Ambasciatore Mammad Ahmadzada: la soluzione del conflitto passa dal ripristino dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian

Sulla scia delle provocazioni militari dell’Armenia contro l’Azerbaigian, in direzione del distretto azerbaigiano di Tovuz, inziate il 12 luglio scorso, la parte armena ha fatto ricorso a vari mezzi per sottrarsi alle sue responsabilità e celare le proprie azioni aggressive. All’estero siamo stati anche testimoni di atti di violenza e vandalismo da parte di gruppi estremisti armeni contro rappresentanze diplomatiche dell’Azerbaigian e membri delle comunità azerbaigiane, di pressioni su media, politici e personaggi pubblici, che hanno avuto una visione obiettiva degli eventi, e di una campagna di disinformazione su larga scala contro l’Azerbaigian.

I paesi e le popolazioni della nostra regione sono ben consapevoli delle “capacità” della parte armena di contraffare eventi storici e di appropriarsi di storia, cultura, musica, cucina e  tradizioni della regione in cui ci troviamo. Queste “abilità” armene sono diventate anche oggetto di ilarità, e ci sono molti aneddoti e storielle a riguardo. Gli armeni presentano l’Armenia come il “primo stato cristiano”, appropriandosi della storia della Chiesa dell’Albania caucasica, alterano gli eventi della prima guerra mondiale e infine definiscono la politica di occupazione e aggressione contro l’Azerbaigian come “autodeterminazione del popolo del Nagorno-Karabakh”. Tutte queste falsificazioni storiche hanno lo scopo di conquistare simpatie nei rapporti con il mondo, soprattutto con l’Occidente. In particolare, le prime due questioni sono diventate un mezzo per ottenere sostegno nella terza. Sarebbe difficile immaginare di cosa parlerebbero oggi gli armeni al mondo, senza queste tre falsificazioni storiche. L’Armenia, con dimensioni ridotte e povertà dilagante, priva di accesso al mare e risorse naturali, è considerata un vicolo cieco geografico ed è esclusa da tutti i processi regionali, e da ciò non ha la possibilità di beneficiare della cooperazione internazionale.

I fatti stessi dimostrano chi è l’aggressore e chi è la vittima nel conflitto del Nagorno Karabakh tra l’Armenia e l’Azerbaigian:

1.    L’Armenia ha occupato militarmente il 20% dei territori dell’Azerbaigian internazionalmente riconosciuti, compresa la regione del Nagorno-Karabakh e i sette distretti circostanti.

2.    Le forze armate dell’Armenia sono dispiegate nei territori occupati dell’Azerbaigian. La linea di contatto tra le truppe dell’Azerbaigian e dell’Armenia passa attraverso i territori occupati dell’Azerbaigian.

3.    L’Armenia ha effettuato una pulizia etnica contro tutti gli azerbaigiani sia nel territorio dell’Armenia, che nei territori occupati dell’Azerbaigain. Durante il conflitto sono stati espulsi 250.000 azerbaigiani dall’Armenia, 50.000 dalla regione azerbaigiana del Nagorno-Karabakh e 750.000 azerbaigaini dai distretti circostanti. Poichè in Azerbaigain c’è un alto tasso di crescita della popolazione, oggi il numero di rifugiati e profughi interni azerbaigiani è più di 1,2 milioni.

4.    Durante le operazioni militari, le forze armate dell’Armenia hanno commesso numerosi crimini di guerra contro la popolazione civile azerbaigiana e il genocidio di Khojaly.

5.    L’Armenia ha distrutto il patrimonio storico e culturale dell’Azerbaigian nei territori occupati. Non è un caso che la città di Agdam, uno di sette distretti adiacenti occupati, un tempo il più importante centro economico e culturale della regione, sia chiamata oggi “Hiroshima del Caucaso”.

6.    L’Armenia svolge attività illegali nei territori occupati, compreso l’insediamento illegale di armeni da altri paesi, lo sfruttamento illegale delle risorse naturali della regione, la promozione di visite illegali di stranieri nella regione, la coltivazione e il contrabbando di stupefacenti.

7.    Documenti adottati da numerose organizzazioni internazionali sul conflitto, comprese quattro risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che riconoscono la regione del Nagorno-Karabakh come parte della Repubblica dell’Azerbaigian e richiedono il ritiro completo, immediato e incondizionato delle forze di occupazione da tutti i territori occupati dell’Azerbaigian e il ritorno di rifugiati e profughi interni alle loro terre, rimangono ignorati dall’Armenia.

Non importa quanto la parte armena cerchi di nascondere tutti questi fatti con vari argomenti privi di fondamento, la verità non cambia. L’Armenia è un aggressore e l’Azerbaigian è una vittima. Per credere alle bugie della parte armena, che cerca di nascondere la sua aggressione contro l’Azerbaigian sotto l’immagine del “popolo povero e oppresso”, è necessario essere ingenui, o parziali. Tuttavia, chiudere un occhio su dei crimini per ingenuità o parzialità incoraggia l’autore del reato a commettere nuovi crimini.

Per quanto riguarda le posizioni delle parti del conflitto e quale sia una sua giusta soluzione, sulla base del diritto internazionale, vorrei dire quanto segue.

L’Armenia presenta il conflitto come uno scontro etnico tra la minoranza armena, cioè gli armeni della regione del Nagorno Karabakh, e lo stato dell’Azerbaigian. Tuttavia, al centro del conflitto, iniziato nel febbraio 1988 per la separazione della Provincia Autonoma del Nagorno Karabakh (NKAO) dall’Azerbaigian e l’unificazione all’Armenia, c’era e continua ad esserci l’idea del miatsum (in armeno – riunificazione), ciò che ha portato all’adozione nel 1989 della risoluzione del Soviet Supremo della Repubblica Sovietica Socialista (RSS) dell’Armena sulla “riunificazione della RSS dell’Armenia e del Nagorno-Karabakh”, che contraddiceva la Costituzione dell’URSS. E dopo il crollo dell’URSS, cercando di evitare accuse di violazione dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian, l’Armenia ha iniziato a parlare di “autodeterminazione del popolo del Nagorno Karabakh”, occupando militarmente il Nagorno Karabakh, espellendo tutti gli azerbaigiani e installando un regime fantoccio nei territori occupati dell’Azerbaigian, la così detta “repubblica del Nagorno Karabakh”, non riconosciuta da nessun paese del mondo, inclusa la stessa Armenia. E’ evidente che questo scontro non ha nulla a che fare con l’autodeterminazione e si basa sull’obiettivo dell’Armenia di annettere i territori dell’Azerbaigian.

Il popolo armeno, avvalendosi del diritto di autodeterminazione, ha costituito lo Stato dell’Armenia. Esigere la costituzione di un secondo Stato armeno nel territorio dell’Azerbaigian è tanto illogico, quanto sarebbe illogico, da parte degli armeni sparsi per i vari paesi del mondo, esigere un domani la costituzione di un nuovo Stato armeno in uno di quei paesi. Non esiste un concetto di popolo del Nagorno Karabakh. Il Nagorno Karabakh ha una comunità armena, che attualmente vi risiede, e una comunità azerbaigiana, oggetto di pulizia etnica ed espulsa con forza da parte dell’Armenia. La richiesta della parte armena del diritto all’autodeterminazione per gli armeni del Nagorno Karabakh, successivamente reinsediati in questo territorio a spese dell’espulsione degli azerbaigiani, abitanti originari della regione, è insensata, e rivela la vera natura della politica di  aggressione dell’Armenia.

L’Armenia, ignorando le disposizioni di quattro risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che richiedono la liberazione incondizionata dei territori azerbaigiani occupati, cerca di imporre il fait accompli nei territori occupati e richiede lo status di “indipendenza” del Nagorno Karabakh, in cambio del ritiro delle sue truppe da una parte dei territori occupati. Questa condizione, in offesa allo stesso diritto internazionale, è in realtà un’ammissione da parte dell’Armenia della sua aggressione contro l’Azerbaigian. Allo stesso tempo, evidenziando questioni tecniche, quali l’espansione delle capacità di monitoraggio dell’OSCE, l’obiettivo dell’Armenia è evitare colloqui volti a risolvere il conflitto e perpetuare lo status quo.

L’Azerbaigian vede la via d’uscita dall’impasse nella opzione di risoluzione “fase per fase”, in cui la questione dello status finale del Nagorno Karabakh è considerata nella fase finale. Prima di tutto, pur fornendo garanzie internazionali, si concentra sulla soluzione graduale di compiti come la liberazione dei territori occupati dell’Azerbaigian, garantendo la sicurezza della popolazione dell’area, il ripristino delle comunicazioni di trasporto e il ritorno dei profughi azerbaigiani ai propri luoghi di residenza, incluso il Nagorno Karabakh, e poi, sulla base dell’esperienza dei migliori modelli di autonomie nel mondo, tra cui l’Italia, determinare lo status finale del Nagorno Karabakh nel quadro dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian. La posizione dell’Azerbaigian è basata sul diritto internazionale, l’Atto finale di Helsinki, numerosi documenti adottati da organizzazioni internazionali, comprese le quattro risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu già citate.

L’Armenia deve capire che nel XXI secolo è inaccettabile che i confini degli stati vengano modificati con l’uso della forza e che il regime fantoccio creato nei territori occupati dell’Azerbaigian rimarrà sempre un’entità illegale, risultato dell’aggressione e della discriminazione razziale. Per cui, se l’Armenia veramente fosse interessata alla soluzione negoziale del conflitto, dovrebbe abbandonare posizioni massimaliste, cioè o “status indipendente” o “conservazione dello status quo” e accettare l’opzione di risoluzione “fase per fase”. Solo nel caso in cui l’Armenia accettasse l’opzione di risoluzione “fase per fase”, iniziando dal ritiro delle sue truppe dai territori occupati dell’Azerbaigian, potremmo vedere che è pronta per la pace. Questa è la richiesta che tutta la Comunità Internazionale deve avanzare all’Armenia, se vuole credere alla veridicità dei messaggi di pace della stessa.

Entrambi gli eventi dell’aprile 2016 e del luglio di quest’anno hanno dimostrato che l’attuale status quo non è una soluzione ed è una grave minaccia per la sicurezza dell’intera regione. Il mio paese è garante della sicurezza e della pace nel Caucaso meridionale. I progetti multimiliardari di infrastrutture e trasporti energetici realizzati dall’Azerbaigian hanno portato sviluppo, cooperazione, prosperità e stabilità nella regione. L’Azerbaigian non è interessato ad una nuova guerra, ma il mio paese non accetterà mai l’occupazione dei suoi territori e farà di tutto per ripristinare la sua integrità territoriale, come è del tutto legittimo.

Il comportamento delle attuali autorità dell’Armenia, fino ad oggi, ha evidenziato che le stesse non hanno fatto tesoro del passato e hanno continuato le politiche dei predecessori, che hanno  portato all’isolamento di questo paese nei processi regionali e al suo sprofondare in difficoltà socio-economiche. Il popolo armeno deve capire che, indipendentemente da chi è al potere in Armenia, ci sono solo due scelte per questo paese: la pace duratura, l’integrazione nei procesi regionali, lo sviluppo e un futuro promettente, con il ritiro innanzi tutto dell’esercito dell’Armenia dai territori azerbaigiani occupati, o la tensione costante, l’isolamento, la povertà e lo spopolamento, mantenendo lo status quo. In ogni caso la soluzione del conflitto passa solo dal ripristino dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian, e non esiste altra soluzione.

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