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TRE CONVEGNI E IL FUTURO D’EUROPA

di Domenico Bilotti

Il presente momento internazionale sta implicando una fase di particolare vivacità nella governance europea. In particolar modo, si sta chiedendo alle istituzioni euro-unitarie di elaborare significative politiche di rilancio economico, al fine di riposizionare redditi e consumi nel Continente dopo il tremendo impatto derivato dal lockdown e dalla pandemia. Ciò fa seguito ad almeno un decennio in cui anche sul piano ideologico e non solo materiale il processo di integrazione europea è sembrato distante, persino favolistico rispetto alle istanze concrete del vissuto degli Stati membri, autoreferenziale, burocratico, inutilmente ridondato da dichiarazioni di principio sovente inattuate e inattuabili. Adesso che i contagi da Covid-19 fanno qua e là presagire una prima apertura della situazione complessiva (e per quanto risultino in agguato nuovi focolai e persino almeno una nuova ondata generale), e che così ci si può riposizionare sul lato del contatto umano tanto sul fronte politico quanto su quello dello studio giuridico, si è delineata una griglia convegnistica di primo livello che in definitiva affronta i futuri destini dell’Europa, dando primariamente spazio alle sue necessità sostanziali e alle lacune giuridiche che sostanziano ancora la porosità nebulosa e inadeguata della sua struttura. Tre appuntamenti sembrano di peculiare significato proprio a questi fini e come tali vengono qui proposti. Si noterà che la sede di svolgimento dei diversi lavori implica a propria volta una scelta fortemente orientante di carattere scientifico, democratico, civile.

Si comincia in Ottobre con un appuntamento pluridisciplinare presso l’Università di Bucarest. In quella circostanza, intorno al tema “Military Culture and War Experience”, si cercherà di comprendere il ruolo dell’Europa negli scenari internazionali di guerra e nei retaggi bellicisti che ancora riguardano la sua storia recente. Vi sarà poi una sezione sui rapporti tra le religioni e la guerra, al fine di valorizzare quelle componenti degli ordinamenti giuridico-religiosi che non insistono sul fondamentalismo, sul suprematismo, sulla conversione violenta, bensì sulla coesistenza, sulla relazione, sulla messa a valore in termini costituzionali del comandamento-principio del non uccidere. Seguirà poi nel mese di Novembre un importante momento di studio presso l’Università di Skopje sui primi decenni di giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo: un bilancio e un consuntivo, che ben presto divengono, soprattutto negli scenari euro-orientali, fendenti spunti programmatici per l’avvicinamento dei diritti nazionali alla tutela internazionale dei diritti umani. A che punto siamo, ad esempio in subsettori ordinamentali come lo statuto giuridico della privazione di libertà o la tutela della libertà di pensiero, coscienza e religione?

Infine, a Marzo, una cospicua assise globale si terrà, salvo nuove intromissioni di carattere sanitario internazionale, a Lisbona, recuperando e ampliando il programma di “Progressive Connexions”, originariamente previsto nello scenario dell’Università di Bratislava. In quella primaria formulazione era comunque già ben chiaro che i lavori avrebbero seguito tre indirizzi metodologicamente avanzati: i rapporti tra la violenza e il diritto, la cornice costituzionale del diritto penale, le prospettive pratiche di implementazione della cooperazione giudiziaria internazionale.

In un mondo che s’è dovuto fermare per contare le vittime ed enumerare i suoi errori, intorno a questi specifici temi (il pluralismo, la giurisdizione, l’esecuzione e il contenuto delle pene), si gioca una parte non irrilevante di quel che chiamiamo Unione Europea e che da troppo tempo più non è: progetto di donne e uomini, ganglio vitale di partecipazione, non pallottoliere e nemmeno ghigliottina.

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