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La storia della 14enne La storia della 14enne cattolica pakistana Maira Shahbaz

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La storia della 14enne cattolica pakistana Maira Shahbaz
Legale della ragazza ad ACS:
«Quella che abbiamo visto ieri è una sentenza islamica»
La campagna per la liberazione della 14enne cattolica pakistana Maira Shahbaz dal suo rapitore ha subito una drammatica battuta di arresto per la decisione assunta ieri dall’Alta Corte di Lahore. Il giudice ha infatti ribaltato quanto precedentemente disposto dall’autorità giudiziaria del distretto di Faisalabad, la quale aveva ordinato l’allontanamento di Maira Shahbaz dall’abitazione del presunto responsabile dei reati, Mohamad Nakash, affinché fosse condotta in un rifugio per donne in attesa di ulteriori indagini.

Nonostante le prove addotte dalla difesa della famiglia dell’adolescente ne attestino la minore età, e nonostante questo fatto sia sufficiente ad invalidare il presunto matrimonio, l’Alta Corte di Lahore ha deliberato a favore di Nakash perché, secondo il giudice, Maira si sarebbe convertita all’Islam.

Il legale della ragazza, Khalil Tahir Sandhu, contattato da Aiuto alla Chiesa che Soffre ha ha lapidariamente commentato: «Quella che abbiamo visto ieri è una sentenza islamica», e questo nonostante «le ragioni da noi sostenute fossero molto solide e convincenti». Il legale intende ricorrere in appello contro la sentenza anzitutto innanzi alla medesima Alta Corte di Lahore e, in caso di esito negativo, di fronte alla Corte Suprema del Pakistan.

L’avv. Tahir Sandhu aveva prodotto un certificato di nascita ufficiale dal quale risulta che al momento del presunto matrimonio la sua assistita era solo tredicenne, aveva dimostrato che il certificato di matrimonio fornito dal rapitore era falso grazie alla dichiarazione del religioso islamico il cui nome appare sul documento. La tesi secondo la quale l’adolescente avrebbe abbracciato la fede islamica non è neanche coerente con la normativa pakistana secondo la quale un minorenne può cambiare la confessione religiosa solo con l’autorizzazione del genitore.

L’attivista per i diritti umani Lala Robin Daniel ha amaramente commentato che «con questa sentenza nessuna ragazza cristiana è sicura in Pakistan».

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