Enigma è l’individuo non solo nel suo percorso di vita talora anche nello scomparire come soggetto vivente, dato che l’esame delle varie ipotesi non sempre approda ad una definitiva risoluzione.
Con l’analisi di qualche documento sotto angolazione diversa continua, dopo oltre ottant’anni, a rimbalzare la scomparsa del fisico Ettore Majorana, avvenuta il 27 marzo del 1938 nel corso della traversata da Napoli (era lì docente al Regio Ateneo) a Palermo. Scomparsa che diede allora subito spazio alla tesi del suicidio per la lettera inviata al collega Antonio Carrelli e ai familiari, tesi smentita in seguito sulla scorta di altre missive, di fatti da cui scaturivano ulteriori riflessioni.
Giovanni Paolo II, nel suo discorso del 5 ottobre 1984 alla Certosa di Serra San Bruno in Calabria, riferisce, tra l’altro, della presenza lì di illustri personaggi, tra cui il fisico: quasi una tardiva risposta del Vaticano alla lettera inviata dai familiari e caduta nel silenzio al tempo di Pio XII. Sembrava, con l’annuncio del Papa, dileguarsi ogni altra ipotesi (suicidio, rapimento, ritorno in Germania, espatrio in Argentina e in Venezuela dopo il crollo del nazismo) dell’illustre fisico che nella rinuncia agli amati studi sull’atomo di cui percepiva, insieme agli aspetti positivi quelli fortemente rovinosi, aveva forse trovato rifugio in qualche eremo.
Si era, del resto, accertato anche che, prima di partire, aveva dalla Banca prelevato quanto in possesso e provveduto a ritirare i cinque stipendi lasciati in giacenza, consegnando inoltre all’allieva Gilda Senatore una cartella con informazioni relative all’attività didattica.
“I morti si ritrovano, sono i vivi che possono scomparire” fu il commento di Arturo Bocchino, il Capo della Polizia che a quel tempo svolgeva le indagini sulla scomparsa del fisico, della quale si era interessato anche Mussolini. Non è sempre così, ma in linea di massima lo è.
E il Padre guardiano del Convento di S. Pasquale di Portici ai familiari che chiedevano del congiunto rispose: “Perché volete sapere dov’è? L’importante è che egli sia felice”.
Non poteva esserlo prima chi, dopo il tempo di studio forsennato in casa, da solo, com’era suo costume, se n’era uscito con quella frase sibillina: “La fisica è su una strada sbagliata. Siamo tutti su una strada sbagliata”. Ed Ettore Majorana decise di non percorrerla più.
Il giovane, che non disdegnava la letteratura (fra gli autori ammirava particolarmente Luigi Pirandello), educato anche dai Gesuiti a Roma dove la famiglia si era trasferita, sentiva forse responsabilità etiche nella consapevolezza dei possibili esiti della fisica.
Leonardo Sciascia, nella sua opera su Ettore Majorana pone in rilievo, oltre alle già dette responsabilità e al carattere introverso ed etico del fisico, il dramma di un uomo provato anche dai malanni (gastrite o colite ulcerosa).
Era Ettore Majorana (Catania, 5 agosto 1906 – Italia, 27 marzo 1938 ?) – corporatura smilza, occhi scuri e molto profondi, capelli nerissimi- il geniale teorico del gruppo di giovanissimi fisici (Edoardo Amaldi, Franco Segrè, Bruno Pontecorvo, Franco Rasetti e il chimico Oscar D’Agostino) che, con a capo Enrico Fermi, negli anni Trenta operavano presso il Regio Istituto di Fisica dell’Università di Roma, ubicato in via Panisperma e voluto per interessamento del fisico e ministro Orso Mario Corvino.
Il Kafka della fisica, come veniva definito Ettore Majorana per il carattere introverso, apparteneva a una prestigiosa famiglia siciliana di giuristi e studiosi di scienze matematiche e fisiche, DNA già segnato ch’egli potenziò a tal punto da far asserire a Fermi che aveva capacità paragonabili a quelle di Galilei o Newton. Gli vennero riconosciute anche dai più importanti fisici internazionali del tempo, da prestigiose riviste che pubblicarono i suoi studi sulla fisica nucleare e sulla teoria dei neutrini, e inoltre nel corso del soggiorno a Lipsia e a Copenaghen nel 1933 dove incontrò, oltre ad altri illustri fisici, Verner Heisenberg che non fu parco di elogi. Ebbe allora modo di fare anche le sue riflessioni sul nazionalismo tedesco, le quali non piacquero, però, né a Fermi né a Segrè, poiché volte a una quasi giustificazione. Si era, però, ancora lontani dalla ‘Notte dei cristalli’.
Da porre in rilievo, invece, che già nel 1938 il geniale Ettore Majorana aveva teorizzato l’esistenza della particella fermionica anche come antiparticella, un’esistenza che ha avuto conferma il 2012 in uno studio pubblicato su “Science” dove il fermione è considerato coincidente con la controparte di antimateria.
Ma il grande fisico, nella consapevolezza che la fissione dell’atomo avrebbe sì dato energia a ciclo continuo ma potuto provocare anche disastri (rilevanti quelli del 1987 a Chernobyl e del 2011 a Fukushima) e armi nucleari fortemente distruttive e invasive (basti ricordare Hiroshima e quel che ne seguì con la tensione fra i blocchi di Potenze antagoniste e ciò che ancora ne segue) decise di rinunciare all’amata fisica scomparendo forse in un eremo.
Preferiamo accogliere l’asserzione di Giovanni Paolo II nel discorso alla Certosa di Serra San Bruno, immaginare Ettore Majorana scomparso lì o in un altrove simile, non volendo essere partecipe di quanto si sarebbe prodotto più a danno che a beneficio della umanità.
Antonietta Benagiano