolato del presidente del Consiglio e una nuova legge elettorale; non certo da ultimo, il mantenimento della centralità del parlamento della vita democratica adatta a una società civile economica e politica policentrica e poliarchica come quella italiana. I passati fautori del “taglio” (Fanfani, Vassalli), consapevoli della complessità di tagliare senza un progetto di riforma coerente con l’insieme dell’ordinamento (tema a cui Santi Romano ha dedicato la vita) dopo avere ben letto grandi giuristi come Costantino Mortati e Pasquale Stanislao Mancini, vi rinunciarono. Non così i 5Stelle i quali saltano a piè pari i problemi in cu si erano imbattuti i loro predecessori; non sanno chi siano Mortati, Romano o Mancini. La promessa elettoralistica del “taglio” nei 5S infatti fa parte delle bandiere populiste sbandierate all’insegna della furia anti-casta e anti- poltrone (salvo le loro) e il tentativo di diminuire il ruolo del Parlamento in attesa poi di poterlo sostituire, come hanno promesso, con una grande macchina digitale del genere della Casaleggio & C. Per questo il loro ideale di democrazia è sempre quello di una volontà generale che, grazie a Rousseau, potrebbe imporsi anche in forza di una minoranza. È un’idea che peraltro essi già praticano in casa propria. Alexis de Tocqueville aveva messo in guardia le democrazie dalla “tirannia della maggioranza”, ma chissà se avesse mai pensato alla tirannia della minoranza. Nel caso dei governi a cui partecipano i 5S poi, si tratterebbe per assurdo della minoranza di una minoranza: infatti, la libera volontà politica dei deputati 5S non è proprio libera e si forma anche in un organismo esterno alle istituzioni, appunto la Casaleggio & C. in barba al divieto costituzionale di vincolo di mandato previsto per i parlamentari. Per questo Conte e il segretario del PD Zingaretti, per non avere sorprese, prima di fare programmi di governo e anticiparne il contenuto all’indispensabile Di Maio, farebbero bene a fare un salto presso la Casaleggio & C. per sondare gli umori dei soci 5Stelle.