Il Mojahedin del Popolo dell’Iran (MEK) rappresenta speranza per un Iran democratico

Maryam Rajavi, la Presidente-eletta del Consiglio Nazionale della Resistenza dell’Iran (CNRI) al Raduno Mondiale Iran Libero 2020 ad Ashraf 3, sede principale dell’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell’Iran (OMPI/MEK) in Albania – 17 luglio 2020

Dal 17 al 20 luglio, i principali sostenitori di un governo democratico in Iran hanno partecipato a una conferenza online su ampia scala intitolata Raduno Mondiale Iran Libero. L’evento è stato organizzato dal Consiglio Nazionale della Resistenza dell’Iran in luogo della manifestazione internazionale che aveva ospitato ogni estate per 15 anni, prima dell’inizio della pandemia di coronavirus. Il formato rivisto presentava molti degli stessi partecipanti degli ultimi anni, che si sono uniti alla trasmissione video in diretta da 30.000 località in oltre 100 Paesi.

I discorsi che hanno costituito ciascuna delle tre sessioni dell’evento sono stati pronunciati da una vasta gamma di personalità, tra le quali ex prigionieri politici iraniani, familiari di attivisti che sono stati uccisi dalle autorità del regime e sostenitori politici della Resistenza iraniana che hanno prestato o prestano servizio nei settori dell’intelligence, dell’esercito, della diplomazia e della politica estera.

Quei sostenitori rappresentano diverse affiliazioni politiche all’interno di ciascuno dei loro Paesi, e i loro discorsi al raduno Iran Libero hanno evidenziato il comune richiamo che gruppi politicamente diversi hanno trovato nell’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell’Iran (OMPI/MEK) e nel CNRI. Il diplomatico americano e consulente per la sicurezza nazionale Lincoln Bloomfield ha parlato per tutti i sostenitori quando ha riassunto i risultati di un’inchiesta che egli aveva condotto sul MEK prima di giungere alla conclusione che questo rappresenta l’alternativa migliore e più praticabile all’attuale regime teocratico iraniano.

Bloomfield ha dichiarato che il principale risultato del suo studio approfondito del gruppo fu che il MEK “sostiene la democrazia, la libertà di riunione, la libertà di parola” e una forma moderata di Islam che si pone in forte contrasto con il “grottesco abuso da parte dei mullah della fede religiosa per sostenere la tirannia politica”. Questa descrizione è stata più o meno ripetuta dai principali esponenti del regime iraniano, sebbene con un tono decisamente diverso.

In un discorso agli studenti membri della milizia civile Basij in aprile, il leader supremo del regime Ali Khamenei ha avvertito che il MEK avrebbe potuto prendere piede in tutte le prossime proteste universitarie e guidare il messaggio verso l’approvazione di un cambio di regime. Mentre sollecitava i sostenitori della linea dura a interferire in tali disordini come parte di uno sforzo per tenere a bada il MEK, Khamenei ha condannato l’organizzazione per il suo “rifiuto delle basi” della rivoluzione islamica.

Questo linguaggio suggerisce che,se fosse consentito sfidare direttamente il sistema teocratico, il MEK potrebbe minare i principi fondamentali del regime, che giustificano la repressione interna e il terrorismo all’estero come strumenti per la difesa e l’esportazione del fondamentalismo violento. E affinché nessuno accusi i detrattori del regime di essere iperbolici riguardo ai suoi obiettivi, va notato che questo progetto di diffusione della rivoluzione oltre i confini dell’Iran è scritto direttamente nella costituzione del regime.

Questo è ciò che il MEK respinge e ha respinto fin dai primi giorni della Repubblica Islamica. Il MEK ha respinto la costituzione del regime che fu messa in atto dal fondatore del regime Ruhollah Khomeini.

Il MEK non ha mai smesso di guidare le sfide al sistema teocratico, anche dopo che i suoi membri diventarono i principali obiettivi in un massacro di prigionieri politici nell’estate del 1988. Il sostegno popolare per il MEK ha continuato a crescere nonostante la vile repressione, e il MEK ha continuato a dirigere “unità di resistenza” all’interno dell’Iran, lavorando anche nel contesto di una coalizione più ampia, il CNRI, con appelli per un cambiamento delle politiche dei governi stranieri nei confronti del regime.

Purtroppo, questi appelli sono stati in qualche modo lenti nel guadagnare adesioni tra Capi di Stato e interi organi legislativi. Ma hanno reso sempre più consapevoli i politici occidentali dello status del MEK come principale voce della democrazia iraniana. Questa crescita di consapevolezza è stata evidente durante il Raduno Mondiale Iran Libero, come è stata evidente in numerosi incontri precedenti presso la sede francese del CNRI e nella residenza in esilio per i membri del MEK in Albania, nota come Ashraf 3.

L’istituzione di quest’ultima base, a partire dal 2016, è stata un duro colpo per la campagna del regime iraniano contro il MEK. Prima, per molti anni, i residenti di Ashraf 3 erano vissuti in Iraq, ma quando l’influenza iraniana sui funzionari e sulle milizie del governo iracheno crebbe, quella comunità fu seriamente minacciata, portando alla sua delocalizzazione temporanea a Camp Liberty e, infine, alla sua ricollocazione permanente in Albania.

Teheran si oppose amaramente alla mossa, in parte perché una stabile base di operazioni all’estero per il MEK avrebbe sicuramente minato la propaganda di lunga data del regime che descriveva l’opposizione come marginale, senza supporto in Iran e incapace di organizzare un movimento per sfidare seriamente i mullah. E in effetti, meno di due anni dopo che Ashraf 3 iniziò a prendere forma, il MEK si è dimostrata una forza da non sottovalutare negli affari iraniani.

Khamenei aveva buone ragioni per avvertire i Basij dell’influenza del MEK sulle proteste studentesche. La Resistenza aveva già dimostrato la propria influenza su una comunità di attivisti molto più ampia, e il regime clericale stava ancora soffrendo per le ricadute al momento del discorso del leader supremo. Durante un precedente discorso nel gennaio 2018, Khamenei aveva detto a proposito di una rivolta nazionale in corso che il MEK aveva “pianificato per mesi” per facilitare innumerevoli manifestazioni diffondendo al contempo slogan antigovernativi insolitamente provocatori come “Morte al dittatore”.

Maryam Rajavi, Presidente-eletta del CNRI, ha anche reso merito al MEK di aver mantenuto in vita quegli slogan durante un “anno pieno di rivolte” in tutto l’Iran nel 2018. Poi, nel novembre 2019, il MEK lo ha fatto di nuovo aiutando a organizzare e guidare un’altra rivolta nazionale, che si è rivelata più grande approssimativamente del 30 per cento rispetto a quella del gennaio 2018, estendendosi a circa 200 città e cittadine iraniane.

Sebbene le forze di sicurezza iraniane abbiano risposto a quest’ultima rivolta sparando mortalmente a circa 1.500 manifestanti pacifici, la maggior parte delle conseguenze grava molto probabilmente sulle autorità iraniane, che ora si trovano sotto una maggiore vigilanza internazionale senza essere nemmeno riusciti a sradicare il movimento di protesta.

Altre proteste hanno avuto luogo in diverse province nel gennaio 2020, e autorità e gruppi di esperti intransigenti hanno preso l’abitudine di mettere in guardia su disordini ancora più gravi all’orizzonte, forse nell’immediato seguito dello scoppio del coronavirus tragicamente mal gestito in Iran. Quando tali avvertimenti si dimostreranno giustificati, dovremmo aspettarci che sempre più numerosi legislatori ed esperti di politica occidentali approvino il MEK.

Con i disordini ormai un fatto quasi costante nella vita dell’Iran, è sempre più chiaro che il MEK rappresenta più della semplice speranza di un governo democratico e del rispetto dei diritti umani in Iran. Rappresenta anche la prospettiva molto reale che i mullah vengano rovesciati dalla loro stessa gente, con conseguenti vantaggi immediati per la sicurezza globale.

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