Non possiamo che accogliere con favore il fatto che dopo quattro giorni di durissima trattativa i Governi nazionali all’interno del Consiglio europeo abbiano trovato un accordo sulle misure per varare il nuovo Fondo proposto dalla Commissione europea, Next Generation EU. Il Fondo mantiene la sua portata ambiziosa, con una dimensione capace di dare risposte concrete a questa crisi gravissima, orientando fortemente la ripresa verso il piano di riconversione ecologica. Si stabilisce il fatto che l’UE si finanzi emettendo debito comune garantito dal bilancio comunitario, e anche il tema cruciale delle risorse proprie è ormai sul tappeto. Infine i tempi erano – e sono – un elemento decisivo per impostare il successo del Fondo. Chiudere a metà luglio era davvero necessario e non riuscirci avrebbe trasmesso un messaggio devastante ai cittadini e al resto del mondo.
Ci sono tuttavia molte ombre in questo accordo che vanno evidenziate. Il Quadro finanziario pluriennale è stato in parte la vittima di questo compromesso, ed è stato fortemente ridimensionato rispetto alle indicazioni del Parlamento europeo e alle proposte della Commissione. Pesano soprattutto il taglio ai programmi come EU4HEALTH, come HORIZON per la ricerca, lo stesso Just Transition Fund e le risorse per l’azione esterna e la politica migratoria, mentre l’ammorbidimento della condizionalità sullo Stato di diritto è una debolezza che dispiace particolarmente e che andrà sanata con proposte puntuali a breve.
Le vicende del Consiglio europeo di questi giorni hanno soprattutto dimostrato che le criticità nell’UE nascono dal sistema decisionale, totalmente inadeguato. Se l’UE vuole essere una comunità di destino e se vuole avere una presenza autorevole nel mondo non può rimanere prigioniera di meccanismi intergovernativi che cercano di ridurla ad una somma di Stati nazionali. Finché non si dota l’UE di autonomia fiscale e possibilità di azione diretta, il diritto di veto di ciascuno Stato membro, e la priorità per ciascun governo di agire in nome dell’interesse del proprio Paese prima che di quello comune, non saranno mai eliminati, nei fatti prima ancora che di diritto.
E’ arrivato pertanto il momento di riaprire il cantiere dei Trattati e di sostenere con forza le riforme politico-istituzionali che permettano innanzitutto:
– di dotare l’Unione europea della competenza fiscale, di modo che le nuove risorse proprie dell’Unione vengano valutate, raccolte – dopo essere state decise a maggioranza direttamente dal Parlamento e dal Consiglio, con un potere diretto che abolisca il passaggio delle ratifiche nazionali –, e gestite a livello europeo, coerentemente alle priorità politiche e strategiche individuate dalla Commissione. La creazione di una porzione di bilancio federale è una condizione necessaria sia per rendere strutturale il nuovo approccio europeo, sia per liberare l’UE dal giogo dei veti nazionali;
– di avviare il percorso verso l’unione politica attraverso una profonda riforma dell’Unione europea, indirizzando in questo senso la Conferenza sul futuro dell’Europa che auspichiamo possa iniziare al più presto.
Questo Consiglio ha anche confermato che alcuni Paesi, per quanto minoritari, faticano a condividere la svolta europea e vorrebbero bloccarla, restando legati all’attuale modello intergovernativo. Questi Paesi non devono costituire un alibi per fermare il cambiamento e il rafforzamento dell’Unione europea. L’Italia abbia lo stesso coraggio e la stessa capacità mostrata in questi negoziati. Come recitava il Memorandum al governo italiano inviato in occasione del Consiglio europeo del 23 aprile e firmato da oltre 50 parlamentari insieme anche ad alcuni membri del governo, l’Italia chiami a raccolta gli altri Paesi che condividono l’ambizione di un’Europa capace di agire nel mondo nuovo e cerchi il sostegno delle istituzioni comunitarie, a partire dal Parlamento europeo e dalla stessa Commissione, e si faccia protagonista della svolta europea nel solco della tradizione di Luigi Einaudi, Alcide De Gasperi, Altiero Spinelli.