“Non amo più il mio mestiere, ma non riesco a smettere”.

Nicla Vassallo riflette sul significato di fare filosofia oggi

Sabino Maria Frassà (SMF): Ciao Nicla non è mai facile intervistare una persona che si conosce così bene, ma è anche un modo per porre un filtro alle emozioni, cercando di razionalizzare un vissuto lungamente condiviso. In questa intervista vorrei far emergere cosa pensi della cultura e della filosofia oggi in Italia. Ogni tanto nelle nostre conversazioni sui temi da affrontare sul nostro think tank – Ama Nutri Cresci – ho come l’impressione che tu non ami più “fare” filosofia.

Nicla Vassallo (NV): “In effetti, da qualche tempo è vero. Il problema è che ogni professione è frutto del suo tempo, in cui va contestualizzata. La diffusione della cultura, come professione e non per passione, è venuta meno del tutto: del resto fossi un giovane che si interroga su quale carriera intraprendere, penserei al fatto che in Italia la liceizzazione degli ultimi decenni ha ucciso – appiattendone il livello – i lavori culturali, invece di sostenerli. La scuola secondaria purtroppo seleziona poco e rischia spesso di diventare un diplomificio volto alla gratificazione delle famiglie: non si combatte così l’abbandono scolastico. La vera conseguenza di tale logica malsana è che oggi un “manovale”, nel senso di una persona che usa le mani per lavorare (idraulico, elettricista, ecc) guadagna spesso più di un laureato.  Non solo, per fare cultura e guadagnare ormai bisogna andare in TV e vivere sui social, essere di moda, ma la cultura e la filosofia hanno bisogno dell’andare “contro” non urlando, l’essere a volte non “main stream”. Ciò però capisco non faccia né audience né generi click.

SMF: Filosofia e media: un rapporto difficile? Perché? In fondo se ci sono filosofi in TV è perché la gente ha bisogno di cultura e “pensiero”.

NV: No, assolutamente no! Purtroppo molte volte sono “intellettuali” di regime (anche populista) che fanno audience nella misura in cui teorizzano ed esprimono in modo più o meno elegante ciò che il grande pubblico si aspetta e che magari non ha le competenze per enucleare in un modo così compiuto. E in effetti ci ritroviamo i social pieni di citazioni populiste di pseudo-filosofi televisivi. Questa non è la cultura che fa riflettere e porta avanti la società. Sono effimere quanto pericolose certezze utili solo a giustificare i propri pregiudizi. Per me è gravissimo. Così, per coerenza, ho posto fine ad alcune mie collaborazioni. L’ignoranza giustificata e retorizzata. E’ un tema che mi brucia dentro e da epistemologa e filosofa della conoscenza ci ho anche dedicato un libro l’anno scorso (ndr Non annegare. Meditazioni sulla conoscenza e sull’ignoranza). Zitta non so stare.

SMF: E’ un problema della comunicazione o della filosofia?

NV: E’ un problema di trasformazione sociale. Fare la filosofa è fare comunicazione ai più alti livelli. Perciò fare filosofia deve comportare una certa trasparenza e pulizia intellettuale, sia sul piano della docenza, sia sul piano della ricerca. Negli ultimi anni, nella realtà dei fatti, ciò non si è dato, al punto da minare la mia passione e il mio entusiasmo. E’ anche prevalso l’egoismo di parecchi di noi – docenti universitari e di liceo – che, invece, di pensare al bene di studentesse e studenti, hanno fatto i calcoli sulla presenza media  assidua sui media o dei propri insegnamenti nel corso di studi, solo in modo da far risultare la propria disciplina “necessaria” al buon filosofare. Quindi per rispondere direi che il problema è l’essere umani oggi in un momento buio carico di individualismo.

SMF: Ma con tutti questi pensatori attivi, non pensi però che i (social) media siano un modo per avvicinare le persone alla filosofia e alla cultura?

NV: In teoria potrebbe ma nella realtà c’è un livellamento al basso sempre e comunque. Non che i filosofi debbano avere l’arroganza di elevare il mondo, ma devono fornire strumenti per riflettere, come diciamo noi (ndr su Ama Nutri Cresci) strumenti per farsi buone domande, non devono essere vati che adescano adepti. Invece il desiderio di visibilità, fama e potere domina oggi sulla necessità filosofica di ragionare bene; a tal fine, non sono pochi i colleghi che mettono in piazza il proprio privato attraverso i social, mezzi indiscreti e subdoli cui si ricorre per pubblicizzare se stesse/i . La cosa assurda è che i social si sono così impossessati anche della ricerca accademica: ritengo paradossale che “viva” meglio, in ambito anche filosofico, quel docente che sa bene come utilizzare internet e varie, piuttosto che quel docente che sa filosofare bene.

SMF: Questa rivoluzione “social” come sta cambiando l’università italiana?

NV:  Domanda complessa, perché non è l’unica rivoluzione. La comunicazione e i social sono solo un aspetto tristemente coerente al più generale svilimento del ruolo della cultura nella società. Ciò per forza si rifletterà sulla stessa struttura dell’Università in Italia. E lo dico da ordinario, da persona che in qualche modo sudando a forza di pubblicazioni internazionali ce l’ha fatta. L’attuale reclutamento, che passa attraverso l’abilitazione scientifica nazionale e la “chiamata” locale, non è di fatto né trasparente, né basato sul merito. Avremo ottimi ordinari social che ammiccano su Facebook e Instagram con pillole troppo sintetiche per esprimere un articolato pensiero critico; decine di questi ordinari saranno e sono su tuti i canali televisivi e magari anche come influencer globali. Solo una domanda: ma dietro chi o che cosa c’è? Solo vanità? Paure e dubbi spesso mi assalgono.

SMF: Sei triste o arrabbiata?

NV: Già, le delusioni giungono a comportare in me tristezze. Rabbia alla mia età si impara che rischia di essere un sentimento sterile e molto faticoso. Io confido nelle convinzioni più che nelle convenienze, e cerco di non ingannare, né auto-ingannarmi. Posso non piacere, ma non faccio alcunché per convenienza e so “accontentarmi” della visibilità che ho. Sono convinta nel lungo termine sopravviverà il pensiero non urlato, ma ponderato, quello che tu in arte definisci “contemporaneo” come al di là del tempo. Bene io spero di essere una filosofa contemporanea, costi quel che costi nel tempo che mi è dato da vivere.

 SMF: Tanta tristezza, ma anche soddisfazioni dall’impegno civile, che forse è il fronte “natural” per la filosofia. Non ti pare?

NV: A mio avviso, l’impegno civile è un modo reale di combattere le discriminazioni, individuandole prima coi propri ragionamenti, e ragionando insieme ad altre teste pensanti, provenienti da diversi ambienti. Ciò deve essere esente da qualsiasi narcisismo. In Italia tanto è stato fatto e raggiunto, ma io temo che una filosofia e cultura che semplifica troppo prima o poi finirà anche per legittimare chi vorrà portarci via queste conquiste civili: aborto, divorzio e unioni civili sono il frutto del nostro tempo. E se nel futuro ci fosse un’involuzione, causata anche da fenomeni esogeni imprevedibili?

SMF: Stai pensando all’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19

NV: Anche, ma ci sono le tensioni globali e il fatto che nel mondo in media i diritti civili sono peggiorati negli ultimi anni. Il COViD è stata l’ultima spallata. Senz’altro è stato un problema piuttosto grave che ci ha imposto non poco e continua a imporcelo. Nel mio piccolo, se lo guardo con le ripercussioni che ha avuto sulla didattica e sulla ricerca, la didattica a distanza toglie molto a noi come docenti e ai discenti. Senza socialità non c’è progresso “ordinato”, ma rabbia. Pensiamo alla questione razziale negli USA: qualcosa non sta più funzionando nel modello americano, ma temo che la reazione degli americani impauriti porterà addirittura a un peggioramento nell’equilibrio finale dei diritti: vita, sicurezza, eguaglianza. Magari Trump vincerà proprio per la paura generalizzata. Paura VS diritti. Ci fosse un po’ più di filosofia onesta sarebbe un mondo migliore.

SMF: Quindi ti contraddici e dici che la filosofia è ancora necessaria?

NV: Quella onesta si, ma non so oggi chi l’ascolterebbe. I filosofi vivono male come Cassandra. Fino a quando non si sconfigge la paura, l’animo umano non riesce a elevarsi, a essere predisposto alla filosofia: non ascoltiamo il nostro cervello ma la pancia, se abbiamo fame. E oggi – sempre più – soffriamo di una fame reale, la crisi economica che viviamo e vivremo globalmente peggiorerà la situazione. Capisco quindi chi abbandona il fare filosofia, anche se è una battaglia che porto avanti e che spero tanti colleghi, nei licei così come nelle università, potranno portare avanti con fatica e umiltà. Forse hai ragione e sfogarsi serve. Spero tanti “buoni” colleghi si ritroveranno in queste parole e capiranno di non esser soli. Anche se non urliamo, il buon pensiero c’è ancora.

Milano-Genova 1° settembre 2020

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